torna Gabriele Mainetti al cinema, con un film diverso dagli altri, lasciando dubbiosi molti, al cinema l'hanno visto in pochi, finora.
il film è ricco di azione, non fa annoiare mai, ed è anche un film d'amore, di amicizie, di vendette, di padri e figli, di tradimenti, di tradizioni, di passato e futuro.
il protagonista si chiama Marcello (come Mastroianni), lavora in cucina tutti i giorni nella trattoria romana di famiglia, e si trova implicato in una storia inattesa, più grande di lui.
la ragazza cinese che appare da un giorno all'altro (si chiama Mei) lo costringe a scegliere da che parte stare, e Marcello piano piano capirà tutto, come noi.
La città proibita merita molto, è un film a rilascio lento (se si può dire), lo si capisce dopo qualche giorno.
da non perdere, nessuno se ne pentirà.
buona (avventurosa) visione - Ismaele
…il regista si è ulteriormente raffinato ed
evoluto nello stile, cosa che non credevo possibile. Basta solo vedere la prima
scena in cui Mei, adulta, va in cerca della sorella, e l'intelligenza con la
quale viene mantenuta l'illusione che il personaggio non sia mai uscito dalla
Cina, indispensabile veicolo del sorprendente shock culturale quando la porta
del ristorante cinese si spalanca su una via dell'Esquilino. Non c'è una sola
sequenza raffazzonata in La città proibita, ogni scena è costruita
amalgamando alla perfezione luci, ombre, colori, scenografie e minuscoli
dettagli, il montaggio confeziona scene di combattimento fluide e chiarissime e
la musica, utilizzata con quell'adorabile originalità tipica del regista, è la
ciliegina sulla torta. Potrei sproloquiare ancora per una decina di paragrafi
su tutti i motivi per cui La città proibita mi sia piaciuto
così tanto, ma farei degli spoiler fastidiosi e mi dispiacerebbe, perché
ritengo sia un film da godersi con tutto l'ignorante entusiasmo del caso.
Andate al cinema a vederlo, vi prego, alzateli quei culi pigri. Non fidatevi di
chi, per cieco pregiudizio o antipatia nei confronti di un regista giovane,
ambizioso e capace, lo ha stroncato senza appello prima ancora che uscisse, non
urlate erroneamente alla "stronzata" solo perché si parla di kung-fu
in Italia. C'è tanta di quella passione e competenza, in La città
proibita, da poterci rendere orgogliosi di un regista come Mainetti.
Andate, e spargete la voce!
…nei 138 minuti che compongono La città
proibita è ovvio quello che interessa a Mainetti, ed è quello per cui
ha provinato chissà quanti esperti di arti marziali per trovare gli attori
giusti in Yaxi Liu e Chunyu Shanshan, chiamando poi l'esperto Liang Yang (dopo
che il team di Jackie Chan è stato accantonato per la mancanza di un inglese
comune) e affidandosi al cameraman Matteo Carlesimo in modo da rendere vere,
reali, esagerate e spassose le scene di combattimento, che non dovevano
scimmiottare quelle orientali, non dovevano nemmeno essere occidentalizzate, ma
dovevano essere originali e adattarsi a un contesto che prevede un mercato
coperto, un ristorante affollato e una stazione di servizio dei treni…
…La Città Proibita riesce a mettere insieme una
classica struttura di sacrosante furia vendicatrice (L’Urlo di Chen, insomma) e
la piccolissima vicenda di quotidiana criminalità romana, con il miserabile
strozzino interpretato da Marco Giallini, la trattoria a Piazza Vittorio
gestita da Sabrina Ferilli e dal figlio Marcello (Enrico Borello) e la paura
atavica che tutto questo venga inglobato e digerito da un mondo che ti si sta
trasformando intorno e farà di te una reliquia, un dinosauro di un’epoca
tramontata.
La Roma messa in scena da Mainetti è una città
in corso di metamorfosi, bellissima e vitale proprio per questo motivo. Una
città che racchiude nel suo ventre l’intera umanità con tutte le sue facce.
Ora, è vero che Roma al cinema avrebbe anche
rotto un po’ le palle (e lo dico da romana innamorata persa della propria
città), ma è anche vero che non è la Roma raccontata da Mainetti quella di cui
siamo stufi, perché una Roma così l’abbiamo vista davvero di rado…
…È una difficile integrazione spiegata al nostro Paese,
che passa anche attraverso la cucina e i piatti che Marcello prepara,
l’amatriciana amata dal padre insieme al ramen servito ad Annibale nel finale.
Su questo palcoscenico il regista evidenzia due punti di vista diversi e li
connota senza timore: da un lato Marcello e sua madre, che lavorano e convivono
serenamente inseriti nella comunità, dall’altro Annibale che, da delinquente
qual’è, sfrutta per pochi spicci gli immigrati e li disprezza, riconoscendo in
loro un nemico da allontanare e da combattere. Paradossalmente, nonostante
questa convinzione razzista, i tre protagonisti sono tra i pochi italiani
visibili nel quartiere.
È proprio in questa sostanza del film che risiede la
coerenza di tutta la storia perché, insieme alla malavita cinese e alle
sequenze di combattimento, tutto è sorretto dalla sincerità del messaggio e
dall’esigenza che il regista sente nel trasmetterlo…
…La fotografia di Paolo Carnera contribuisce a plasmare
un’estetica forte e coerente, in grado di distinguere a livello visivo tra gli
ambienti cinesi e quelli romani, con forti accelerate nelle sequenze di
combattimento, tra le migliori viste nel cinema italiano. E se La città proibita si accende improvvisamente
nelle scene di azione, è nell’inseguire in modo ostinato le dinamiche e le
atmosfere del mélo che perde di intensità,
soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra Giallini e Sabrina Ferilli e un
flashback tutt’altro che necessario. Un aspetto che non si era mai fatto notare
nel cinema di Mainetti, probabilmente da rintracciare nel cambio in fase di sceneggiatura,
da Guaglianone alla coppia di impostazione televisiva Bises-Serino. Restano le
ottime interpretazioni dei due giovani Liu e Borello, un’attenta mappatura
cartografica della città e soprattutto la visione sempre sorprendente
dell’autore, capace di sperimentare con generi e registri come nessun altro in
Italia.
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