martedì 24 gennaio 2023

EO – Jerzy Skolimowski

mah, ero andato al cinema con tutte le migliori intenzioni del mondo, promettendomi di non fare confronti con un altro film.

e poi inizia Eo, la parti "animali" sono le migliori, sono quelle "umane" un po' dementi, il grassone in porta, i polacchi abbastanza fuori di melone, quella specie di messa con una Isabelle Huppert mezzo pazza.

se il tentativo del regista era quello di dire che la specie umana è perduta, e che prima si estingue meglio è, c'è riuscito benissimo.

nel complesso il film è squilibrato, Eo vede tante follie, stranezze, e alla fine resta confuso come noi, chissà.

e la sua fine sarà quella dei suoi compagni di sventura, non c'è lieto fine.

buona (asinina) visione - Ismaele


Due cose mi hanno sempre sorpreso: l'intelligenza degli animali e la bestialità degli uomini - Tristan Bernard

Proteggere gli animali contro la crudeltà degli uomini, dar loro da mangiare se hanno fame, da bere se hanno sete, correre in loro aiuto se estenuati da fatica o malattia, questa è la più bella virtù del forte verso il debole - Giuseppe Garibaldi

Dopo essere fuggito dalla Polonia occupata dai nazisti, il premio Nobel Isaac Bashevis Singer paragonò i pregiudizi di specie alle «teorie razziste più estremistiche». Singer sosteneva che i diritti degli animali fossero la forma più pura di difesa della giustizia sociale perché gli animali sono i più vulnerabili di tutti gli oppressi. A suo parere i maltrattamenti degli animali erano l'epitome del paradigma morale secondo cui «la forza è diritto». (Jonathan Safran Foer)


 

 

tranne che in un paio di personaggi, di sicuro non verrà mai mostrata empatia umana nè nei confronti di EO nè verso gli altri animali.

In realtà questo mondo manicheo di esseri umani cattivi e animali maltrattati è un pò esso stesso un possibile limite del film. 

Ma, essendo il film una "favola" e volendo insegnare qualcosa credo che questa estremizzazione sia assolutamente perdonabile.
Sì, ok, però i problemi immensi sono altrove.

E no, non posso accettare che davanti queste 3-4 sequenze si possa "soprassedere" e mettere sto film come migliore dell'anno perchè parla di animali ed empatia.

Le scene che riguardano gli esseri umani sono, a dir poco, terribili.

E non parlo di terribili nel senso che mostrano umani terribili (sì, quello fanno, ma va benissimo) ma terribili per come sono state scritte e costruite.

da qui

 

…Nella sua curiosità verso tutte le possibili potenzialità del digitale, il cinema di Skolimowski smarrisce l’intensità di un cammino cristologico continuamente interrotto, forzatamente deformato, piatto nel mostrare la crudeltà dell’uomo come nella rissa tra tifosi dopo la partita di calcio. Il viaggio, il tentativo di ribellione, la speranza e la rasegnazione di EO vengono risucchiati in un’estetica visiva dove Skolimowski cerca confusamente una strada senza riuscire mai a trovarla. In più ci sono tutti i segni pesanti della co-produzione Italia- Polonia dove tutta la parte nel nostro paese risulta appiccicata, tra Pavarotti di Ridi pagliaccio e lo scontro tra Lorenzo Zurzolo (il protagonista di Baby e Sotto il sole di Riccione) e Isabelle Huppert che rompe i piatti, tra posticcio cinema d’autore italiano e una piatta serie teen Netflix. Quando la dimensione astratta di Skolimowski si raggela, viene fuori un film che spegne tutte quelle pulsioni istintive che hanno caratterizzato tutto il suo miglior cinema. Tra la sua versione di Au hasard Balthazar e la personale rilettura dell’omonimo racconto di Ivan Turgenev in Acque di primavera non c’è tutta questa differenza. Skolimowski spaccia ancora l’esercitazione per sperimentazione. E, come in quel caso, c’è ancora di mezzo l’Italia tra i produttori.

da qui

 

Ora con Eo vediamo un asino e il suo percorso di vita. La stessa pochezza dell’essere umano, filmata dai colleghi cineasti nei due anni precedenti, con una scrofa e con una vacca, emerge ora prepotente in ‘Eo’, a colori.

Una cosa li accomuna tutti. Sembra che la sensibilità del cinema valga come un monito contro la superficialità del genere umano:  il suo egoismo. La sua auto-celebrazione, la banalità dei suoi interessi, il calcio, le sbornie, la violenza gratuita, lo sfruttamento di animali e risorse, la distruzione di un ecosistema per il proprio tornaconto, sono tutti i temi che emergono da Jerzy Skolimowski, come da Kossakovsky e Arnold.

La valenza di fitta fantasia, illuminazione visiva di Jerzy, mai banale, mai inelegante, sempre sorprendente in ogni inquadratura, fin dal rosso grafico e sanguigno della locandina prescelta o del sapore iconico di certe musiche, genera di sicuro un impatto emotivo indelebile nello spettatore sensibile che, attraverso occhi ed orecchie colpite, presterà attenzione maggiore alla cura e amore degli animali che lo circondano, dopo la visione del film.

Per tutti gli altri sarà meglio l’estinzione di massa.

da qui


EO transmite un mensaje necesario en el momento que vivimos. Es una pieza visualmente hermosa y cruda a la vez. Pudiendo afectar a las personas más aprensivas para con los animales. Sin duda, una película necesaria que deberíamos ver todas las personas por lo menos una vez. La forma en la que está filmada hace imposible que el espectador no se identifique con EO y su duración hace más atractivo su visionado. Sin duda, una película perfecta si se observa desde la perspectiva del mensaje y no del entretenimiento.

da qui

 

Jerzy Skolimowski, conviene recordarlo, presenta EO a sus 84 años de edad, y ahora mismo cuesta horrores encontrar en el panorama internacional algún cineasta que haga gala de un espíritu tan joven como el suyo. Su nueva experiencia fílmica es una fábula empecinada en viajar, y con ello, a explorar: alcanzar fronteras, superarlas, empujarlas para así seguir avanzando. Hasta que parezca que ya no haya límites; que estos no hayan existido nunca. El cine como máquina de liberador momento perpetuo, pues con total libertad, toma todas y cada una de las decisiones a nivel narrativo y estético. Ahora estamos en un circo, y ahora en un campo de fútbol, y ahora en un bosque, y ahora esto claramente es una película de terror, y ahora una de ciencia-ficción, y ahora toca reírse de la idiosincrasia polaca (o de una civilización extraterrestre), y ahora el tratamiento del sonido nos indica que estamos dentro de la cabeza del asno, y ahora la paleta cromática de la escena pinta lo que bien podría ser un paraje apocalíptico. Hasta llegar a la única zona que aquí puede definirse como línea de meta: allí donde el sense of wonder llama también a un terror desesperante.

da qui

 

Cuando lo liberan, el burro empieza un viaje por todo el país, allí conocerá a gente buena y mala, pero sobre todo vivirá situaciones desagradables, crueles y violentas. Solo en sus sueños volverá a vivir los buenos momentos que pasó junto a Kasandra. 

El director nos pretende mostrar su particular visión de la Europa actual, en su viaje EO se va encontrando con violentos aficionados de un equipo de fútbol, maltratadores de inmigrantes e incluso un mercado negro de animales. 

La cinta acaba convirtiéndose en un manifiesto contra la explotación, la crueldad y la ciencia tecnológica.
La película funciona gracias a la estupenda fotografía y al poder visual que tienen muchas de sus imágenes. La potente música y la capacidad de Skolimowski para manejar la cámara son otros aspectos a tener muy en cuenta. 

La cinta no es nada complaciente con el espectador, es un cine más experimental, pero muy interesante de ver.

da qui

 

Skolimowski entreats us to go where the blissfully silent eponymous beast goes using lightweight digital cameras that capture the strange and often brutal behaviour of the people he comes across, viewed through his untranslated perspective with a clinical, even anthropological distance. Played by six different donkeys at different points, EO the protagonist is pure and inscrutable in each of his physical forms, his journey presented without comment until that closing text, which forces us to linger on his soulful eyes whenever they're offered up in close-up.

da qui

 

Le immagini, per Skolimowski, sono chiamate non a indicare (una via) o a implicare (un significato), bensì a concepire. Inventare. EO trasforma l'antropomorfismo e l'antispecismo in una cascata travolgente di vettori e di colori visivi. Un film selvaggio e ferino come potrebbe esserlo Jodorowsky, di cui sembra replicare anche l'elementarità dell'allegoria. Un film che scende in picchiata e sbanda, che ricorda e ritorna, che assorda e complica. Un film folle, un film non parlato. Un tour de force di purissima e ineducata messa in scena, al di là di qualunque lesa maestà: perché la messa in scena, per Skolimowski, equivale propriamente al senso dell'esistenza dell'asinello EO, è cioè una brutale trance; un'anagogia impetuosa.

da qui

 

Tra l’incuriosito e il timoroso mi sono dunque recato nella solita Sala Debussy - che accoglie tra le sue comode poltroncine i giornalisti durante i press-screening - per prendere visione di Eo e capire se e come il regista polacco avesse attualizzato Balthazar, se ne avrebbe cambiato il percorso, i simboli, magari persino la morale…

…Al netto di una conclusione traballante - e a mio avviso svilente nei confronti dell’epilogo originale di Bresson - di certo non si può dire che Eo sia un film inguardabile o mal costruito dal punto di vista tecnico-visivo. 

Il mio dubbio resta semplicemente sulla natura concettuale di quest’opera, che nulla sposta rispetto al capolavoro originale, inficiandone invece alcuni puntelli concettuali, facendo soffrire ancora (e da diversi punti di vista) il povero Balthazar.

Pardon: il povero Eo. 

da qui

 


Nessun commento:

Posta un commento