ho letto un paio d'anni fa il libro di Paolo Cognetti (qui), e mi era piaciuto molto, e temevo per il passaggio dal libro al film.
e mentre lo guardavo tutti i dubbi svanivano.
i due protagonisti sono bravissimi (come tutti gli attori, d'altronde), il merito è anche dei due bravi registi belgi, naturalmente.
Bruno (Alessandro Borghi) è davvero eccezionale, sotto quella barba non immagini che ci sia un attore.
è un uomo d'altri tempi, il mercato, i contatti, le banche lo fregano, e lui viene chiuso in un angolo, senza via d'uscita.
Pietro (Luca Marinelli) è uno che non trova la sua strada (e poi la trova in Nepal), ha lasciato con rancore il padre, un bravissimo Filippo Timi, che soffre tantissimo dalla lontananza del figlio.
solo con la madre, l'ottima attrice Elena Lietti, Pietro riesce a tenere i contatti e attraverso di lei Bruno e Pietro riescono a non perdersi.
alla fine esci dal cinema contento, contento di aver (ri)conosciuto Bruno e Pietro.
insomma, un film da non perdere.
buona (selvaggia) visione - Ismaele
Come un libro italiano (di Paolo Cognetti, ed.
Einaudi, Premio Strega 2017) sia diventato produttivamente e autorialmente un
film belga, perché tali sono i due registi – è una storia interessante e
anomala che meriterebbe di essere raccontata a parte (tutt’al più gli stranieri
vanno a ricavare un film da un nostro classico o un classico nocentesco, non
certo dalla narrativa recente). Intanto si deve constatare come questo
spiazzamento, questa dislocazione in sensibilità altre abbia fatto bene a Le otto montagne. Che ha poco o niente del cinema
italiano attuale e anche del passato, dei suo antichi vezzi e vizi, dei suoi
caratteri più detestabili, riuscendo a evitare ogni slittamento nella commedia
e a manenersi su un registro di sobrietà e rigore nordico-fiammingo tra
Bresson, il primo Bruno Dumont, magari Delvaux (André, il regista di cinema,
non il pittore). Mdp che guarda anzi contempla paesaggi interiori e esteriori
(e i secondi come estensione dei primi), quelli ovviamene maestosi dell’alta
Val d’Aosta e però zero retorica e niente cartoline tipo Heidi o Belle e Sebastian.
Cinema della lentezza, per adeguarsi al ritmo dei suoi due caratteri principali
e a quello della natura e una volta tanto non è una postura
ideologico-ecologista. Bergfilm, film di montagna come ormi non se ne fanno più
(la montagna non è sexy, il mare lo è, quindi il beach movie prevale), ma senza
avventure, senza scalate muscolari ad alto tasso di difficoltà che diventano
sfide con e contro sé stessi e ordalie. Tutt’al più escursioni su ghiaccio come
sommesso rito di iniziazione alla vita. La montagna che si fa coprotanista a
influenzare e forgiare vita e destino dei due caratteri principali, Pietro e
Bruno, il primo ragazzino di città (Torino), di famiglia borghese in vacanza in
un piccolo paese della valle – siamo negli anni Ottanta -, il secondo nato e
cresciuto al vilaggio, poco a scuola, molto a lavorare fin da bambino tra
stalle, pascoli e alpeggi. L’uno alter ego, uguale e rovesciato, dell’altro.
Diventerano amici per la vita, letteralmente. Si perderanno da adolescenti, si
ritroveranno da adulti, non si separeranno mai del tutto...
… Il romanzo di Paolo Cognetti Le otto
montagne gode di uno splendido adattamento grazie ad una co-produzione europea
artisticamente notevole ed attenta al materiale originale. Un'elegia alpina
lenta e solenne in senso prettamente positivo, impreziosita da un ottimo
Alessandro Borghi.
…Paolo Cognetti ha svelato alcuni dettagli
sull’impeccabile preparazione di Alessandro Borghi e Luca Marinelli per Le otto montagne: “Non sono un eremita, uno da
storie cupe. Spesso vengo descritto in maniera noiosa, triste, ma non sono così
io, e non è così la montagna. Lo ha capito benissimo Alessandro Borghi, che è
riuscito a cogliere il lato comico del montanaro dopo aver conosciuto un paio
di miei amici. Anche Luca Marinelli è stato a lungo con me per entrare nel
personaggio“, ha dichiarato lo scrittore.
“Lui e Alessandro Borghi sono
molto romani, e la loro romanità è una cosa che mettono spesso sul piatto. Ma
sono stati straordinari: abbiamo passato tre mesi insieme, fatto tante
camminate: alla fine, se ha funzionato, è stato grazie alla montagna“,
ha proseguito Cognetti per poi aggiungere “La montagna è un luogo felice,
soprattutto quando sei bambino: è un luogo di avventura, ed è così che la vivo.
Ed è un luogo che oggi, dopo il Covid, si sta ripopolando: è bello vedere qui
persone che prima venivano su soltanto per un paio di settimane all’anno“.
Infine, Paolo Cognetti ha lodato anche il
lavoro dei registi: “All’inizio avevo paura che il film venisse
fatto altrove, e che la montagna che avevo raccontato venisse tradita. Invece
ne è uscito un ritratto fedele, ed è la cosa che mi piace di più riguardandolo.
Tutti si sono buttati anima e corpo nel capire: sono venuti qui, hanno
ascoltato, vissuto, scoperto. Un giorno ho trovato un fonico arrampicato su una
roccia: si era svegliato e aveva deciso di passeggiare, e già che c’era si era
messo a registrare un po’ di suoni della natura“.
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