domenica 30 marzo 2025

Berlino, estate '42 - Andreas Dresen

A un gruppo di giovani antinazisti che inviavano segretamente messaggi in Unione Sovietica la Gestapo diede il nome di Orchestra rossa.

Il regista segue tutti, ma sopratutto il martirio di Hilde Coppi nella sua permanenza in prigione, dove partorì un bambino, Hans.

Hilde finirà ghigliottinata come tutti gli altri, come negli stessi anni accadde al gruppo della Rosa bianca.

Film di amore, resistenza, coraggio, violenza e morte, c'è un tempo per l'amore, quello per Hans padre e Hans figlio, ed è un tempo che durerà per sempre.

E' un film necessario, per ricordare il passato e temere il futuro.

Si può trovare solo in una quarantina di sale in tutta Italia, cercatelo, non deluderà nessuno (tranne i nazisti).

Buona (resistente) visione - Ismaele


ps1: per questi tempi tristi nei quali chi dice qualche parola contro la enormemente costosa militarizzazione dei paesi europei viene tacciato (da Giorgia Meloni) di volere l'Europa come una comunità hippie (chissà se lo direbbe ancora se la figlia crepasse, fra qualche anno, non glielo auguriamo, per portare la democrazia nel mondo)

ps2: mutatis mutandis, nel nostro piccolo, mi sono venuti in mente i giovani di Ultima Generazione, spesso persone laureate in università pubbliche italiane (mica come quella ministra impresentabile e insopportabile che si compra la laurea da fuorilegge autorizzati), alle quali si cerca di rovinare la vita in tutti i modi, a partire dai fogli di via, come a tutti gli altri sotto minaccia del DDL 1660, misura abbastanza fascista (da parte di un governo impresentabile e insopportabile).


 

  

Apparentemente freddo in una ricostruzione che guarda al martirio della protagonista sul modello di Dreyer (Hilde che volge lo sguardo verso la luce chiudendo gli occhi prima di essere ghigliottinata), Berlino, Estate ’42 trova invece nei momenti più privati una coinvolgente intensità, a cominciare dal legame con il figlio appena nato fino a rapporto con la sua carceriera, Miss Kuhn, ottimamente interpretata da Lisa Wagner, che non scende mai in un inutile sentimentalismo ma nel quale si percepisce una complicità nascosta e un rispetto autentico. Evidentemente quella di Hilde Coppi è una storia che Dresen sentiva particolarmente. La voce fuori-campo oggi del figlio ottantenne sulla madre dimostra quanto queste lettere d’amore (scritte proprio dalla protagonista) hanno ancora lo stesso impatto nel corso del tempo. Potrebbe sembrare un finale di troppo, invece sottolinea ancora di più l’eredità lasciata da Hilde Coppi.

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La qualità migliore del film (presentato a Berlino) è la finezza con cui mette in scena la "normalità" della vita sotto un regime, avvicinandosi alla complessità di anni fa, portata ai massimi livelli dal primo Heimat di Reitz. Di contro, con l'avvicinarsi dell'arresto dei Coppi, la fotografia da luminosa si fa cupa, addensando le ombre e i grigi, e porta a una parte finale che mostra in maniera classica soprattutto il destino tragico di Hilde, arrestata all'ottavo mese di gravidanza, costretta a partorire in prigione e poi decapitata nel 1943. Ma quando l'attrice Liv Lisa Fries si muove con un vestito rosso fuoco nel carcere in cui è detenuta, da una semplice apparizione si percepisce la forza della sua esistenza e di conseguenza la necessità di questo film.
Berlino, estate '42 è un ritratto dolce e malinconico di un'esperienza di militanza dimenticata dalla storia ma rivivificata dal cinema. In particolare, Dresen trasforma la cronaca storica nell'elegia di una donna indomita, spaventata e per questo umanissima, confermandosi autore capace di comporre ritratti femminili di notevole impatto, dopo Una mamma contro G.W. Bush. Nell'incontro tra storia e finzione, il regista sa fare del solido cinema drammatico, trasformando un episodio minore in un monito universale sulla necessità di resistere contro un potere abnorme.

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è il fulcro della vicenda, con una narrazione che alterna in continuazione i tetri ambienti della galera al sole che benedice la voglia di vivere dei protagonisti. 

Dresen è molto bravo a rendere tutti i suoi personaggi estremamente veritieri, senza scadere nella retorica del nazista brutale e dell’antinazista puro e senza paura. 

Infatti, se da un lato mostra una Hilde intimorita e piena di paura per la sorte sua e del piccolo Hans, il bambino chiamato con lo stesso nome del padre, in cui riesce a trovare la forza per non abbandonarsi alla disperazione, dall’altro descrive i suoi carcerieri senza i cliché di genere. Riuscendo anche a donare alla secondina Anneliese Kühn (Lisa Wagner) una parvenza di umanità.

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A partire da Hilde, minuta e volitiva neomamma all’ombra del patibolo, capace di consolare tutti senza risultare patetica, che pare essere attraversata per alcuni istanti decisivi dal dolore profondo e ancestrale di una madre come una protagonista di diversi film di Ken Loach. I rari, misconosciuti e volontariamente a lungo taciuti episodi di resistenza antinazista definiti dalla Gestapo come la cosiddetta “Orchestra rossa” sono stati occultati alle masse tedesche occidentali fino agli anni settanta in quanto i resistenti erano perlopiù comunisti, orientati e in contatto con l’URSS. Il sessantenne Dresen che proviene dalla Turingia, quindi dalla ex Germania Est, ha come provato a scostare l’alone di propaganda eroica (ma più attinente al vero) che su queste ragazze e ragazzi ammazzati dai nazisti è pesata nelle rievocazioni storiche delle autorità sovietiche nel tempo. Ponendo Hilde, Hans, Harro, Libertas, ecc… sul formato del grande schermo: esistenze normali, qualunque, la cui etica, passione, giustizia sociale riprende finalmente a vivere.

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