il solito Vincent Lindon giganteggia in un film tutto maschile, la moglie, e madre dei suoi due figli, Fus e Louis, non c'è più, e lui si fa carico dei due ragazzi, il più giovane, Louis, è un bravo studente e riesce addirittura a entrare alla Sorbona, Fus, il grande, prende una cattiva strada.
il film mostra bene il turbamento, l'impotenza e la solitudine di un genitore che si trova in casa un figlio che ha scelto una strada sbagliata.
e noi soffriamo con Pierre, il padre operaio che sente il tradimento degli ideali trasmessi ai figli sulla sua pelle.
un film da non perdere, in 80 sale in Italia.
buona visione - Ismaele
ps: la sala del tribunale dove si celebra il processo sembra la stessa di Saint Omer.
…Vincent
Lindon, premiato con una sorprendente Coppa Volpi per la migliore
interpretazione maschile. Sorprendente non fosse altro per la presenza in
concorso di performance di peso come quella di Adrien Brody (The Brutalist)
– esclusa di diritto dato il Leone d’Argento alla Miglior Regia assegnato a
Brady Corbet (e qui il regolamento parla chiaro) – e Daniel Craig (Queer), ma che in realtà ci appare doverosa perché
senza di lui sarebbe un film completamente diverso Noi e Loro.
Ogni grammo di esperienza, di mimica
e gestualità, ogni goccia di talento purissimo, è qui al servizio di una
narrazione poggiata tutta sulle stanche ma ancora possenti spalle
dell’interprete francese che nei panni caratteriali di Pierre padre affettuoso,
danneggiato e premuroso, si muove come bilanciere esistenziale tra le vite dei
suoi figli: Louis e Fus, opposti, agli antipodi, nelle cui vene scorre lo
stesso sangue ma tutto sembra indicare una natura estranea. Uno pacato,
gentile, attento e studioso; l’altro caotico, violento e ribelle sino a
rasentare la follia. Eppure – e da qui la scelta di parole del titolo italiano Noi e Loro – uniti più che mai contro chi gli è
contrario. Ci sono gli Hohenberg e poi il resto del Mondo…
…In un crescendo
corrosivo che non può che condurre alla tragedia Jouer avec le feu (tratto
dal romanzo Quel che serve di notte di Laurent Petitmangin),
attraverso la regia delle due sorelle Delphine e Muriel
Coulin – meticolosa, tagliente, visivamente precisa nei dettagli,
nelle scene, nella luce – domanda al pubblico un’attenzione partecipata,
facendo provare una colluttazione quasi fisica con i fatti narrati: non si può
rimanere impassibili davanti ai quesiti che si pone questa figura paterna
importante, preoccupato per sempre per il figlio, per il
quale vorrebbe ogni bene sebbene le sue scelte non siano condivisibili. Un film
tutto maschile, girato da mani femminili che hanno saputo scavare perfettamente
nelle psicologie dei personaggi, con dovizia e cuore, supportate da un trio di
attori perfetti.
… le
Coulin puntano gran parte della posta in gioco sul volto “vivo” e stremato del
solito, straordinario, Vincent Lindon che, con la sua energia, i suoi occhi e i
suoi silenzi, si porta generosamente sulle spalle un film altrimenti
rischiosamente schematico e stilisticamente monocorde. Quando
infatti provano a osare visivamente nelle dissolvenze plastiche e oniriche
delle danze tribali, inserite quasi a sostituzione delle scene di violenza dei
gruppi a cui appartiene Fuss, i risultati sono fin troppo cerebrali e
costruiti. E così anche stavolta le registe francesi, a parte pochi momenti –
come quello della partita di calcio allo stadio del Metz o della scena in cui
Fuss chiede al padre di insegnargli a ballare il rock – dimostrano
di trovarsi più a loro agio con la scrittura che con le immagini. Per questo,
appena possibile, si aggrappano ai primi piani e ai monologhi di Lindon, ormai
interprete militante e presenza morale del cinema francese contemporaneo, qui
quasi inchiodato al ruolo, che per qualsiasi altro attore sarebbe ingombrante ma
per lui no, di testimone e portavoce ufficiale di una crisi familiare che si fa
sociale.
Vincent Lindon (un nome che costituisce una
garanzia di serietà di scelte nel cinema francese) dà al suo personaggio tutte
le caratteristiche di un padre che scopre di essere impotente dinanzi a sirene
ideologiche e a slogan di facile presa che aprono tra Pierre e Fus varchi
sempre più incolmabili.
È un film sulla difficoltà, quando non è addirittura impossibilità, di un
dialogo che vede entrare, nella naturale dinamica della necessità di distacco
dalle figure parentali propria dell'adolescenza, il veleno di
un'ideologizzazione pervasiva che vede l'altro non come avversario con cui
dibattere ma piuttosto come nemico da sconfiggere. Anche quando si tratta del
proprio genitore al quale non si è smesso, seppure in modo estremamente
confuso, di voler bene.
In questo contesto la figura di Louis, il fratello minore, avrebbe potuto
risultare di semplice contorno. Invece viene cesellata con cura mostrando al
contempo vicinanze e distanze, sia con il fratello che con il padre, a cui è
difficile offrire sempre una conciliazione.
Si tratta di un'ulteriore riprova della capacità del cinema d'Oltralpe di
affrontare, con partecipazione non disgiunta da verosimiglianza, tematiche
sociali di stretta attualità senza trasformarle in pamphlet o in melodrammi a
tinte fosche.
…Narrativamente, la storia
si avvale poi di rigidi schematismi (gli estremisti sono fanatici tifosi e
promuovono la cultura del corpo e della virilità), manicheismi (Louis va
all’Università ed è quindi di mentalità aperta/ Fus non ha conseguito il
diploma da metalmeccanico ed è quindi facilmente influenzabile), addirittura di
facili parallelismi (i fumogeni che usa Pierre come ferroviere notturno/quelli
degli ultras) o metafore (Fus a un certo punto rompe l'altalena come fa con la
sua stessa famiglia). In un film che proprio invita a superare questa forma
mentis (la netta divisione "noi e loro" abbracciata dal figlio e
rigettata dal padre), è un paradosso più interessante dell’operazione
complessiva.
…Lo sguardo sulla società francese bianca inoltre –
che vista da una prospettiva di questo tipo è piuttosto insolita nel cinema
transalpino contemporaneo – appare lucido e spietato. Con la
rappresentazione di una provincia sui generis come quella della Lorena: terra di
mezzo e contesa fra due popoli, fieramente francese ma allo stesso tempo con
una storia molto più giovane di quella di gran parte della Francia
continentale. Ma anche di una classe media che si percepisce sempre meno
centrale all’interno del discorso pubblico, che è facile preda di
ideologie semplici come quelle intrise di populismo della destra
estrema. E Fus, ventitreenne disoccupato e non portato per lo studio, perso
dietro il calcio e la noia della provincia è in definitiva la perfetta sintesi,
oltre che il simbolo, di tutto questo.
Nonostante qualche schematismo e un racconto
freddo, quasi asettico e che forse avrebbe potuto osare un po’ di più
soprattutto nella direzione del contesto politico – sullo stile del cinema
di Brizé, cui evidentemente si ispira – Noi e
loro è un film solido e ricco di idee che mette il dito nella
piaga di uno dei fenomeni più controversi e preoccupanti del nostro presente.
Qualcosa con cui avremo a che fare per molto tempo ancora.
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