ispirato da un romanzo di Georges Simenon, Benoît Jacquot dirige una storia di colpa e complicità. Pierre (interpretato da Guillaume Canet) è l'unico indiziato per l'omicidio di Belle, ma la polizia e la giudice, senza prove, devono lasciarlo in pace.
la moglie Cléa (interpretata da Charlotte Gainsbourg) lo difende senza nessun dubbio.
i dubbi, su Pierre e Cléa, li abbiamo noi spettatori, anche se non tutti.
i protagonisti sono ambigui, e non poco, quindi sono bravissimi.
un'ora e mezza ben spese, promesso.
buona (ambigua) visione - Ismaele
ps1: la scuola nella quale insegna Pierre è intitolata a Simenon (una banalità o un omaggio?)
ps 2: dal libro di Simenon, nel 1961, aveva girato un film Édouard Molinaro
…Il personaggio viene affidato alle sapienti cure
interpretative di Guillaume Canet il quale sa offrirgli la giusta dose di
ambiguità costringendo lo spettatore a chiedersi, sulla base degli elementi che
gli vengono messi a disposizione, da che parte stare. Credere
all'autoproclamata innocenza di un uomo che viene comunque presentato come
complesso oppure propendere, come fanno alcune persone che pure stanno dalla
sua parte, per ritenere la sua posizione come insostenibile?
Il gioco è cinematograficamente riuscito e la
scelta di Charlotte Gainsbourg nel ruolo di Cléa è funzionale alla creazione di
un clima in cui fiducia e dubbio possono ambiguamente convivere. La stessa
scelta di una donna (a differenza di quanto accadeva nel romanzo) nel ruolo del
magistrato che interroga Pierre favorisce una lettura legata al potere di
seduzione del protagonista che verrà utilizzata in favore di un'ulteriore
complessità del plot. Viene così da pensare che a Simenon, nonostante le
variazioni, questo film sarebbe piaciuto.
…Il Pierre interpretato con aderenza da un intontito ma
all’occorrenza fascinoso Guillaume Canet sembra difatti la vittima perfetta di
una società che giudica e manda al macero sia lui, uomo asociale e restio a
farsi coinvolgere dalla grancassa della morbosità pubblica, che perfino la
ragazza uccisa, Belle, la cui condotta libertina, una volta scoperta, viene
evidenziata con malfidato cinismo dai giornalisti e dai vicini. Il bersaglio di
Jacquot non è quindi il suo atarassico protagonista – l’imbrattamento della
casa e l’allontanamento dalla scuola gli causano giusto un paio di soprassalti
notturni che non danno modo di capire il suo effettivo coinvolgimento – ma gli
spettatori del 2025: il regista francese si diverte infatti sadicamente ad
accumulare indizi sempre più frustanti (il voyeurismo sulla procace vicina
spiegato come un gioco sessuale a due) che però, improvvisamente, prendono
un’unica accelerata di senso che increspa la visione e le certezze accumulate
fino ad allora. Il caso Belle Steiner diventa allora una vertigine cinematografica che il
mirabile giallo di stampa tipicamente simenoniano – ovvero con una labile
detection ma robusta introspezione psicologica – rende un buon studio su anime
che, ben prima di venire coinvolte in un delitto, sono effettivamente già
morte. O incarcerate in una grigia routine matrimoniale che nemmeno il delitto
è in grado di ravvivare.
…Raccontato secondo i canoni del thriller – musica di
tensione, stacchi su notti di pioggia, su dettagli rilevanti, soggettive dalla
macchina di percorsi a ritroso dal bar alla casa – il film lascia aperte le
domande, non propende per una tesi, sospende il giudizio come vorrebbe che lo
si sospendesse sul protagonista: rompe dunque il patto con lo spettatore al
quale non concede un finale concluso, esaustivo.
Un grande merito va a Guillaume Canet, protagonista del film che, grazie alle sue doti attoriali, riesce a realizzare un personaggio enigmatico e ambiguo, dagli occhi vuoti e sognanti e il sorriso tirato di chi si sente fuoriluogo ovunque fuori dal suo studio, e, nonostante ciò, simpatico al pubblico, che parteggia per lui...
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