sabato 1 marzo 2025

Noi e loro (Jouer avec le feu) - Delphine e Muriel Coulin

il solito Vincent Lindon giganteggia in un film tutto maschile, la moglie, e madre dei suoi due figli, Fus e Louis, non c'è più, e lui si fa carico dei due ragazzi, il più giovane, Louis, è un bravo studente e riesce addirittura a entrare alla Sorbona, Fus, il grande, prende una cattiva strada.

il film mostra bene il turbamento, l'impotenza e la solitudine di un genitore che si trova in casa un figlio che ha scelto una strada sbagliata.

e noi soffriamo con Pierre, il padre operaio che sente il tradimento degli ideali trasmessi ai figli sulla sua pelle.

un film da non perdere, in 80 sale in Italia.

buona visione - Ismaele

ps: la sala del tribunale dove si celebra il processo sembra la stessa di Saint Omer.

 

 

 

Vincent Lindon, premiato con una sorprendente Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. Sorprendente non fosse altro per la presenza in concorso di performance di peso come quella di Adrien Brody (The Brutalist) – esclusa di diritto dato il Leone d’Argento alla Miglior Regia assegnato a Brady Corbet (e qui il regolamento parla chiaro) – e Daniel Craig (Queer), ma che in realtà ci appare doverosa perché senza di lui sarebbe un film completamente diverso Noi e Loro.

Ogni grammo di esperienza, di mimica e gestualità, ogni goccia di talento purissimo, è qui al servizio di una narrazione poggiata tutta sulle stanche ma ancora possenti spalle dell’interprete francese che nei panni caratteriali di Pierre padre affettuoso, danneggiato e premuroso, si muove come bilanciere esistenziale tra le vite dei suoi figli: Louis e Fus, opposti, agli antipodi, nelle cui vene scorre lo stesso sangue ma tutto sembra indicare una natura estranea. Uno pacato, gentile, attento e studioso; l’altro caotico, violento e ribelle sino a rasentare la follia. Eppure – e da qui la scelta di parole del titolo italiano Noi e Loro – uniti più che mai contro chi gli è contrario. Ci sono gli Hohenberg e poi il resto del Mondo…

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In un crescendo corrosivo che non può che condurre alla tragedia Jouer avec le feu (tratto dal romanzo Quel che serve di notte di Laurent Petitmangin), attraverso la regia delle due sorelle Delphine e Muriel Coulin – meticolosa, tagliente, visivamente precisa nei dettagli, nelle scene, nella luce – domanda al pubblico un’attenzione partecipata, facendo provare una colluttazione quasi fisica con i fatti narrati: non si può rimanere impassibili davanti ai quesiti che si pone questa figura paterna importante, preoccupato per sempre per il figlio, per il quale vorrebbe ogni bene sebbene le sue scelte non siano condivisibili. Un film tutto maschile, girato da mani femminili che hanno saputo scavare perfettamente nelle psicologie dei personaggi, con dovizia e cuore, supportate da un trio di attori perfetti.

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le Coulin puntano gran parte della posta in gioco sul volto “vivo” e stremato del solito, straordinario, Vincent Lindon che, con la sua energia, i suoi occhi e i suoi silenzi, si porta generosamente sulle spalle un film altrimenti rischiosamente schematico e stilisticamente monocorde.  Quando infatti provano a osare visivamente nelle dissolvenze plastiche e oniriche delle danze tribali, inserite quasi a sostituzione delle scene di violenza dei gruppi a cui appartiene Fuss, i risultati sono fin troppo cerebrali e costruiti. E così anche stavolta le registe francesi, a parte pochi momenti – come quello della partita di calcio allo stadio del Metz o della scena in cui Fuss chiede al padre di insegnargli a ballare il rock –  dimostrano di trovarsi più a loro agio con la scrittura che con le immagini. Per questo, appena possibile, si aggrappano ai primi piani e ai monologhi di Lindon, ormai interprete militante e presenza morale del cinema francese contemporaneo, qui quasi inchiodato al ruolo, che per qualsiasi altro attore sarebbe ingombrante ma per lui no, di testimone e portavoce ufficiale di una crisi familiare che si fa sociale.

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Vincent Lindon (un nome che costituisce una garanzia di serietà di scelte nel cinema francese) dà al suo personaggio tutte le caratteristiche di un padre che scopre di essere impotente dinanzi a sirene ideologiche e a slogan di facile presa che aprono tra Pierre e Fus varchi sempre più incolmabili.

È un film sulla difficoltà, quando non è addirittura impossibilità, di un dialogo che vede entrare, nella naturale dinamica della necessità di distacco dalle figure parentali propria dell'adolescenza, il veleno di un'ideologizzazione pervasiva che vede l'altro non come avversario con cui dibattere ma piuttosto come nemico da sconfiggere. Anche quando si tratta del proprio genitore al quale non si è smesso, seppure in modo estremamente confuso, di voler bene.

In questo contesto la figura di Louis, il fratello minore, avrebbe potuto risultare di semplice contorno. Invece viene cesellata con cura mostrando al contempo vicinanze e distanze, sia con il fratello che con il padre, a cui è difficile offrire sempre una conciliazione.

Si tratta di un'ulteriore riprova della capacità del cinema d'Oltralpe di affrontare, con partecipazione non disgiunta da verosimiglianza, tematiche sociali di stretta attualità senza trasformarle in pamphlet o in melodrammi a tinte fosche.

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Narrativamente, la storia si avvale poi di rigidi schematismi (gli estremisti sono fanatici tifosi e promuovono la cultura del corpo e della virilità), manicheismi (Louis va all’Università ed è quindi di mentalità aperta/ Fus non ha conseguito il diploma da metalmeccanico ed è quindi facilmente influenzabile), addirittura di facili parallelismi (i fumogeni che usa Pierre come ferroviere notturno/quelli degli ultras) o metafore (Fus a un certo punto rompe l'altalena come fa con la sua stessa famiglia). In un film che proprio invita a superare questa forma mentis (la netta divisione "noi e loro" abbracciata dal figlio e rigettata dal padre), è un paradosso più interessante dell’operazione complessiva.

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Lo sguardo sulla società francese bianca inoltre – che vista da una prospettiva di questo tipo è piuttosto insolita nel cinema transalpino contemporaneo – appare lucido e spietato. Con la rappresentazione di una provincia sui generis come quella della Lorena: terra di mezzo e contesa fra due popoli, fieramente francese ma allo stesso tempo con una storia molto più giovane di quella di gran parte della Francia continentale. Ma anche di una classe media che si percepisce sempre meno centrale all’interno del discorso pubblico, che è facile preda di ideologie semplici come quelle intrise di populismo della destra estrema. E Fus, ventitreenne disoccupato e non portato per lo studio, perso dietro il calcio e la noia della provincia è in definitiva la perfetta sintesi, oltre che il simbolo, di tutto questo.

Nonostante qualche schematismo e un racconto freddo, quasi asettico e che forse avrebbe potuto osare un po’ di più soprattutto nella direzione del contesto politico – sullo stile del cinema di Brizé, cui evidentemente si ispira – Noi e loro è un film solido e ricco di idee che mette il dito nella piaga di uno dei fenomeni più controversi e preoccupanti del nostro presente. Qualcosa con cui avremo a che fare per molto tempo ancora.

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