giovedì 6 marzo 2025

Liza (La cagna) – Marco Ferreri

ispirato alla lontana a Melampus, di Ennio Flaiano. il film è girato in parte a Parigi, per la maggior parte in un isoletta dell'arcipelago de La Maddalena.

film di fughe e solitudini, Marcello Mastroianni e Catherine Deneuve vivono un rapporto come padrone e cagna, abbastanza disperato.

la fine sembra quella di un film di Charlie Chaplin, senza l'ottimismo e la speranza di Charlot.

come tutti i film di Marco Ferreri non si può perdere.

buona (insulare) visione - Ismaele


 

 

 

Un film quasi tutto in esterni, forse il più bello di Ferreri dal punto di vista delle immagini: è stato girato in Corsica, nell’isola di Cavallo, dove ci si immagina che il pittore e disegnatore Mastroianni viva con il suo cane Melampo (è il nome del cane di cui prende il posto Pinocchio); vive da solo, come un eremita. In seguito apprenderemo che ha una moglie e due figli, e che guadagna bene con il suo lavoro. Il soggetto può non piacere, e a suo tempo fece scandalo: visto oggi, appare però tutto molto diverso da come poteva apparire quarant’anni fa, la storia raccontata appare quasi secondaria, un pretesto per altre riflessioni, e con Ferreri non è certo la prima volta che capita. Per fare un solo esempio di quello che intendo, e senza voler prendere troppo tempo su un film che è più che altro da vedere (l’isola di Cavallo e il mare intorno sono una vera meraviglia), ci si può soffermare su una delle sequenze finali: Mastroianni col mirto e vestito di una coperta che imita il saio, e la Deneuve sul letto. Quasi un’immagine sacra.

“La cagna” è tratto da un racconto di Ennio Flaiano, che ha scritto anche la sceneggiatura. Quando il cane dell’eremita muore, è la donna (l’intrusa) che decide di prenderne il posto, e sembra anzi che ne provochi apposta la morte. Ovviamente ci sono molti significati nascosti dietro questo apologo, e molti rimandi a miti e leggende, ma direi che il fascino del film viene da altri motivi, in primo luogo dalla bellezza delle immagini, ed è molto meno afferrabile di quello che sembrerebbe dal riassunto puro e semplice. Non c’è morbosità (se c’è, è poca cosa rispetto a quello che abbiamo visto e ascoltato in altri film e libri), né violenza o sopraffazione a parte quella (poca) strettamente necessaria per mostrare che la donna ha veramente preso il posto del cane fedele; e il rapporto che si instaura tra i due è mostrato come decisamente felice, e migliore di quello con una moglie e famiglia vera, che vediamo nelle scene in cui Mastroianni è a Parigi…

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…Deneuve y Mastroianni están muy bien y la exquisita música de Philippe Sarde, un colaborador asiduo dentro del círculo artístico del realizador, condimenta con un manto de ironía esta fábula agridulce y sorprendente en la que los callejones sin salida del gozo y la vida terminan empardados con la autodestrucción más o menos consciente, los desvaríos ególatras, los abusos paradójicos o autojustificados y unas luchas de poder que parecen estar petrificadas en la inmutabilidad pero en verdad habilitan permanentes ataques al predominio de los poderosos y desde ya esa convalidación alegre o hasta placentera de la sumisión por parte del cúmulo de los esclavos, los cómplices y los agentes de la represión.

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Schiacciato e stretto nel mezzo fra due capolavori come "Dillinger è morto" e "La grande abbuffata", forse "La cagna" andrebbe rivalutato.
E' quasi struggente, e lirico.
Mastroianni potrebbe essere Piccoli appena scappato dalla nave per Tahiti, decisosi infine a coltivare l'unica strada possibile per l'autentica libertà: la completa solitudine.
E tuttavia, ecco giungere, a negargliela, una donna che ugualmente è presa dalla smania di liberarsi di strutture e sovrastrutture, lacci e lacciuoli sociali.
Una ...cagna? Perché lui è chiaro: sottomissione. Io sono maschio, libero, tu puoi stare ma non mettere in discussione la libertà che ho conquistato.
Sbagliato.
Perché se voleva un cane doveva cacciarla e tenersi Melampo.
Al cuore del cinema di Ferreri c'è un'apocalisse già avvenuta della società e delle sue regole: ma ripartendo da zero, occorre fare i conti con la dualità di uomo e donna.
E non è vero che Ferreri è maschilista. Per lui il rapporto fra i generi è effettivamente il problema di fondo. Grazie all'attrazione erotica, costituisce l'unica relazione cui l'ego non può sottrarsi.

"La cagna" nasce dall'ultima inquadratura di "Dillinger è morto", ma costituisce la versione lirica e quasi romantica di quel film.

Assolutamente non un film datato. Come tutto il miglior Ferreri, è cinema universale.

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La fuga e l’isola  ricorrono nel cinema di Ferreri  sin dagli esordi. Cambia la prospettiva, la natura e la forma, ma rimangono centrali tasselli di un vasto e complesso pensiero in movimento. Su una società capitalistica e consumistica che taglia radici, legami sociali, senso di appartenenza ad un comune vivere  e che all’individuo non chiede altro che di consumare, che offre precotti contro felicità. Oggetti materiali  e, più che mai, virtuali da consumare più che da vivere, incapaci di mettere in contatto con i bisogni più profondi legati all’esistenza umana, a cui finiscono per sostituirsi, espropriando mente e corpo. Mentre l’individuo consumatore, isolato più che liberato, sperimenta la lontananza da sé, tra senso di solitudine, di inutilità,  incapacità di emozioni e di evoluzione. E scappare diventa la chance per non soccombere, reazione istintiva in cui si materializza l’isola:  luogo  d’approdo in cerca di benessere… nell’isola dei paraplegici di El cochechito, miraggio di felicità del vedovo  pensionato che per far parte di un gruppo di amici si  finge menomato, dotandosi di carrozzella ( oggetto snaturato che assumerà comunque un drammatico valore positivo). O in una barca  in rotta per i mari del sud, in cerca di respiro a pieni polmoni in Dillinger è morto; il miraggio di isole lontane e  istintive presenze femminili di un Piccoli, intellettuale in fuga da un’altra isola, la propria lussuosa casa bunker, dove la vita di coppia è diventata asfittica… ma può essere anche un asilo, dove un maestro ex sessantottino, il Benigni di Chiedo Asilo, trova tra i bambini assonanze con la propria indole vitale. Favoleggiati esiti sempre nella direzione di un contatto più concreto e profondo: natura, silenzio, solitudine, mare, orizzonte in perdere lo sguardo, profondità in cui confondersi, liquido amniotico a cui tornare, ritrovare la madre, ritrovare il bambino, ritrovare gli istinti, riconoscere il mondo. Tutte riappropriazioni di parti di un sé confinato, oscurato, ma mai dimenticato, da un corpo, individuale ma anche sociale, che lancia segnali…

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Ferreri, l’abbiamo detto, non è crudele e concede loro un’altra illusione – come lo sono state il cane per Giorgio o questi per Liza: piazza sull’isola un aereo malridotto del periodo della guerra. Alla fine i due salgono a bordo decisi a partire per chissà dove (un’altra fuga dalla realtà, ma quale? viene a questo punto da chiedersi); il velivolo, per l’occasione risistemato e verniciato di rosa, inizia la sua discesa lungo la pista, le eliche sono ferme, i loro sguardi proiettati verso un altrove indefinito; e poi un meraviglioso fermo immagine che lascia a noi, interlocutori privilegiati, decidere il loro destino.

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Può darsi che, ai tempi della sua uscita, una parte del pubblico andasse a vedere La cagna aspettandosi dettagli scandalosi su una relazione ad alto tasso di perversione interpretata da due divi legati anche al di fuori dallo schermo. In realtà, nel film non c’è alcuna insistenza sui particolari morbosi o violenti dell’insolito ménage (se non nella sequenza dell’ammaestramento, in cui Mastroianni costringe con modi autoritari la Deneuve ad assumere comportamenti canini). Qui e altrove, il cinema di Ferreri è costantemente impegnato a sovvertire le categorie con cui queste relazioni possono essere incasellate (perversione/normalità, libertà/costrizione, dipendenza/autonomia, possesso/amore, dominio/sottomissione). La relazione è rappresentata con frequenti – e talora esasperati (l’aereo rosa) – cliché da cinema romantico e sentimentale…

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Un film duro che affronta il tema della solitudine intesa come una scelta ed un riufiuto alla società borghese e alla sua falsità. Un rifiuto dell'ipocrisia alla ricerca del "vero" e della naturalezza, scappare su un isola deserta è l'espediente per rappresentare una fuga interiore e più profonda dalla mentalità superficiale e materialista alla ricerca di una libertà che è libertà personale in contrasto alle oppressioni e repressioni della civiltà borghese-capitalista nella quale conta solo l'agire e non l'essere. Una fuga presa come se fosse la sola cosa possibile, l'unico modo per ritrovare e per essere se stessi, la fuga è soprattutto da quello che si era, da quello che si era costretti ad essere, una fuga alla ricerca della sincerità in contrasto alla barbarica società "civile" in cui tutti ci ritoviamo…

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