martedì 31 gennaio 2023

Simulation e EctoLife - Hashem Al-Ghaili

 


Produzione in serie di esseri umani: per quanto tempo ancora rimarrà solo una distopia? - Arianna Cavigioli

In perfetto tema natalizio due settimane fa il giovane biotecnologo molecolare, divulgatore scientifico, regista e produttore Hashem Al-Ghaili ha messo in rete un video su un ipotetico futuro scenario in cui i bambini potranno essere coltivati in uteri artificiali all’interno di laboratori. Attraverso un algoritmo viene selezionato l’embrione geneticamente superiore da impiantare in una capsula trasparente che simula l’ambiente uterino. Ogni utero artificiale è pervaso da sensori per monitorare il livello di ossigeno nel sangue, il battito cardiaco, la pressione sanguigna, la frequenza respiratoria, e rilevare eventuali anomalie genetiche. Grazie all’AI e tramite un’app i genitori possono conoscere in tempo reale e comodamente dal proprio smartphone lo stato (o meglio, i parametri) di salute del bambino, e scegliere suoni vocali o musicali da trasmettere nella capsula uterina. Inoltre, l’utero artificiale è dotato di telecamere a 360 gradi e indossando un visore vr è possibile vedere, toccare e udire quello che percepisce il feto nell’utero artificiale. Una tuta vr, invece, consente di sentire i calci e i movimenti compiuti dal bambino, nutrito al meglio con ormoni, fattori di crescita e anticorpi tramite un cordone ombelicale digitale.

I laboratori di EctoLife garantiscono la “produzione” di 30.000 bambini all’anno, un ottimo risultato se si vuole elevare il numero di nascite in paesi che soffrono di decrescita demografica come Giappone, Bulgaria e Sud Corea; e per fronteggiare il problema delle morti fetali dovute a complicanze in gravidanza, che secondo l’WHO sfiorano i due milioni all’anno. La retorica sottostante al progetto, ovviamente, è filantropica: permetterebbe alle madri a cui è stato rimosso l’utero a causa di malattie tumorali o altre complicazioni di oltrepassare i farraginosi iter burocratici della maternità surrogata. Ma tale speculazione dialettica è costruita ai fini della sponsorizzazione di un prodotto, che si punta a rendere disponibile per ogni coppia o single interessata/o. A conferma di ciò è la possibilità, prima dell’impianto, di programmare geneticamente l’embrione, personalizzando il colore degli occhi, dei capelli, della pelle, la forza fisica, l’altezza, e il livello di intelligenza. È facile da immaginare che ad ognuna di queste scelte in pieno stile The Sims corrisponderà un determinato valore economico. Ma il profitto non si fermerebbe qui, dato che un sistema di nascite tale andrebbe a tessere reti tra investitori in campo farmaceutico (ad esempio per le sostanze nutritive fornite ai feti e ad eventuali terapie rivolte agli stessi), tecnologico (per la strutture biotecnologiche impiegate) e comunicativo-digitale (grazie alle app di monitoraggio e vr). A ciò si aggiunge l’enorme quantità di dati medici e comportamentali che i dispositivi coinvolti possono potenzialmente immagazzinare e successivamente, tutele della privacy a parte, trasformare in valore.

Il video divulgato da Al-Ghaili non si riferisce a uno specifico progetto di ricerca, ma, oltre a voler sollecitare il dibattito su un nuovo modello di genitorialità, si basa su risultati laboratoriali ottenuti o comunque non lontani da raggiungere, e app già in uso per monitorare lo stato di salute del bambino fuori dall’utero.

Recentemente è stato finanziato dall’Unione Europea con un fondo di 3 milioni di euro il progetto PLS (Perinatal Life Support), che punta a realizzare un supporto vitale perinatale funzionante entro 5 anni. Sotto la guida dei ricercatori dell’Università Tecnica di Heindoven, il dispositivo vorrebbe supportare la vita dei “feti pretermine” (prima della 22esima settimana) tramite il loro trasloco in un utero artificiale simulato. All’interno, non sarebbero garantite solo le caratteristiche biologiche quali la presenza di uno pseudo liquido amniotico e sostante nutritive, ma i feti godranno di sensazioni tattili, uditive e olfattive paragonabili a quelle del grembo materno. In questo progetto i test sugli animali non saranno contemplati, perché manichini stampati in 3D e dotati di un vasto range di sensori permetteranno, insieme a modelli computazionali e simulazioni computerizzate ad hoc, di testare e monitorare tutti gli aspetti salienti della gravidanza, prima di immaginare un primo test sull’uomo.

Il PLS è figlio di un altro progetto che nel 2017 ha visto protagonista il Children’s Hospital, a Philadelphia, di cui è stato pubblicato uno studio sulla rivista Nature. Il team di ricercatori americano ha sviluppato la Biobag, una sacca di plastica che simula la protezione offerta dalla placenta, colma di una soluzione elettrolitica che mima il liquido amniotico, e dotata di un tubo che viene collegato al feto in via di sviluppo, per replicare le funzioni del cordone ombelicale, filtrando il sangue dalle scorie e dall’anidride carbonica e arricchendolo di nutrienti e ossigeno. L’esperimento è stato condotto attraverso l’impiego di feti di agnelli che si trovavano in una fase evolutivamente paragonabile ai nati pretermine umani nella soglia di viabilità riconosciuta: 24 settimane. Dopo 4 settimane di incubazione i feti di agnello sono stati estratti sopravvissuti, mostrando una normale crescita somatica, maturazione polmonare, crescita cerebrale e mielinizzazione. I limiti dell’esperimento, tuttavia, come è ben esposto in uno studio del British Medical Journal, riguardano soprattutto il carattere etico e legale del progetto, dato che la tecnica sottesa al Biobag, l’AWT (Artificial Womb Tecnology), non è un’estensione dell’attuale incubatrice, ma qualcosa di completamente nuovo. L’AWT, infatti, ha la capacità di sostituire completamente una funzione umana: replica e sostituisce un processo biologico, piuttosto che tentare un salvataggio.  Questo lo rende, in effetti, un passaggio nel regno dell’automazione. L’incubatrice tradizionale, invece, ha lo scopo di supportare solo quella capacità di vita che il neonato sta già esercitando o sta iniziando a esercitare. Pertanto, il neonato si fa carico di parte del fardello del sostentamento. L’AWT è più vicina alle tecnologie che sostengono gli individui con morte del tronco cerebrale, che alle forme di supporto artificiale fornite ai pazienti in coma con sistemi nervosi funzionanti, che coordinano ancora alcune importanti funzioni corporee. Subentra poi il problema terminologico, nonché etico, sulla denominazione vitale. Innanzitutto il termine “feto” (umano) per ora implica che si trovi all’interno di un gestante umano, e dunque occorre rivedere i termini scientifici. Inoltre, bisognerebbe metter mano anche alla definizione di “viabilità”, ovvero il punto dello sviluppo fetale in cui il feto può sopravvivere al di fuori dell’utero (circa 24 settimane). La viabilità consiste, in molti paesi, nella possibilità per il feto di godere di alcune tutele legali che limitano l’accesso all’aborto, “è un compromesso con la lobby anti-abortista e gli attivisti pro-vita”. Immaginare di spostare la viabilità verso la fase embrionale, comprometterebbe seriamente la possibilità di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza della donna. Infine, se il Biobag, strutturato per accogliere un “feto” che ha meno di 22 settimane, funzionasse meglio dell’incubatrice tradizionale, i medici intravedrebbero maggior valore nel trattamento per i nati pretermine più giovani, sacrificando i pretermine che hanno superato la fascia critica delle 22 settimane.

Spostiamoci, ora, fuori dall’utero, per dare uno sguardo alla digitalizzazione del sapere genitoriale tramite app e dispositivi che monitorano lo stato di salute del bambino: possiamo citare almeno due esempi. Innanzitutto app quali Bebè +, che permettono ai genitori, una volta inseriti i dati sensibili del neonato, di conoscere le sue fasi di crescita, i suoi bisogni, le sue tendenze (espressi tramite parametri standard). Oppure Baby Connect, un tracker all-inclusive per lo sviluppo del bambino che registra il sonno, le poppate, i pannolini e l’umore del bambino in un’interfaccia che consente di scambiare informazioni in tempo reale. Ancora più recente è il software alla base dell’app Tata Digitale, che si prefigge l’obiettivo, tramite la registrazione sonora del pianto neonatale, di decodificarne la natura, indicando al genitore se si tratta di fame, sonno, colichette, dolore fisico o la richiesta di attenzione. Siamo di fronte alla volontà di standardizzare e digitalizzare un sapere pratico, soggettivo e legato all’esperienza diretta come quello della crescita figliale, legato a un cospicuo ricavo economico. Valore economico che si misura soprattutto attraverso l’immensa qualità di dati raccolti, una miniera d’oro nei tempi che corrono.

Ho iniziato l’articolo con una battuta perché fa sorridere la coincidenza temporale tra l’uscita di EctoLife e la vicina nascita di Gesù, ma anche perché le critiche al Transumanesimo che hanno più eco in Occidente sono di matrice cristiana e dunque comunemente intese dalla Sinistra come retrograde. Una strategia della classe dominante legata a interessi economici quali ad esempio quelli della Big Tech, è anche dipingere – tramite la collaborazione con grandi aziende di comunicazione e social network – i dissidenti come fanatici o ignoranti, proprio per ridicolizzare e delegittimare la possibilità stessa di critica. La contro-informazione politica e la possibilità della contestazione dal basso sono seriamente in pericolo, buttate nel calderone del complottismo più becero, anche quando si tratta di analisi basate su fonti accademiche o comunque su ricerche approfondite. Inoltre questa tendenza, che abbiamo visto già protagonista ad esempio a proposito dell’obbligo vaccinale, rispecchia una visione classista che preclude ai “non esperti” la possibilità di esprimersi su questioni così scientifiche da dover essere delegate ad altri, ma le cui conseguenze poi sono vissute sulla pelle della classe dominata.

Dunque, quale analisi per questo Transumanesimo che si vorrebbe estendere perfino alla creazione di esseri umani in laboratorio? Dove sta il profitto e quale è il conseguente modello sociale che ne deriva? Qui siamo ben oltre alla mercificazione del corpo femminile impiegata nella maternità surrogata: proprietà biologiche esclusivamente femminili sono espropriate per creare un ambiente (l’utero artificiale) consono alla coltivazione di esseri umani. Se “surrogare” etimologicamente significa “agire per altri”, (ed è infatti la madre biologica, spesso denominata in modo sminuente “portatrice di embrione”, che si fa carico del fardello della maternità), in un sistema natale simil-Ectolife le azioni della gestazione e della gravidanza sono delegate interamente a un dispositivo biotecnologico di proprietà privata. Il laboratorio/fabbrica trasforma completamente il processo di nascita in un’operazione tecnica: l’embrione è un prodotto da selezionare, migliorare, rifiutare o trasformare. Inoltre, la possibilità di procreare, uno dei pilastri su cui si basa la differenza sessuale, non è più prerogativa del corpo femminile, ma è affidata a un’entourage medica al servizio dei capitali biotech e farmaceutici.

Oltre al profitto legato alla mercificazione di un tale servizio, e al risparmio di un sistema sanitario non più “vincolato” a curare malattie neonatali, è impressionante immaginare la potenziale raccolta di dati e la conseguente sua trasformazione in materiale profittevole tramite diffusione su dispositivi e app. Gli interessi in gioco tra le varie compagnie farmaceutiche e Big Tech non sarebbero conteggiabili.

E cosa comporta in termini sociali l’artificializzazione e la digitalizzazione della gravidanza? Problematiche psicologiche e mediche, connesse al coinvolgimento del corpo nella fase del concepimento, ma anche il fondamentale diritto ai mesi di maternità retribuita è trattato come vero e proprio ostacolo per l’affermazione economica di quel prototipo umano costantemente produttivo e mai a riposo. Il modello sociale che ne consegue, che rappresenta al contempo l’esca perfetta per la sua affermazione, è la fuoriuscita dal proprio corpo di eventuali difficoltà, complicazioni, stress, lesioni, che insieme però al bagaglio esperienziale ed emotivo inspiegabilmente magico della gravidanza ne rappresentano le caratteristiche costitutive e reali. Eliminare il rischio potenziale di essere malati, avere complicanze gravi o sfiorare la possibilità di morte sono il grimaldello propagandistico su cui fondare un tecno-uomo invincibile e sfruttabile in ogni momento dal Capitale.

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