giovedì 12 gennaio 2023

Ahed's Knee - Nadav Lapid

Y è un regista che sta per iniziare a girare un film su Ahed Tamimi (chi non la conosce provi quie si trova nel vicolo cieco delle autorizzazioni necessarie a girare il film.

in Israele si possono girare film patriottici, non critici o sui nemici, gli fanno capire senza equivoci, e cercano di fargli cambiare idea.

ma Y è un tipo testardo e non ci sta.

il film racconta i turbamenti del regista, le censura dell'unica democrazia di quella regione (ci dicono sempre i fedeli pro-Israele).

un film che merita, Nadav Lapid è bravo ed emarginato in patria.

buona (antipatriottica) visione - Ismaele



 

a rendere straordinario questo film è (anche) il linguaggio  adottato da Nadav Lapid. In un’estetica che cerca di tradure in immagini – dettagli che sembrano anticipare l’azione o suggerirla – il ribollire psichico di Y. Montaggio secco, chirurgico. Ritmo concitato (con momenti di stasi e contemplazione). Attenzione alle architetture, alle geometrie inscritte dagli umani nella primitività di quella parte di Sinai. Un cinema moderno anzi modernista, nudo, duro, senza orpelli né compiacimenti o bellurie. Ha’Barech si merita la Palma d’oro, ma è molto difficile anzi impossibile che gliela diano. E però dove trovare oggi un cinema che mostra le proprie lacerazioni, il sangue e il dolore, il furore e la disperazione come questo?

da qui

 

In Ahed’s Knee c’è tutto ciò che un regista legato al proprio mondo, alla propria famiglia, al proprio paese, pensa e dice del proprio mondo, della propria famiglia, del proprio paese. E come in Synonimes, in maniera più letterale ma più lucida, meno compiaciuta e più autentica, Lapid non le manda a dire, definisce Israele un paese che non riconosce l’arte perché non riconosce la bellezza e se da regista celebre e privilegiato si sente libero di accusare il potere, da uomo e da figlio si abbandona impudicamente al dolore, dando al suo alter ego l’occasione di piangere sconsolato in un finale assolutorio che stride con l’isteria del film, ma è forse un’altra possibile fuga da una situazione senza fine…

da qui

 

Lapid ci regala un film arrabbiato e discontinuo, che alterna ritmi sostenuti con un susseguirsi di panoramiche a schiaffo disorientanti o distensive, dove lo spazio naturale e architettonico diventa un’occasione di pausa e di respiro da questo tormento, che vive Y tanto quanto lo spettatore; perché è difficile rimanere indifferenti o non provare neanche a opporsi alla carica emotiva di questo personaggio, che sembra non ragionare mai. Se non nel finale, dopo uno sfogo disperato, dopo una prova estrema, quando si rende conto che forse non è Yahalom la colpevole, ma lo sono tutti gli israeliani, che accettano in silenzio, rendendo quindi vano il suo tentativo di ribellione.

da qui

 

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