venerdì 6 gennaio 2023

Avatar 2 - La Via dell'Acqua – James Cameron

dopo 13 anni arriva Avatar 2, ed è bello almeno come il primo.

qualcuno (qui) dice che il film è ispirato alle storie dalla civiltà vedica, ma nelle grandi opere ci possono essere tante interpretazioni, ogni film è negli occhi di chi guarda.

quello che ho visto è un film pieno di citazioni, da Titanic a Moby Dick, la storia di un popolo che vive in simbiosi con la natura, è un film ecologico e politico, il potere imperial-capitalistico sfrutta la natura e gli animali per il profitto, per gli abitanti di Pandora quelle balene sono amiche, hanno un nome, sono quasi di famiglia, per i cacciatori sono solo soldi, non esseri viventi con cui con-vivere  (cos'altro sono quelle navi baleniere giapponesi e norvegesi?).

e poi c'è la sfida all'ultimo sangue, il cattivo terrestre arriva su Pandora per la sua guerra personale, con un dispiego di mezzi immani per uccidere e distruggere (Apocalypse now e il Vietnam?).

il film dura più di tre ore, tutte necessarie per lo sviluppo della storia e delle immagini.

non perdetevelo, andate al cinema, è un po' meglio che in salotto.

buona pandorica (nel senso di Pandora, non di pandoro) visione - Ismaele


ps: negli Stati Uniti d'America (dove nei primi otto mesi del 2022 sono state ammazzate 14000 persone con armi da fuoco, leggi qui) il film è vietato ai minori di 13 anni.


 

 

 

James Cameron realizza con Avatar - La via dell'acqua un sequel che supera il suo predecessore per ambizioni, struttura e traguardi artistici. A fronte di un lavoro estetico sbalorditivo per cura dei dettagli e conseguente potenza delle immagini, si accosta un racconto più complesso, mosso da dinamiche affini ai temi del primo film ma qui rielaborate e aggiornate anche sulla base dei valori della società attuale. Il film, dunque, è nel suo complesso un'esperienza visiva che stabilisce nuove direzioni per il futuro della settima arte.

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Avatar 2 è il cinema allo stato puro: come L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat dei fratelli Lumière, chi guarda non può far altro che seguire il flusso della magia portata su grande schermo e lasciarsi investire dalla bellezza del futuro

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Parlando del nuovo film di Cameron, Avatar, la Via dell’Acqua, vorremmo argomentare solo alcuni aspetti specifici e relativi al suo background solidamente ancorato a miti antichi e elementi sacri che sembrano avere scaturigine nei Vedanta e nella civiltà vedica: tutto fa pensare, infatti, a un lavoro di ricerca, presso i relativi archetipi, di proporzioni notevoli e tale da richiedere un discorso attento. Spendiamo allora qualche parola a proposito di questi precisi riferimenti che punteggiano tutta la pellicola.

Va detto che in sanscrito Avatar è lo strumento del divino (in via traslata, nella pellicola, strumento dell’umano). Originariamente esso è invece proprio il divino che s’incarna per mezzo dell’umano: vi prende dimora nella sua specificità qualitativa finita e delimitata. Tale specificità ha un compito, un Dharma, e detta un sentiero di vita. Il Dharma è più necessario e cogente, più forte delle azioni nei termini delle nude conseguenze e della loro reciproca contiguità apparente; quindi diverso dallo schema causa/effetto (più in carattere col Karma, per esempio). Le azioni dettate dal Dharma possono essere laceranti e ingenerare conflitti interiori, ma per loro tramite si apre la via della conoscenza e della consapevolezza in un attimo messianico-rivelativo (vicino al Kairòs greco) che è attimo felice in quanto conchiuso, in sé perfetto, e tempestivo. Attraverso questa sorta di portale sacro nella temporalità, si compiono il giusto e il bene (non concepibili secondo la legge terrena) in quanto qualità divine e di cui ogni uomo è veicolo di attuazione. In questo senso il Dharma conduce all’armonia con tutto l’esistente, più volte richiamata nel film come plesso sacro di fine e inizio, vita e morte, luce e ombra…

…Il film, va detto, è una festa per gli occhi: gli scenari sono maestosi e suggestivi al massimo grado, le scelte cromatiche felicissime e la messa in scena di un dinamismo plastico che rivela arte e armonia. Ciò che stupisce è che si assiste a un prodotto che concilia scelte commerciali con una possanza concettuale, tematica e espressiva assai superiore alla media di film analoghi.

Chiudiamo ricordando che il messaggio più significativo della pellicola è forse che l’amore è unione, compartecipazione, risonanza emotiva e cognitiva, e che la forma più alta di espressione di esso è abitare il proprio territorio (sia esso fisico o esistenziale o le due cose assieme) piuttosto che esprimerne possesso. Esso è una magia. E nell’odierna epoca ampiamente secolarizzata, tecnocratica e indicatrice di forme di Progresso spesso regressive sul piano valoriale, c’è forse bisogno di un pizzico di quella antica, universale magia e del suo canto.

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Per salvare la vita bisogna amare la vita: gli esseri umani diventano infatti i veri mostri della saga di Cameron. Hanno già distrutto il proprio pianeta, la Terra, e, senza aver imparato nulla, sono pronti a fare la stessa cosa anche con Pandora. Con l'arroganza e la presunzione di chi pensa gli sia tutto dovuto. Vi sfidiamo a non provare vergogna per i cacciatori di tulkun: il messaggio del regista è chiaro. Stiamo uccidendo il pianeta e sembra quasi che ci stiamo divertendo a buttarci nel baratro. Ancora una volta Avatar e i suoi alieni blu (ora anche verdi) ci spingono ad aprire gli occhi e a vederci per ciò che siamo: delle creature in grado di creare bellezza assoluta e contemporaneamente distruggerla. Da che parte vogliamo stare? Intanto, sicuramente da quella del cinema.

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Avatar 2 è in ogni caso un film riuscito perché evoca nuovamente quella sindrome di abbandono, quella nostalgia per un luogo virtuale che tutti abbiamo provato dopo aver visto il primo AvatarTitanic o altri film del genere. C’è un piccolo diorama perfetto e dentro quello dei personaggi tagliati a colpi di accetta che si muovono sui binari certi di una morale facile facile: bianco o nero. Qualche tentennamento ogni tanto, per dare un po’ di sale alla storia e far immaginare un improvviso cambio di fronte. E poi no, tutto torna “normale”: nei film di Cameron i conflitti sono frontali come uno scontro in autostrada con uno che ha preso lo svincolo al contrario. Non c’è alcuna titubanza, niente post-moderno, niente sorpresacce. La trama è sempre quella, scritta ai tempi di Noè e mai più cambiata.

Il manuale Cencelli delle trame, quello sul viaggio dell’Eroe, qui è interpretato come neanche i Dieci Comandamenti da un Protestante. Alla lettera. E funziona tutto. Fino a che non ve lo dimenticherete. Perché il bello dei film di Cameron è che sono quella cosa che tutti vanno a vedere ma che poi nessuno si ricorda più un mezzo personaggio o una situazione. Acqua fresca, insomma. Letteralmente.

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…La realizzazione degli ambienti è straordinariamente dettagliata, così come stupenda è la fauna creata per l’occasione: vera, tangibile e dinamicamente ineccepibile. Pandora è un mondo distante ed alieno ma la capacità visionaria di Cameron lo rende incredibilmente reale. Il regista dipinge luoghi ed animali fantastici, ma lo fa con una caratterizzazione tale da renderli idealmente veri agli occhi dello spettatore.

E’ fuori da ogni dubbio che Avatar: La via dell’acqua fa dell’impatto visivo la sua arma migliore, ma ciononostante non dimentica di rendere al massimo anche dal punto di vista narrativo: il film di Cameron, infatti, appaga il palato di chi cerca consistenza e concretezza anche nella fantascienza più visionaria. La trama si sviluppa dipanandosi in diverse sottotrame, le quali accompagnano la visione durante le oltre tre ore di pellicola. Non c’è spazio per la noia, il racconto degli eventi è sotto ogni punto di vista avvincente, con diversi colpi di scena ben assestati che divertono, ed in alcuni casi commuovono. La colonna sonora è curata magistralmente da Simon Franglen che aveva già contribuito a realizzare quella del primo Avatar, guadagnando anche una nomination ai Golden Globe…

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Come molti blockbuster moderni, Avatar – La via dell’acqua è temporalmente lungo (192 minuti), accodandosi in questo, in apparenza, a una tendenza che sempre più sembra legare il concetto di intrattenimento a un suo artificiale (e spesso superfluo) prolungamento. Eppure, basta la prima mezz’ora di immersione sul pianeta Pandora, e basta seguire la voce narrante del Jake Sully interpretato (ormai con l’uso esclusivo della motion capture, come quasi tutti i personaggi del film) da Sam Worthington, per comprendere che l’utilizzo del tempo, qui, è radicalmente diverso da quello che è d’uso nella stragrande maggioranza dei prodotti mainstream. Da storyteller cinematografico di razza, prima ancora che da creatore di mondi e visioni filmate, Cameron si prende il suo tempo per riannodare i fili del racconto, per far riassaporare allo spettatore i luoghi, gli spazi e i colori di Pandora, i volumi e la vertigine di una stereoscopia che torna a essere quell’utopia immersiva (prolungamento vitale dell’occhio, e stimolo a una visione onnicomprensiva) che il primo Avatar aveva incarnato così bene. Un approccio che vuole ricostruire ed estendere un’epica, insomma: e, in questo senso, Avatar – La via dell’acqua non si fa problemi a essere anche un film genuinamente “lento”, in tutta la sua lunga parte centrale; quella, cioè, che segue l’assalto delle truppe del redivivo colonnello Miles su Pandora, e l’esilio di Jake e della sua famiglia nelle terre del clan dei Metkayina. Perché l’epica vuole il suo tempo per dispiegare il suo potenziale, sfidando anche, se necessario, le abitudini consolidate del suo fruitore…

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