lunedì 5 luglio 2021

I fratelli Karamazov – Sandro Bolchi

l'estate scorso ho letto, non è mai troppo tardi, I fratelli Karamazov (qui), questi giorni ho visto lo sceneggiato Rai del 1969.

grandi attori, una storia straordinaria, nella quale vengono toccati molti temi della vita, amore, odio, vendetta, religione, giustizia, libero arbitrio, soldi, omicidio, bambini, perdono, insomma non è proprio una storia per distrarsi (meno male).

lo sceneggiato è tutto girato in interni al chiuso, segue il libro abbastanza fedelmente, gli attori, di provenienza teatrale, sono bravissimi, qualcuno anche di più, Lea Massari, Corrado Pani, Salvo Randone, Carla Gravina, Umberto Orsini, per esempio, musica di Piero Piccioni, regia di Sandro Bolchi.

oggi direbbero che è una serie, ma è una bugia, è uno sceneggiato della Rai.

che abbiate o no letto il romanzo, guardatevi lo sceneggiato, saranno sei ore indimenticabili, promesso - Ismaele


 

QUI lo sceneggiato completo, in sette puntate, su Raiplay

 

 

 

In 350 minuti (divisi in 7 indimenticabili puntate) uno sceneggiato nonché uno dei capolavori televisivi della Rai "che fu". Affascinante, teso, ben girato, assai aderente al testo originale (mostro di perfezione che si sarebbe detto inavvicinabile), ottimamente interpretato, avvincente come un giallo ben congegnato. Una specie di miracolo insomma, che oggi si fa apprezzare per meriti squisitamente cinematografici e non solo divulgativi. Imperdibile.

da qui

 

 

Mi è piaciuto vedere degli attori che recitano, e per quel che passa ora il piccolo schermo, con le sue produzioni di fiction, un attore che recita è qualcosa di straordinario. Non voglio sparare a zero sulla tv italiana, è fin troppo facile, e se si ha piacere di vedere dei bravi attori basta farsi un giro al Piccolo Teatro; però è sconfortante non poter fruire quasi mai, nei canali nazionali, di buona recitazione. Salvo Randone interpreta un Fëdor avido, untuoso, ipocrita, e che suscita insieme – incredibilmente – ribrezzo e simpatia; Corrado Pani risalta per la sua voce, all’occorrenza violenta, pentita, isterica; Umberto Orsini interpreta un personaggio complesso, Ivan, miscuglio di razionalità crudele, nostalgia del divino e senso di colpa, tutte sempre presenti ma in percentuali mutevoli e in schizofrenia crescente: loro, e insieme a loro Lea Massari, Carla Gravina e altri, recitano con una convinzione che ti spinge a guardarli, ognuno con le sue sfumature, chi più teatrale chi meno, ma tutti saldamente ancorati al proprio ruolo.
È poi naturale, trovandoci di fronte ad attori di teatro, che le sequenze siano lunghe e gli stacchi di montaggio – così mi è sembrato – pochi; da qui anche le pecche di cui parlavo sopra (le sequenze non rifilmate, la cinepresa rigida), ma da qui anche l’ulteriore ragione per cui mi ha fatto piacere vedere questo sceneggiato. Si respira infatti vedendo queste scene ininterrotte, si apprezza il continuo della recitazione, l’impressione di una diretta. E in ciò sta certo la maggiore distanza con i prodotti televisivi attuali: così non si gira né si sceneggia più. Né – facendo un passo ulteriore – si dedica tanto spazio a conversazioni, dibattiti, elucubrazioni, fors’anche a scapito di certi snodi di trama. Ma se in fondo per Dostoevskij l’intera vicenda era sostanzialmente un pretesto per discutere idee e mettere in moto personalità, allora anche lo sceneggiato ne deve tener conto. Un esempio per tutti è la mezzora, non intercalata da altre linee narrative, interamente dedicata al dialogo tra Ivan e Alëša su un progetto del primo, il poemetto Il grande inquisitore. Il tormento teologico di Ivan si fa letteratura e i due discutono sul problema del rapporto tra cristianesimo delle origini e peso tragico della gestione del potere. Temi apparentemente desueti, lontani e che, per come trattati da Dostoevskij, appaiono fuori fuoco ora così come dovevano apparirlo nel ’69 quando fu trasmesso lo sceneggiato. Però è proprio dall’apparente eccentricità di questo e di altri discorsi che emergono temi eterni e argomentati con acume: il rapporto potenti-popolo (la «democrazia del balcone» di montanelliana memoria); la “proprietà” di un’idea e il problema della sua distorsione da parte di terzi; i confini del senso di colpa; la morbosità del pubblico e i processi-spettacolo.
Il merito di questo sceneggiato è di aver dato spazio e voce a tutto ciò; e se è ovvio che avere alle spalle Dostoevskij è di per sé un vantaggio, resta in ogni caso il bello di un contenitore di qualche decennio fa al quale è piacevole poter attingere e attraente guardare proprio attraverso la lente degli anni che sono passati.

da qui

 

Uno dei migliori sceneggiati prodotti dalla RAI in un tempo in cui riusciva a coniugare felicemente cultura ed intrattenimento: il fluviale capolavoro di Dostoevskij, in apparenza troppo complesso per prestarsi ad una riduzione, convince ed appassiona grazie soprattutto al cast eccezionale, in larga parte di provenienza teatrale. Indimenticabili Randone e Massari, ma anche gli altri risultano all'altezza, ripetendo il miracolo di identificazione fra attori e personaggi letterari già avvenuto nei Promessi sposi, diretto sempre da Sandro Bolchi solo un paio di anni prima.

da qui

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