lunedì 16 gennaio 2023

Close - Lukas Dhont

(dello stesso regista cercate Girl, non vi deluderà)

due ragazzini, Remi e Leo, come tanti, hanno 13 anni, sono amici, amici per la pelle, è la cosa più normale del mondo.

se non capita che i loro compagni e le loro compagne cominciano a prenderli in giro, a sottolineare che forse sono omosessuali, come un peccato e una punizione.

Leo per dimostrare che lui è "maschio" (infatti inizierà anche a giocare a hockey su ghiaccio, uno sport davvero maschio) si stacca da Remi, lo rifiuta proprio, anche con violenza, davanti a tutti i compagni.

e da lì nasce il dramma.

nonostante i genitori siano bravissimi (la mamma di Remi è Rosetta, dei fratelli Dardenne) le cose vanno per una strada non voluta.

buona (imperdibile) visione - Ismaele



 

 

 

 

,,,Close segue dunque con maggior attenzione i canoni e le classiche tappe di questa tipologia di racconti, proponendo un percorso durante il quale i due protagonisti cambiano il proprio modo di rapportarsi con sé stessi e il mondo circostante. All’interno di questa cornice Dhont inserisce tutti quelli che già in Girl apparivano essere i suoi principali interessi come regista. Come suggerisce il titolo del film, egli rimane particolarmente vicino ai suoi personaggi, facendoli esprimere più con i gesti e gli sguardi che non con le parole. Non per niente egli ha affermato di scrivere i suoi film più con l’animo del coreogrago che non con quello dello sceneggiatore.

Tra primi e primissimi piani, dettagli e particolari, Dhont trova dunque il modo di far emergere dalle immagini tutte quelle piccole grandi emozioni che un racconto come questo porta naturalmente con sé. Ci sono calore e tenerezza in Close, che la splendida fotografia di Frank van den Eeden (qui alla sua seconda collaborazione con Dhont) sottolinea ripetutamente attraverso l’esaltazione di determinati colori, luci e di quei primi piani struggenti. Con questo stesso calore, però, sono raccontati anche i momenti più intensi e drammatici, che colpiscono proprio per via della loro semplicità e che tutti potremmo aver vissuto crescendo.

Come avvenuto per Girlinoltre, anche in questo caso il regista trova gli interpreti ideali e si conferma un abile direttore d’attori, capace di tirar fuori da loro la più pura sincerità e tutte le emozioni presenti nell’animo dei loro personaggi. Gli sguardi spaventati o sconcertati di Dambrine, in particolare, sono realmente capaci di scavare di rimanere impressi nella mente e nel cuore dello spettatore. Oltre a tutto ciò, Dhont dà in generale ulteriore prova di possedere un grande controllo come regista, dosando al punto giusto il dramma, la spensieratezza e le emozioni, facendo sì che ogni parte del film risulti coesa e coerente con quella prima e quella seguente…

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rimane fuori dall’orizzonte definito dal film il fatto che la scoperta del sesso, con la pubertà, sia a sua volta una frattura ineluttabile, il riconoscimento dell’impossibilità per molti versi di quell’uno, la perdita proprio di quell’innocenza, il necessario confronto con l’altro. Dhont si concentra su un non dichiarato processo alle intenzioni, su una rottura della relazione tra i protagonisti, del recinto del paradiso, a monte del problema della pubertà; una perdita che comincia nel momento in cui una condizione vissuta in maniera naturale e spontanea viene definita e categorizzata dal mondo esterno, quando qualcuno sente la necessità di trovarle un nome: “fidanzati”, “gay”, “froci”.

E noi spettatori, che fino a quel momento ne abbiamo seguito la descrizione intima, in piani ravvicinati (close-up), siamo sicuri, noi, progressisti, illuminati, solidali, di non aver pensato a quella categoria, a quei nomi? Il film di Dhont, nel suo essere stiloso senza cercare uno stile proprio, esplicitamente manipolatore quando spinge sull’immagine, sugli immaginari e sul pedale delle lacrime e dei sentimenti è un po’ questo, un j’accuse rivolto a noi, che siamo ancora, volenti o nolenti, aggrappati a quei nomi, a quegli aggettivi, a quelle categorie: un invito a riflettere sulle radici culturali e semantiche dell’omofobia, quelle che rapidamente si fanno strada, interiorizzate, nei silenzi di Léo. «Lo ha fatto per colpa mia». Potrebbe succedere di nuovo, per colpa nostra.

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Close es una película llena de sensibilidad y de pequeños detalles, que nos llega directamente al corazón y pone en relieve un problema que afecta gravemente a la sociedad, pero que no se ataja directamente desde su raíz, la educación. Todo este discurso está apoyado por un estilo de dirección centrado en el punto de vista del protagonista, al que seguimos en plano medio hasta la extenuación.

Lukas Dhont logra una obra mayúscula, demostrando que es uno de los grandes creadores de la actualidad, esperemos que siga haciendo un cine tan personal, que nos haga disfrutar, comprender, pero, sobre todo, aprender que debemos romper con los esquemas actuales, para conseguir alcanzar una sociedad mejor en la que todos seamos libres e iguales.

Dejemos que los hombres sean como quieran ser y definan su masculinidad en función de cómo se sientan en el entorno, no demos cosas por sentado, la sociedad está cambiando y los hombres ya no debemos relacionarnos a través de la rabia y la fuerza. Por todo ello, es sin lugar a dudas una de las mejores películas del año.

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La cinta es un prodigio, dura como el hielo, te deja sin aliento durante todo su visionado. Visualmente es estupenda, y relata muy bien lo que es el amor en la edad de la inocencia. 

Nos lleva por las cuatro estaciones a través del espejo de la familia trabajando en un campo de flores, y todo ello siempre con la cámara en mano, para darle más veracidad a todo lo que vemos. 

Uno de los aspectos que más me ha entusiasmado de la película son las miradas entre los jóvenes protagonistas. Las madres de ambos también tienen un papel fundamental en la trama. 

Tengo que reconocer que la película te deja muy tocado. A mí me costó unos minutos abandonar la sala después de que terminara la película. Muy recomendable.

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L’ elemento che rende Close, mi azzardo a dire, un piccolo capolavoro è sicuramente la sceneggiatura. Scritta a quattro mani dal regista Lukas Dhont e da Angelo Tijssens, ha un ritmo estremamente calmo, riesce a giocare molto sui silenzi senza sprecare parole inutili. Sono proprio le pause e i “non detti” nel film che rendono la storia così profondamente reale, la difficoltà della comunicazione che si abbraccia ad una bravura immensa da parte degli interpreti di riuscire a urlare senza emettere nemmeno un suono.

Tutto è equilibrato, parole calibrate alla perfezione, non ci sono esagerazioni e nemmeno quelle “frasi ovvie” tipiche, tendenzialmente, del cinema italiano come di quello hollywoodiano. Una sceneggiatura che, leggendola senza guardare le immagini, probabilmente ci darebbe la sensazione di leggere il diario segreto di qualcuno. Sicuramente gli interpreti hanno svolto un lavoro eccezionale dando alle lunghe scene di silenzi mille significati. Non solo Eden Dambrine e Gustav de Waele sono stati incredibili, ma anche Émilie Dequenne ha dato prova di controllo ed esperienza per quanto riguarda il suo personaggio, la madre di Remi.

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La última película de Lukas Dhont es, sin duda, una obra hecha de emociones. Si la sensibilidad es uno de los rasgos más denostados en las masculinidades normativas. En el caso de Close este molde se rompe a fuerza de lágrimas. En la audiencia, queda un sabor agridulce que se convierte así en una de las firmas de autor del cineasta belga.

Pero la empatía con el protagonista Léo es incuestionable. Es imposible no sentir en tu propia piel lo que siente el pequeño. Así como dejar correr una lágrima, o un llanto incontenible, al mismo tiempo que lo hacen ellos. Y también reír. Las carcajadas y sonrisas más honestas también son contagiosas.

La teórica feminista Sara Ahmed dice que las emociones y los afectos se forman a través de la circulación de estos. Como una emoción social que recorre la piel de cada persona en colectividad. Y la película Close es un ejemplo paradigmático de ello. Mientras se visiona la cinta, se puede sentir en la atmósfera de la sala cómo una amalgama de emociones irrefrenables llena cada rincón de la estancia. Emociones que buscan transgredir las discriminaciones sociales a través de historias reales y honestas.

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Director Lukas Dhont met his leading actor Eden Dambrine on a train ride. The young boy was sitting in front of him and speaking to friends, but Dhont couldn't hear what he was saying as he himself was listening to Max Richter's music and could only see his facial expressions. He found Eden the perfect fit for the character and approached him if he wouldn't want to take part in a casting. Eden Lambrine immediately said yes and eventually got offered the role of Leo.

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