giovedì 13 marzo 2025

Mickey 17 - Bong Joon-ho

quando un regista non Usa va a girare negli Usa quasi sempre viene "addomesticato" dai produttori,

nel caso di Bong Joon-ho il produttore (Warner Bros) non è riuscito a imporsi sul regista (lo si spiega qui), che ha girato un altro filmone cinque anni dopo Parasite.

Mickey 17 è un film di fantascienza, ma non solo, è un film politico (qui lo spiega il regista), come in Snowpiercer un gruppo di varia umanità è costretto a vivere insieme.

un comandante/dittatore (Mark Ruffalo), che assomiglia in certe pose a Mussolini, insieme alla moglie (Toni Collette), che forse è quella che ha i pantaloni, governano senza pietà l'astronave che arriva sul pianeta ghiacciato.

Mickey 17 (interpretato da uno straordinario Robert Pattinson, che riesce anche a raddoppiarsi) è uno schiavo per debiti costretto a morire e a rinascere senza fine, potenza della dannata tecnologia.

in poco più di due ore si riesce a vedere un film pieno di grandi cose, film politico, d'avventura, animalista, fantascientifico, d'amore, ricco di avventure, sarebbe un peccato mortale non andare al cinema a godere di uno dei film più belli dell'anno. 

buona (straordinaria) visione - Ismaele 




 

Quando un regista ha successo, il mondo sembra aspettare con ansia la sua caduta, l’opera “non all’altezza”. Bong Joon-ho ci serve su un piatto d’argento, con gusto anarchico, la “grande delusione”: un film-caos che è simultaneamente omaggio a Nausicaa di Miyazaki, cinema slapstick che guarda al muto, viaggio avventuroso dell'(anti)eroe, metafora sci-fi alla Verhoeven, il tutto rielaborato in uno stile personale e riconoscibile. Per quanto mi riguarda ho amato molto Mickey 17. Vi ritrovo un autore innamorato del cinema e fedele a se stesso e alle proprie ossessioni (la lotta di classe, la rapacità che dilania l’animo umano, la struggente debolezza degli ultimi, l’ambientalismo). E come dimenticare l’assoluta indifferenza che circonda Mickey e le sue “insignificanti” morti? Il tono ludico cela immagini nerissime, una riflessione sulla natura del potere e sulla spettacolarizzazione della morte.
Ma c’è anche lo smagliante piacere visivo, quell’occhio formidabile per la dissezione degli spazi e la stratificazione dell’inquadratura. A mio parere un film imperfetto e meraviglioso, fieramente “multiplo e sacrificabile” come il suo protagonista.

da qui

 

Bong è più interessato a rompere il sistema che ad ammirarlo in funzione, e i suoi temi abituali di ambientalismo, bene comune e ribellione di fronte alle ingiustizie richiedono esplosività sovversiva.

La capacità del regista di creare momenti di cinema, complici gli impeccabili valori produttivi degli effetti speciali e della fotografia di Darius Khondji, continua ad avere pochi eguali. Lo stesso può dirsi del suo gusto peculiare a livello di tono, sospeso tra il grottesco, la commedia e il drammatico in quella che è ormai una sorta di firma personale: mai troppo assurdo da minare il pathos, né pienamente addentro al linguaggio convenzionale del genere sci-fi declinato all'hollywoodiana.
Il problema casomai è Bong stesso e il suo universo già esistente, così ricco e vivido, che dopo Snowpiercer è sempre sembrato un po' asfittico al di fuori del fenomeno Parasite. Chissà che la strada giusta non sia quella di un ritorno sulla Terra per uno dei registi sinonimi con l'epoca dorata del cinema coreano.

da qui

 

Mickey 17 non scombinerà nessuna classifica di preferenza nella filmografia del nostro e magari i fan più incalliti potranno rimpiangere quando Bong picchiava più duro, ma il suo discorso, il suo riuscire a parlare degli ultimi, dei reietti, prendendo in giro il potere (fattosi tristemente realistico dopo le riprese) con toni sì caricaturali, forse di grana grossa, ma espliciti nei riferimenti, è qualcosa che ci meritiamo anche dall'arte più popolare a cui questo film fieramente appartiene, con tutti i se e i ma del caso. Arte popolare poi realizzata al proprio meglio, perché regia e montaggio rimangono sempre di altissimo livello.

Soprattutto, è la prova definitiva di quanto Pattinson sia un bravo attore.

Non gli è bastato The rover (o High life, per stare nel genere) per farvi dimenticare Twilight. Lontano però da robe come The Batman ha la possibilità di destreggiarsi nella commedia brillante che ancora gli mancava, riuscendo a padroneggiare molteplici registri in un film dove farla fuori dal vaso era un attimo.

Se proprio vogliamo, il vero vincitore è lui.

Oltre che il buon cinema, ovviamente. Riuscirci a queste condizioni era un'ulteriore difficoltà.

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Bong è noto per lasciare ampio margine di libertà ai suoi attori, e questo è particolarmente evidente con Ruffalo, che sembra imitare il tono rauco di Trump, e con Collette, che invece riesce a dosare meglio la sua espressività (in altre parole, non arriva agli eccessi di Swinton in Snowpiercer). Forse le interpretazioni in Parasite o Mother sembrano più contenute e impassibili semplicemente perché non parlo la lingua in cui sono recitate. Ma è anche vero che molti dei film non hollywoodiani di Bong si concentrano su dinamiche familiari: The Host e Parasite mostrano famiglie in crisi che si uniscono e si distruggono, mentre Mother racconta la storia di una donna che cerca di scagionare il figlio mentalmente disabile da un’accusa di omicidio. Esiste già un legame emotivo di base su cui il film può costruire e approfondire.

Da americano poco raffinato, la differenza tra questi film e le sue opere in lingua inglese mi ricorda un po’ le attuali stagioni de I Simpson rispetto agli episodi migliori dei primi dieci anni: è sempre lo stesso show, ma lo sforzo e le cuciture sono più visibili. Il più fantascientifico Mickey 17, come Okja e Snowpiercer, ha molte più spiegazioni da fornire prima ancora di poter cominciare davvero, e poi si muove freneticamente tra personaggi che cercano di uccidersi a vicenda. Probabilmente è inevitabile per film che si confrontano più direttamente con la cultura americana; il fatto che Mickey 17 non abbia abbastanza tempo per sviluppare a fondo tutte le sue relazioni (nonostante i suoi 137 minuti, più lunghi della media) perché è troppo occupato a lavorare, potrebbe essere proprio il punto centrale. Se non lo è, beh, di certo calza a pennello. Mickey 17 potrà anche essere un caos, ma non sembra mai una resa.

da qui

 

Come il suo protagonista, il film stesso è scisso, un blockbuster con meno azione del solito, un film d’autore più didascalico del previsto, un film d’azione caratterizzato da un tono mesto, malinconico e ridicolo. È la complessità, questa, di un autore con la capacità (rara) di lavorare dentro e fuori i generi, rimodellando i confini a suo uso e consumo, riuscendo a far emergere anche in una pantomima fantascientifica un’umanità inaspettata. La sfida della satira ormai è riuscire a interpretare la realtà superandola, perché è la realtà ad aver scavallato il muro dell’impensabile, quasi impossibile inventarsi politici più ridicoli dei nostri, dittatori più avventati di quelli in carica.

Mickey 17 sembra volerci suggerire un antidoto all’alienazione dell’individuo postmoderno, immerso in un flusso incessante di avatar e identità digitali, che riducono l’essere umano a un’involontaria proiezione di se stesso. In un mondo dove le connessioni si fanno sempre più superficiali e liquide, l’incontro tra le due versioni di Mickey appare come un disperato tentativo di ricostruire una forma di autenticità, sottratta alla frammentazione dell’io nell’infinito riflesso delle realtà virtuali. Perché alla fine, gli alieni siamo noi.

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2 commenti:

  1. Risposte
    1. Edge of tomorrow ricorda più "Ricomincio da capo", di Harold Ramis.
      in Mickey 17 non ci sono alieni, e il protagonista non è un guerriero, è solo un sottoproletario buono per lavori di merda

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