ispirato alla lontana a Melampus, di Ennio Flaiano. il film è girato in parte a Parigi, per la maggior parte in un isoletta dell'arcipelago de La Maddalena.
film di fughe e solitudini, Marcello Mastroianni e Catherine Deneuve vivono un rapporto come padrone e cagna, abbastanza disperato.
la fine sembra quella di un film di Charlie Chaplin, senza l'ottimismo e la speranza di Charlot.
come tutti i film di Marco Ferreri non si può perdere.
buona (insulare) visione - Ismaele
Un film quasi tutto in esterni, forse il più bello di
Ferreri dal punto di vista delle immagini: è stato girato in Corsica,
nell’isola di Cavallo, dove ci si immagina che il pittore e disegnatore
Mastroianni viva con il suo cane Melampo (è il nome del cane di cui prende il
posto Pinocchio); vive da solo, come un eremita. In seguito apprenderemo che ha
una moglie e due figli, e che guadagna bene con il suo lavoro. Il soggetto può
non piacere, e a suo tempo fece scandalo: visto oggi, appare però tutto molto
diverso da come poteva apparire quarant’anni fa, la storia raccontata appare
quasi secondaria, un pretesto per altre riflessioni, e con Ferreri non è certo
la prima volta che capita. Per fare un solo esempio di quello che intendo, e
senza voler prendere troppo tempo su un film che è più che altro da vedere
(l’isola di Cavallo e il mare intorno sono una vera meraviglia), ci si può
soffermare su una delle sequenze finali: Mastroianni col mirto e vestito di una
coperta che imita il saio, e la Deneuve sul letto. Quasi un’immagine sacra.
“La cagna” è tratto da un racconto di Ennio Flaiano,
che ha scritto anche la sceneggiatura. Quando il cane dell’eremita muore, è la
donna (l’intrusa) che decide di prenderne il posto, e sembra anzi che ne
provochi apposta la morte. Ovviamente ci sono molti significati nascosti dietro
questo apologo, e molti rimandi a miti e leggende, ma direi che il fascino del
film viene da altri motivi, in primo luogo dalla bellezza delle immagini, ed è
molto meno afferrabile di quello che sembrerebbe dal riassunto puro e semplice.
Non c’è morbosità (se c’è, è poca cosa rispetto a quello che abbiamo visto e
ascoltato in altri film e libri), né violenza o sopraffazione a parte quella
(poca) strettamente necessaria per mostrare che la donna ha veramente preso il
posto del cane fedele; e il rapporto che si instaura tra i due è mostrato come
decisamente felice, e migliore di quello con una moglie e famiglia vera, che
vediamo nelle scene in cui Mastroianni è a Parigi…
…Deneuve
y Mastroianni están muy bien y la exquisita música de Philippe Sarde, un
colaborador asiduo dentro del círculo artístico del realizador, condimenta con
un manto de ironía esta fábula agridulce y sorprendente en la que los
callejones sin salida del gozo y la vida terminan empardados con la
autodestrucción más o menos consciente, los desvaríos ególatras, los abusos
paradójicos o autojustificados y unas luchas de poder que parecen estar
petrificadas en la inmutabilidad pero en verdad habilitan permanentes ataques
al predominio de los poderosos y desde ya esa convalidación alegre o hasta
placentera de la sumisión por parte del cúmulo de los esclavos, los cómplices y
los agentes de la represión.
Schiacciato e stretto nel mezzo fra due capolavori
come "Dillinger è morto" e "La grande abbuffata", forse
"La cagna" andrebbe rivalutato.
E' quasi struggente, e lirico.
Mastroianni potrebbe essere Piccoli appena
scappato dalla nave per Tahiti, decisosi infine a coltivare l'unica strada
possibile per l'autentica libertà: la completa solitudine.
E tuttavia, ecco giungere, a negargliela, una
donna che ugualmente è presa dalla smania di liberarsi di strutture e
sovrastrutture, lacci e lacciuoli sociali.
Una ...cagna? Perché lui è chiaro: sottomissione.
Io sono maschio, libero, tu puoi stare ma non mettere in discussione la libertà
che ho conquistato.
Sbagliato.
Perché se voleva un cane doveva cacciarla e
tenersi Melampo.
Al cuore del cinema di Ferreri c'è un'apocalisse
già avvenuta della società e delle sue regole: ma ripartendo da zero, occorre
fare i conti con la dualità di uomo e donna.
E non è vero che Ferreri è maschilista. Per lui il
rapporto fra i generi è effettivamente il problema di fondo. Grazie
all'attrazione erotica, costituisce l'unica relazione cui l'ego non può
sottrarsi.
"La cagna" nasce dall'ultima
inquadratura di "Dillinger è morto", ma costituisce la versione
lirica e quasi romantica di quel film.
Assolutamente non un film datato. Come tutto il
miglior Ferreri, è cinema universale.
La fuga e l’isola ricorrono nel cinema di
Ferreri sin dagli esordi. Cambia la prospettiva, la natura e la forma, ma
rimangono centrali tasselli di un vasto e complesso pensiero in movimento. Su
una società capitalistica e consumistica che taglia radici, legami sociali,
senso di appartenenza ad un comune vivere e che all’individuo non chiede
altro che di consumare, che offre precotti contro felicità.
Oggetti materiali e, più che mai, virtuali da consumare più che da
vivere, incapaci di mettere in contatto con i bisogni più profondi legati
all’esistenza umana, a cui finiscono per sostituirsi, espropriando mente e
corpo. Mentre l’individuo consumatore, isolato più che liberato, sperimenta la
lontananza da sé, tra senso di solitudine, di inutilità, incapacità di
emozioni e di evoluzione. E scappare diventa la chance per non
soccombere, reazione istintiva in cui si materializza l’isola:
luogo d’approdo in cerca di benessere… nell’isola dei
paraplegici di El cochechito, miraggio di felicità del vedovo
pensionato che per far parte di un gruppo di amici si finge menomato,
dotandosi di carrozzella ( oggetto snaturato che assumerà comunque un
drammatico valore positivo). O in una barca in rotta per i mari del sud,
in cerca di respiro a pieni polmoni in Dillinger è morto; il miraggio
di isole lontane e istintive presenze femminili di un Piccoli,
intellettuale in fuga da un’altra isola, la propria lussuosa casa bunker,
dove la vita di coppia è diventata asfittica… ma può essere anche un asilo,
dove un maestro ex sessantottino, il Benigni di Chiedo Asilo, trova
tra i bambini assonanze con la propria indole vitale. Favoleggiati esiti sempre
nella direzione di un contatto più concreto e profondo: natura, silenzio,
solitudine, mare, orizzonte in perdere lo sguardo, profondità in cui
confondersi, liquido amniotico a cui tornare, ritrovare la madre, ritrovare il
bambino, ritrovare gli istinti, riconoscere il mondo. Tutte riappropriazioni di
parti di un sé confinato, oscurato, ma mai dimenticato, da un corpo,
individuale ma anche sociale, che lancia segnali…
…Ferreri, l’abbiamo detto, non è crudele
e concede loro un’altra illusione – come lo sono state il cane per Giorgio o
questi per Liza: piazza sull’isola un aereo malridotto del periodo della
guerra. Alla fine i due salgono a bordo decisi a partire per chissà dove
(un’altra fuga dalla realtà, ma quale? viene a questo punto da chiedersi); il
velivolo, per l’occasione risistemato e verniciato di rosa, inizia la sua
discesa lungo la pista, le eliche sono ferme, i loro sguardi proiettati verso
un altrove indefinito; e poi un meraviglioso fermo immagine che lascia a noi,
interlocutori privilegiati, decidere il loro destino.
…Può darsi che, ai tempi della sua uscita, una parte
del pubblico andasse a vedere La cagna aspettandosi dettagli scandalosi su una
relazione ad alto tasso di perversione interpretata da due divi legati anche al
di fuori dallo schermo. In realtà, nel film non c’è alcuna insistenza sui
particolari morbosi o violenti dell’insolito ménage (se non nella sequenza
dell’ammaestramento, in cui Mastroianni costringe con modi autoritari la
Deneuve ad assumere comportamenti canini). Qui e altrove, il cinema di Ferreri
è costantemente impegnato a sovvertire le categorie con cui queste relazioni
possono essere incasellate (perversione/normalità, libertà/costrizione,
dipendenza/autonomia, possesso/amore, dominio/sottomissione). La relazione è
rappresentata con frequenti – e talora esasperati (l’aereo rosa) – cliché da
cinema romantico e sentimentale…
Un film duro che affronta il tema della solitudine intesa
come una scelta ed un riufiuto alla società borghese e alla sua falsità. Un
rifiuto dell'ipocrisia alla ricerca del "vero" e della naturalezza,
scappare su un isola deserta è l'espediente per rappresentare una fuga
interiore e più profonda dalla mentalità superficiale e materialista alla
ricerca di una libertà che è libertà personale in contrasto alle oppressioni e
repressioni della civiltà borghese-capitalista nella quale conta solo l'agire e
non l'essere. Una fuga presa come se fosse la sola cosa possibile, l'unico modo
per ritrovare e per essere se stessi, la fuga è soprattutto da quello che si
era, da quello che si era costretti ad essere, una fuga alla ricerca della
sincerità in contrasto alla barbarica società "civile" in cui tutti
ci ritoviamo…
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