lunedì 17 marzo 2025

Il caso Belle Steiner - Benoît Jacquot

ispirato da un romanzo di Georges Simenon, Benoît Jacquot dirige una storia di colpa e complicità. Pierre (interpretato da Guillaume Canet) è l'unico indiziato per l'omicidio di Belle, ma la polizia e la giudice, senza prove, devono lasciarlo in pace.

la moglie Cléa (interpretata da Charlotte Gainsbourg) lo difende senza nessun dubbio.

i dubbi, su Pierre e Cléa, li abbiamo noi spettatori, anche se non tutti. 

i protagonisti sono ambigui, e non poco, quindi sono bravissimi.

un'ora e mezza ben spese, promesso.

buona (ambigua) visione - Ismaele


ps1: la scuola nella quale insegna Pierre è intitolata a Simenon (una banalità o un omaggio?)

ps 2: dal libro di Simenon, nel 1961, aveva girato un film Édouard Molinaro


 

 

Il personaggio viene affidato alle sapienti cure interpretative di Guillaume Canet il quale sa offrirgli la giusta dose di ambiguità costringendo lo spettatore a chiedersi, sulla base degli elementi che gli vengono messi a disposizione, da che parte stare. Credere all'autoproclamata innocenza di un uomo che viene comunque presentato come complesso oppure propendere, come fanno alcune persone che pure stanno dalla sua parte, per ritenere la sua posizione come insostenibile?

Il gioco è cinematograficamente riuscito e la scelta di Charlotte Gainsbourg nel ruolo di Cléa è funzionale alla creazione di un clima in cui fiducia e dubbio possono ambiguamente convivere. La stessa scelta di una donna (a differenza di quanto accadeva nel romanzo) nel ruolo del magistrato che interroga Pierre favorisce una lettura legata al potere di seduzione del protagonista che verrà utilizzata in favore di un'ulteriore complessità del plot. Viene così da pensare che a Simenon, nonostante le variazioni, questo film sarebbe piaciuto.

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Il Pierre interpretato con aderenza da un intontito ma all’occorrenza fascinoso Guillaume Canet sembra difatti la vittima perfetta di una società che giudica e manda al macero sia lui, uomo asociale e restio a farsi coinvolgere dalla grancassa della morbosità pubblica, che perfino la ragazza uccisa, Belle, la cui condotta libertina, una volta scoperta, viene evidenziata con malfidato cinismo dai giornalisti e dai vicini. Il bersaglio di Jacquot non è quindi il suo atarassico protagonista – l’imbrattamento della casa e l’allontanamento dalla scuola gli causano giusto un paio di soprassalti notturni che non danno modo di capire il suo effettivo coinvolgimento – ma gli spettatori del 2025: il regista francese si diverte infatti sadicamente ad accumulare indizi sempre più frustanti (il voyeurismo sulla procace vicina spiegato come un gioco sessuale a due) che però, improvvisamente, prendono un’unica accelerata di senso che increspa la visione e le certezze accumulate fino ad allora. Il caso Belle Steiner diventa allora una vertigine cinematografica che il mirabile giallo di stampa tipicamente simenoniano – ovvero con una labile detection ma robusta introspezione psicologica – rende un buon studio su anime che, ben prima di venire coinvolte in un delitto, sono effettivamente già morte. O incarcerate in una grigia routine matrimoniale che nemmeno il delitto è in grado di ravvivare.

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Raccontato secondo i canoni del thriller – musica di tensione, stacchi su notti di pioggia, su dettagli rilevanti, soggettive dalla macchina di percorsi a ritroso dal bar alla casa – il film lascia aperte le domande, non propende per una tesi, sospende il giudizio come vorrebbe che lo si sospendesse sul protagonista: rompe dunque il patto con lo spettatore al quale non concede un finale concluso, esaustivo.

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Un grande merito va a Guillaume Canet, protagonista del film che, grazie alle sue doti attoriali, riesce a realizzare un personaggio enigmatico e ambiguo, dagli occhi vuoti e sognanti e il sorriso tirato di chi si sente fuoriluogo ovunque fuori dal suo studio, e, nonostante ciò, simpatico al pubblico, che parteggia per lui...

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