Parasite è una commedia nerissima, con due mondi inconciliabili che cozzano senza possibilità di conciliazione.
ci sono i ricchi e i poveri, e anche i poveri poveri, i padroni, i proletari e i sottoproletari (che stanno sotto tutto, anche sotto il palazzo), i ricchi resteranno ricchi e l'assalto al palazzo del grande architetto sarà un fallimento, una carneficina, una follia, per ingiustizie antiche e represse.
gli attori sono bravissimi, naturalmente, in mano a un regista di serie A, e a una sceneggiatura che non lascia un attimo di tregua, e quando sembra che rallenti è solo per ripartire con più forza.
non cercare nulla della trama di questo film e vai fiducioso, a Cannes e ormai dappertutto lo sanno che è un film imperdibile.
buona visione - Ismaele
…Bong – il primo cineasta coreano a vincere la
Palma d’oro a Cannes – dà un colpo di grazia simile alla tattica di shock usata
in The Host. Ma questa volta il mostro è l’avidità umana, che
divora il concetto stesso di giusto e sbagliato. Chi sono i parassiti qui? I
Kim che manipolano una famiglia per interesse economico? O i Park che sfruttano
i Kim come domestici pagati per essere al loro servizio? Il film analizza il
divario universale tra ricchi e poveri con arguzia scioccante, pungente
attualità e violenza straziante Parasite è esplosivo a tutti
i livelli.
…il film di Bong Joon-ho vive sulla fitta
trama di corrispondenze tra forma e sostanza: tutto ciò che percepibile in
termini non solo di narrazione, ma di filosofia, nasce come risultante
linguistico/estetica – movimenti di macchina, inquadrature, luci, ritmo del
montaggio; ciò dovrebbe valere per qualsiasi opera, ma Parasite è
un assoluto trionfo di cinema come linguaggio visivo. Bong Joon-ho, similmente
ad Ari Aster, usa l’immagine per portare alla luce una verità e per esplorare
gli strati che la compongono. E’ un analista spietato, capace di cogliere in un
dettaglio – si veda la scena di sesso tra i coniugi Park – la morbosità, la
malattia che serpeggia in un apparente corpo “sano”.
Parasite non è solo la messa a nudo di una struttura sociale
infernale, ma anche delle ambiguità che permeano classi contrapposte: dalle
tracce di purezza malata, di innocenza corrotta che fioriscono
dall’infantilismo dei Kim, alle perversioni buie dei Park, bloccati
nell’immobilità dei propri privilegi. Bong Joon-ho aspira a un cinema totale,
facendoci provare terrore, repulsione, disgusto, tenerezza, confondendoci di
fronte alle contraddizioni degli esseri umani; tutto sfuma in un’ombra in cui
bene e male sono inscindibili, ma allo spettatore restano attaccati gli odori,
la “puzza” del ceto sociale e gli abiti bagnati di sangue, pioggia e
escrementi.
…“Lotta di classe”, leggiamo in tutte le
recensioni, anche a proposito di “Parasite”. Perdonateli, è un riflesso
involontario, a pari merito con “la violenza sulle donne” o “il degrado delle
periferie”. Meglio, cento volte meglio: il regista coreano ha
girato un film sui servi e sui padroni. Su una famiglia
molto povera e una famiglia molto ricca che fortunosamente entrano in contatto,
con risultati difficili da immaginare (e non avremo uno sciopero, come la lotta
di classe esige, ma doppi giochi, violenze e tenerezze: uccidete chiunque
soltanto osi accennare alla trama)…
…Ma chi è il parassita del titolo? La
famiglia povera che con un’astuzia da commedia italiana riesce ad infiltrarsi
nel dorato mondo dei ricchi o questi ultimi, che “sfruttano” altre persone
(anche se ben pagate) per compiere noiose mansioni quotidiane? Il film non
fornisce una risposta e d’altronde non dà giudizi morali: non ci sono vittime e
carnefici, buoni e cattivi, perché ogni personaggio recita fino in fondo il
ruolo che la vita, giustamente o meno, gli ha assegnato. Però emerge molto
sottilmente una critica sociale contro un capitalismo selvaggio che ha assunto
i tratti della new economy e che, piuttosto che abolire, ha inasprito le
iniquità esistenti. È un aspetto apparentemente marginale che però rimane
sottopelle dopo la visione del film. Più che mille dialoghi vale quella
discrepanza scenografica che mostra da un lato una moderna villa progettata da
un famoso architetto, dove non mancano la luce, il verde ed il silenzio e
dall’altro uno scantinato infestato dagli insetti, davanti al quale un ubriaco
fa la pipì tutte le notti. Ma soprattutto rimane impressa quella corsa che
padre e figli fanno sotto il temporale, che sembra portarli dalla Valle
Incantata ad un sottomondo oscuro e insidioso.
…In Parasite assume un ruolo
assolutamente determinante, e simbolico, lo spazio; o meglio le case, i luoghi
dove le famiglie vivono, e si fanno carico di raccontare la storia (ah, se
quelle mura potessero parlare!). La prima, un seminterrato squallido, dagli
spazi stretti e angusti, tra le cui quattro mura i Ki-taek si dimenano alla
ricerca di un segnale wi-fi senza password, e una minuscola finestra che dà su
un vicolo usato dagli ubriachi per urinare. La seconda, una lussuosa villa
progettata da un famoso architetto, e un enorme vetrata su un giardino baciato
dal sole, che genera tanta invidia nella famiglia di reietti sociali. Proprio
quel giardino sarà il teatro dell’esplosione drammaturgica finale, e luogo
della memoria tanto amaro.
In un’epoca di fratture sociali sempre
più profonde e laceranti, Parasite mette in scena
un’eccellente parabola della lotta di classe, ora riproposta in una dimensione
domestica. Bong Joon-ho si destreggia con profonda arguzia e
gusto satirico tra la commedia e il dramma sociale, fino al thriller dalle
tinte scure. Seppure si passi da una rappresentazione di genere ad un altro, il
regista riesce a direzionare il film, e i suoi personaggi con esso, verso una
spirale discendente verso la tentazione e i suoi demoni. Bong Joon-ho è
tanto ispirato nella componente narrativa – innalzandosi a dio efferato e
feroce della sua creazione condotta ad un climax inevitabile – quanto in quella
registica. Parasite è costruito secondo un registro
impeccabile, dalla composizione geometrica delle scene fino al montaggio,
determinando magnifici contrappunti antitetici tra le inquadrature e le
musiche, con un gusto pop per l’antifrasi.
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