venerdì 27 gennaio 2023

Il tempo dei cavalli ubriachi - Bahman Ghobadi

ci sono film che raccontano la nostra vita, più o meno e film che ti catapultano in un mondo altro, fuori dalla nostra comfort zone.

Il tempo dei cavalli ubriachi, del 2000, è uno di quei film inquietanti che raccontano la vita di bambini che devono lottare per la sopravvivenza, senza sapere cosa succederà nei prossimi dieci minuti.

il mondo è molto pericoloso, se vivi in Iran, ai confini con l'Iraq, dove la vita non vale niente.

tanti film horror sono più rassicuranti de Il tempo dei cavalli ubriachi.

c'è da soffrire, ma è un film di serie AAA+, non ve ne pentirete.

buona (gelida) visione - Ismaele


 

…Vidi  Il tempo dei cavalli ubriachi al cinema e suscitò in me un'emozione fortissima.
 Da allora non l'avevo più rivisto ed ero veramente curioso di sapere se l'impatto emotivo di allora si era mitigato col passare degli anni.
Invece no. Mi sono emozionato a questa storia come la prima volta.
La cinepresa di Ghobadi sembra quasi non raccontare una storia,documenta la realtà alla stessa maniera del neorealismo o della copiosa cinematografia del maestro Kiarostami(di cui è stato assistente).
La sua è pura verità girata a 24 fotogrammi al secondo ( come direbbe Godard), lo sguardo tenero e impaurito di Madi, un ragazzo costretto nel corpo e nel cervello di un bambino, è il simbolo di una lotta costante e dall'esito sempre incerto per riuscire a terminare la giornata.
Verrebbe quasi da distogliere lo sguardo da questo inferno sceso in terra, lembo di terra dimenticato da Dio,  questo non luogo in cui i diritti umani vengono costantemente negati è un urlo alla coscienza di tutti quelli che sono abituati a vivere nell'opulenza senza apprezzarlo .
Molti non sanno neanche che alle soglie del terzo millennio ci sono uomini che vivono con così poco.
Eppure la loro speranza è incrollabile.

da qui

 

 

"Il tempo dei cavalli ubriachi" (premiato a Cannes come miglior opera prima) di Bahman Ghodabi (iraniano di etnia curda) è la bellissima storia di un solidissimo amore filiale, quello che tiene uniti questi cinque fratelli sventurati che oppongono agli infausti eventi che gli sono capitati in sorte la fierezza tenera di cuori non ancora corrotti. É assai commovente il sentimento che li lega, la forza che hanno di guardare avanti, l'aiuto vicendevole che prestano al povero Madi, il fatto che questo fratello sfortunato non è lasciato mai solo al suo inevitabile destino ma è accompagnato passo passo lungo una strada che tutti vogliono percorrere insieme, senza che si perda mai la speranza di vederlo guarito e con un trasporto emotivo che sgorga una purezza di spirito davvero encomiabile. Tutto ruota attorno al povero Madi, ogni sforzo è alimentato dal desiderio di non vederlo soccombere alla crudeltà del suo male, ogni azione individuale è sempre tesa alla ricerca di un bene condiviso, mossa da un altruismo che è tanto il frutto di una solidità di valori di vecchia tradizione quanto derivato dalla concreta necessità di compattarsi familiarmente per meglio resistere alle intemperie di un mondo in continua fibrillazione…

da qui

 

Stupefacente è la simbiosi con il "cavallo": la fatica pesa in modo equivalente sugli umani come sui quadrupedi, mai adibiti a cavalcatura, tutti sono bestie da soma e tutti sono ubriachi di lavoro; anche gli asini per sopportare il freddo vengono ubriacati – almeno una bottiglia di acquavite a testa per ogni viaggio – al punto da diventare ingovernabili nel momento del pericolo, quando un’imboscata getta nella confusione la carovana di contrabbandieri. È il momento di maggior pathos: Eyud è preso dal panico, è palpabile la sua disperata angoscia nel momento in cui è più evidente la sua solitudine nell’affrontare le avversità, momento ancora più cinematografico in quanto è ormai venuta meno la narrazione in voice over della sorella mandata oltre confine a sposarsi, episodio che accentua la solitudine del ragazzo. L’asino ubriaco e imbarazzato dal carico, gli spari delle guardie e il dirupo scosceso, il resto della carovana sparpagliato e in rotta ala ricerca di scampo dalle pallottole: le riprese sono ancora più concitate e fanno uso di molti dettagli sugli sforzi degli uomini e degli animali, le inquadrature brevi e movimentate aumentano a dismisura il senso di smarrimento, le sue urla rotte dal pianto e dalla paura sono richieste di aiuto lancinanti.

Strazianti quanto l’addio a distanza alla sorella-narratrice, il cui matrimonio combinato dallo zio (ennesima umiliazione per Eyud, schiaffeggiato per essersi ribellato) subirà un intoppo, andata in sposa anche lei oltre confine: come ogni merce è stata contrabbandata e pure Madi è stato oggetto di scambio, infatti non segue la sorella, perché la neo-suocera non vuole uno storpio a cui badare, che viene dunque barattato con un mulo, quello stesso da riportare in Iraq per venire venduto. Un’altalena tra i due versanti che non fa altro che annullare le differenze tra un lato e l’altro del confine, dove la fatica di vivere è uguale da qualsiasi punto si guardi.

da qui

 

…Quello descritto nel film è un mondo di bambini costretti a diventare adulti troppo presto, dove ogni giorno si può restare orfani o saltare su una mina, e dove un quaderno, come quello che Ayoub regala ad Amaneh, sembra il dono più prezioso. Il finale è aperto, lasciando spazio alla speranza ma facendo anche intuire che le sofferenze non sono finite.

La camera a mano di Ghobadi scava nella sofferenza dei personaggi in un film crudo, senza velleità poetiche ma con il preciso e dichiarato obiettivo di denunciare le sofferenze di un intero popolo. Il cinema iraniano si conferma uno dei più vitali sulla scena mondiale; anche se qualcuno comincia ad avere perplessità dovute alla "furbizia" con cui certi film verrebbero confezionati per piacere al pubblico dei festival europei, mi pare che i risultati siano spesso di buon livello. In particolare poi in questo caso, come ad esempio nell’altrettanto bello Sotto la pelle della città visto a Torino e non ancora distribuito in Italia, la partecipazione alla sorte dei personaggi sembra sincera e la denuncia efficace.

Forse non è un capolavoro, sicuramente un film da vedere, soprattutto per chi ancora crede che il Cinema non debba essere solo intrattenimento ma anche arte, cultura, impegno.

da qui

 

…We see them in the back of a truck returning to their village, and there is a shot that emotionally charges the whole film. Ayoub and Ameneh sit close together, both helping to hold little Madi. Ayoub caresses the hair of the little creature, and Ameneh gently kisses him.

They love their crippled brother, who never speaks throughout the film, who must have regular injections of medicine, who needs an operation, who will probably die within the year even if he gets the operation.

The truck is stopped by guards and impounded. The three siblings struggle together through the snow, separated now from their father. Their existence is more desperate than ever. They become involved with mule-trains that smuggle truck tires over the mountains to Iraq. The high mountain passes are so cold that the mules are given water laced with alcohol, to keep them going--thus the title. Ameneh agrees to marry into a Kurdish family from across the mountains, if they will pay for Madi's operation. What happens then I will not reveal…

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The pathetic and deformed figure of Madi is a key icon in this film. His utter helplessness and doomed condition provide a metaphor for a stunted and ultimately hopeless existence. And yet his family’s solicitousness and loving affection for him is extraordinary. Ayoub and Ameneh are constantly caressing him, buying him presents, and administering medicine to him at all times. This image of loving family bonding for a figure whom other people might pity but still shrink away from is a lasting one and a compelling tribute to Kurdish values. Ameneh and Madi are probably brother-and-sisters in real life, because they have the same last name, Ekhtiar-dini. Indeed there are five credited cast members in the film with that last name. The appealing figure of Ameneh is also a key image in the film. She is the sympathetic, affectionate watcher, the representative of universal innocence that deserves a better and safer future. We can all relate to Ameneh’s plight and to this film.

da qui


 

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