LA MANO - Il valore
della libertà - Emanuel
Carlo Micali
Jîrí Trnka, pittore, illustratore e marionettista, nel 1965 realizza il
suo ultimo lavoro d’animazione, il cortometraggio La mano. L’animatore cecoslovacco, che sarebbe purtroppo morto
quattro anni più tardi, con questa opera tocca il punto più alto della sua
creatività, grazie soprattutto alla potenza simbolica ed eversiva che appare in
tutta la sua lampante lucidità.
Apologia della libertà artistica, La mano ci mostra il destino di un vasaio-scultore che riceve
da un’enorme mano l’ordine di modellare un monumento grandioso a lei dedicato.
L’artista rifiuta più volte ed essa, dopo esser ricorsa a doni e soldi per
corromperlo, passa alla violenza. Il vasaio non può che obbedire e, rinchiuso
in una gabbia, modella una mano di marmo.
Meraviglioso esempio di animazione “a passo uno”
(stop motion), La mano appartiene a un periodo particolarmente
fortunato della carriera di Trnka, ovvero quello successivo a Sogno di una notte di mezza estate del 1959: circa un lustro di cortometraggi
in cui il regista boemo – dopo aver tentato tutto ciò che si poteva fare con
film di marionette, sperimentato tutti i generi dalle favole fino agli antichi
tempi eroici – cerca, riuscendovi, di investigare la contemporaneità a lui
contigua approdando ad una animazione di genere civile ed impegnata. Difatti i
toni si fanno più cupi, più introspettivi, e la gravità della situazione di una
nazione, quella cecoslovacca, stretta nella morsa tra occidente e oriente – tra
sogni mitteleuropei pangermanici prima e influenze politico/culturali
socialiste poi – entra con forza nel tessuto scrittorio da La passione del 1962 fino a La mano.
Jîrí Trnka, attraverso il personaggio del
vasaio-scultore, dà vita ad un antieroe che si fa carico del peso del proprio
ruolo e, pur di perseguire la libertà contro il controllo oppressore
dell’ideologia di Stato, va incontro alla morte. Se da un punto di vista
tematico questo cortometraggio appare di una poeticità unica, toccante ma
greve, lo stile messo in scena da Trnka non può che accrescerne il valore
simbolico. Se prima di lui uno dei problemi più difficili da risolvere era
quello legato all’animazione del viso, egli intuisce che il volto e la
fisionomia del pupazzo da animare deve essere più simile a quello della
maschera teatrale che a quello dell’attore in carne e ossa.
Così, il protagonista de La mano si mostra come il perfetto personaggio di Trnka: occhi
dipinti che suggeriscono una certa fissità e indefinitezza dello sguardo, e una
bocca immobile che tocca gli apici più tragici dell’incomunicabilità; il tutto
gestito con sapienza nell’uso dell’illuminazione e della messa in scena.
Proprio a quest’ultima, e al montaggio, va la capacità di caratterizzare così
bene sia l’artista che la mano. Incredibile, a tal proposito, la sequenza
centrale del cortometraggio in cui essi, su un contrappunto jazzistico, si
danno battaglia per conquistare la libertà da una parte e il potere dall’altra.
Il finale di questa opera filmica ci offre un
affresco chiaro e sardonico della contraddittorietà del potere: l’artista
riesce a scappare dal suo oppressore che, però, ne causa la morte. Al vasaio
sono così riconosciuti dei magnifici e pomposi funerali di stato con tutti gli
onori. Visione tragicomica di un’apologia al lavoro creativo e critica
dissacrante, ma mai deprimente, del potere costituito, La mano di Jîrí Trnka segna l’apice della poetica del regista
boemo e del cinema d’animazione cecoslovacco. Un’opera da (ri)scoprire, da
godere e su cui riflettere.
Nessun commento:
Posta un commento