ci sono film che raccontano la nostra vita, più o meno e film che ti catapultano in un mondo altro, fuori dalla nostra comfort zone.
Il tempo dei cavalli ubriachi, del 2000, è uno di quei film inquietanti che raccontano la vita di bambini che devono lottare per la sopravvivenza, senza sapere cosa succederà nei prossimi dieci minuti.
il mondo è molto pericoloso, se vivi in Iran, ai confini con l'Iraq, dove la vita non vale niente.
tanti film horror sono più rassicuranti de Il tempo dei cavalli ubriachi.
c'è da soffrire, ma è un film di serie AAA+, non ve ne pentirete.
buona (gelida) visione - Ismaele
…Vidi Il tempo dei cavalli
ubriachi al cinema e suscitò in me un'emozione fortissima.
Da allora non l'avevo più rivisto ed ero
veramente curioso di sapere se l'impatto emotivo di allora si era mitigato col
passare degli anni.
Invece no. Mi sono emozionato a questa storia
come la prima volta.
La cinepresa di Ghobadi sembra quasi non
raccontare una storia,documenta la realtà alla stessa maniera del neorealismo o
della copiosa cinematografia del maestro Kiarostami(di cui è stato assistente).
La sua è pura verità girata a 24 fotogrammi al
secondo ( come direbbe
Godard), lo sguardo tenero e impaurito di Madi, un ragazzo costretto nel corpo
e nel cervello di un bambino, è il simbolo di una lotta costante e dall'esito
sempre incerto per riuscire a terminare la giornata.
Verrebbe quasi da distogliere lo sguardo da
questo inferno sceso in terra, lembo di terra dimenticato da Dio, questo
non luogo in cui i diritti umani vengono costantemente negati è un urlo alla
coscienza di tutti quelli che sono abituati a vivere nell'opulenza senza
apprezzarlo .
Molti non sanno neanche che alle soglie del
terzo millennio ci sono uomini che vivono con così poco.
Eppure la loro speranza è incrollabile.
…"Il tempo dei cavalli ubriachi" (premiato
a Cannes come miglior opera prima) di Bahman
Ghodabi (iraniano di etnia curda) è la bellissima storia di un solidissimo
amore filiale, quello che tiene uniti questi cinque fratelli sventurati che
oppongono agli infausti eventi che gli sono capitati in sorte la fierezza
tenera di cuori non ancora corrotti. É assai commovente il sentimento che
li lega, la forza che hanno di guardare avanti, l'aiuto vicendevole che prestano
al povero Madi, il fatto che questo fratello sfortunato non è lasciato mai solo
al suo inevitabile destino ma è accompagnato passo passo lungo una strada che
tutti vogliono percorrere insieme, senza che si perda mai la speranza di
vederlo guarito e con un trasporto emotivo che sgorga una purezza di spirito
davvero encomiabile. Tutto ruota attorno al povero Madi, ogni sforzo è
alimentato dal desiderio di non vederlo soccombere alla crudeltà del suo male,
ogni azione individuale è sempre tesa alla ricerca di un bene condiviso, mossa
da un altruismo che è tanto il frutto di una solidità di valori di vecchia
tradizione quanto derivato dalla concreta necessità di compattarsi
familiarmente per meglio resistere alle intemperie di un mondo in continua
fibrillazione…
…
Stupefacente è la simbiosi con il "cavallo": la fatica pesa in modo
equivalente sugli umani come sui quadrupedi, mai adibiti a cavalcatura, tutti
sono bestie da soma e tutti sono ubriachi di lavoro; anche gli asini per
sopportare il freddo vengono ubriacati – almeno una bottiglia di acquavite a
testa per ogni viaggio – al punto da diventare ingovernabili nel momento del
pericolo, quando un’imboscata getta nella confusione la carovana di contrabbandieri.
È il momento di maggior pathos: Eyud è preso dal panico, è palpabile la sua
disperata angoscia nel momento in cui è più evidente la sua solitudine
nell’affrontare le avversità, momento ancora più cinematografico in quanto è
ormai venuta meno la narrazione in voice over della sorella mandata oltre
confine a sposarsi, episodio che accentua la solitudine del ragazzo. L’asino
ubriaco e imbarazzato dal carico, gli spari delle guardie e il dirupo scosceso,
il resto della carovana sparpagliato e in rotta ala ricerca di scampo dalle
pallottole: le riprese sono ancora più concitate e fanno uso di molti dettagli
sugli sforzi degli uomini e degli animali, le inquadrature brevi e movimentate
aumentano a dismisura il senso di smarrimento, le sue urla rotte dal pianto e
dalla paura sono richieste di aiuto lancinanti.
Strazianti quanto l’addio a distanza alla sorella-narratrice, il cui
matrimonio combinato dallo zio (ennesima umiliazione per Eyud, schiaffeggiato
per essersi ribellato) subirà un intoppo, andata in sposa anche lei oltre
confine: come ogni merce è stata contrabbandata e pure Madi è stato oggetto di
scambio, infatti non segue la sorella, perché la neo-suocera non vuole uno
storpio a cui badare, che viene dunque barattato con un mulo, quello stesso da
riportare in Iraq per venire venduto. Un’altalena tra i due versanti che non fa
altro che annullare le differenze tra un lato e l’altro del confine, dove la
fatica di vivere è uguale da qualsiasi punto si guardi.
…Quello descritto nel film è un mondo di bambini costretti a diventare adulti troppo presto, dove ogni giorno si può restare orfani o saltare su una mina, e dove un quaderno, come quello che Ayoub regala ad Amaneh, sembra il dono più prezioso. Il finale è aperto, lasciando spazio alla speranza ma facendo anche intuire che le sofferenze non sono finite.
La camera a
mano di Ghobadi scava nella sofferenza dei personaggi in un film crudo, senza
velleità poetiche ma con il preciso e dichiarato obiettivo di denunciare le
sofferenze di un intero popolo. Il cinema iraniano si conferma uno dei più
vitali sulla scena mondiale; anche se qualcuno comincia ad avere perplessità
dovute alla "furbizia" con cui certi film verrebbero confezionati per
piacere al pubblico dei festival europei, mi pare che i risultati siano spesso
di buon livello. In particolare poi in questo caso, come ad esempio
nell’altrettanto bello Sotto la pelle della città visto a
Torino e non ancora distribuito in Italia, la partecipazione alla sorte dei
personaggi sembra sincera e la denuncia efficace.
Forse non è
un capolavoro, sicuramente un film da vedere, soprattutto per chi ancora crede
che il Cinema non debba essere solo intrattenimento ma anche arte, cultura,
impegno.
…We see them in the back of a truck returning to their village, and
there is a shot that emotionally charges the whole film. Ayoub and Ameneh sit
close together, both helping to hold little Madi. Ayoub caresses the hair of
the little creature, and Ameneh gently kisses him.
They love their crippled brother, who never speaks throughout the
film, who must have regular injections of medicine, who needs an operation, who
will probably die within the year even if he gets the operation.
The truck is stopped by guards and impounded. The three siblings
struggle together through the snow, separated now from their father. Their
existence is more desperate than ever. They become involved with mule-trains
that smuggle truck tires over the mountains to Iraq. The high mountain passes
are so cold that the mules are given water laced with alcohol, to keep them
going--thus the title. Ameneh agrees to marry into a Kurdish family from across
the mountains, if they will pay for Madi's operation. What happens then I will not
reveal…
…The pathetic and deformed figure of Madi is a key icon in this film. His utter helplessness and doomed condition provide a metaphor for a stunted and ultimately hopeless existence. And yet his family’s solicitousness and loving affection for him is extraordinary. Ayoub and Ameneh are constantly caressing him, buying him presents, and administering medicine to him at all times. This image of loving family bonding for a figure whom other people might pity but still shrink away from is a lasting one and a compelling tribute to Kurdish values. Ameneh and Madi are probably brother-and-sisters in real life, because they have the same last name, Ekhtiar-dini. Indeed there are five credited cast members in the film with that last name. The appealing figure of Ameneh is also a key image in the film. She is the sympathetic, affectionate watcher, the representative of universal innocence that deserves a better and safer future. We can all relate to Ameneh’s plight and to this film.
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