una giovane traduttrice viene misteriosamente cercata, si tratta della traduzione di un interrogatorio molto cattivo, molto forte, anche se il signor Wang sembra non capire.
e poi alla fine si capirà tutto, o quasi.
bel film, da recuperare - Ismaele
…Fedeli a quel cinema di genere frequentato
sin dall'inizio della loro carriera, i Manetti Bros. si cimentano con la
difficile via della fantascienza, confezionando una pellicola che pur entrando
ampiamente nella categoria finisce con l'avere un'impostazione tanto curiosa da
sconfinare nel dramma psicologico. Tra il breve incipit in cui la protagonista
viene bendata e quel finale rivelatore per più motivi, si sviluppa, infatti,
una storia basata sullo scontro tra discordi, inconciliabili visioni e sulla difficoltà
di comprendere se stessi così come l'altro da sé. Con una caratterizzazione
spesso esasperata, soprattutto nell'agente interpretato dal bravo Ennio
Fantastichini, i tre personaggi in campo - più o meno stabili intorno al tavolo
dell'interrogatorio - diventano presto simboli della volontà di comunicazione o
della sua negazione assoluta, perdendo tuttavia la possibilità di diventare
caratteri a tutto tondo, dotati quindi di profondità e spessore…
…il
nuovo film dei Manetti Bros. colpisce per la capacità di indirizzare
emotivamente l’attrazione dello spettatore verso un determinato personaggio,
salvo poi stravolgere questo orientamento con originale imprevedibilità.
L’ironia propria dello stile dei fratelli Antonio e Mario Manetti si fonde con
una costruzione narrativa imperniata sui crismi del cinema di genere e
rafforzata dall’incalzante colonna sonora; l’accompagnamento musicale è infatti
impeccabile nell’alimentare le suggestioni derivanti dall’evolversi della
storia e conferisce quindi un valore aggiunto alla pellicola.
Considerati
come degli outsider alla Mostra del Cinema di Venezia 2011, i fratelli Manetti regalano un raro esempio di un appassionato
modo di fare cinema caratterizzato dall’umiltà di non prendersi troppo sul
serio e preoccupato invece di appassionare con immediatezza il pubblico.
…Però è pur vero che il cinema di serie B
dei decenni gloriosi del cinema italiano, cioè il vero riferimento dei fratelli
Manetti, è stato un fiume in piena di sceneggiature pasticciate e qualità
intermittente, e dunque la delusione di cui sopra è dettata dal troppo amore
per il cinema di genere, dalla passione cinefila per una sua resurrezione, un
giudizio che andrebbe mitigato, perché ingiusto nei confronti di due filmmaker
comunque generosi ed appassionati che quasi miracolosamente sono stati in grado
di costruirsi una filmografia eccentrica, pressoché unica nel panorama anemico
del cinema italiano dell’ultimo decennio (esordirono nel 2000 con il
lungometraggio Zora la Vampira).
…I Manetti Bros, da sempre alla ricerca di un percorso
alternativo rispetto ai canoni imperanti, scelgono la fantascienza, merce
rarissima anche nei periodi d’oro, probabilmente a causa del confronto,
inevitabilmente penalizzante, con l’industria americana, che sull’efficacia
dell’impianto spettacolare ha basato il suo successo. Invece il risultato si
apprezza proprio per la capacità di osare l’impensabile, affrontando un
soggetto originale e stimolante senza limitarsi ad alludere, ma sfoggiando
effetti speciali che non sfigurano affatto con i più illustri colleghi
d’oltreoceano. Interessante anche il sottotesto che pone interrogativi non
banali sulla fiducia da riporre nell’altro, chiunque esso sia, uscendo da tesi
buoniste e optando per il beffardo…
Senza spoilerare troppo (il finale è a sorpresa), pur
nella consapevolezza che già sia a tutti nota l’identità dell’“ospite”, diciamo
che in ballo ci sono la sicurezza nazionale, una possibile invasione
extraterrestre, i servizi segreti, l’aeronautica militare e il solito labile
confine tra verità e apparenza. Bravi Manetti: la tensione nel film si
costruisce non tanto sull’attesa della rivelazione (molti gli spettatori che
sanno, o sospettano) quanto sull’atmosfera angosciosa della stanza degli
interrogatori. Mentre una seconda parte, quando la traduttrice riesce a
fuggire, ci immerge nei meandri più canonici (e autentici) del thriller:
inseguitori, vie di fuga, nascondigli. Il valore aggiunto sono però i
personaggi.
La traduttrice, forte del fatto di essere la
sola a capire il signor Wang, pensa naturalmente di avere intuito tutto;
l’inquisitore, convinto che la violenza sia il solo linguaggio universale
(letteralmente…) sente comunque il peso drammatico del proprio compito
(magnifica la sequenza di Fantastichini in bagno, e soprattutto magnifico
lui!). Ne L’arrivo di Wang osano,
i Manetti Bros. Non
hanno paura del confronto con gli omologhi spacconi Made in Usa: L’arrivo di
Wang è fantascienza pura e semplice, concepita da chi non solo la capisce, ma
la ama (per dire: Fantastichini ha una sua società di produzione che si chiama
Klaatu Production). Un film da difendere con i denti che per fortuna avrà una
distribuzione in Italia e all’estero. Welcome back, brothers.
da qui
…sono proprio gli ultimi – e inaspettati – sviluppi della narrazione ad aumentare il peso specifico dell’operazione, trasformando il pur gradevole film in un’intelligente metafora sulla complessità dei rapporti umani e sull’incomunicabilità. La scelta di costruire tutta l’opera attorno ad un interrogatorio si rivela doppiamente riuscita, poiché riesce a catturare da subito l’attenzione dello spettatore, costringendolo a doversi misurare con questioni nient’affatto banali, ma anche per il suo significato meta-cinematografico di traduzione di un linguaggio, quello del cinema di fantascienza nel contesto industriale italiano. Ne L’arrivo di Wang la parola assume un ruolo centrale come veicolo primario della narrazione e nella contrapposizione con l’immagine così assurda e irrazionale dell’alieno. Allo shock visivo, davanti al quale veniamo privati di qualsiasi spiegazione, i due registi oppongono la parola, come impossibile strumento di contatto e di scambio, nonché unico dispositivo in grado di costruire, inventare, immaginare mondi alternativi. Necessità da low budget forse, ma quanta forza, quanta autentica passione riesce a sprigionare il film! Ennesima conferma del talento unico e prezioso dei loro autori, tra i pochissimi eredi di una gloriosa stagione di cui si sente sempre più la mancanza.
da qui
da qui
…sono proprio gli ultimi – e inaspettati – sviluppi della narrazione ad aumentare il peso specifico dell’operazione, trasformando il pur gradevole film in un’intelligente metafora sulla complessità dei rapporti umani e sull’incomunicabilità. La scelta di costruire tutta l’opera attorno ad un interrogatorio si rivela doppiamente riuscita, poiché riesce a catturare da subito l’attenzione dello spettatore, costringendolo a doversi misurare con questioni nient’affatto banali, ma anche per il suo significato meta-cinematografico di traduzione di un linguaggio, quello del cinema di fantascienza nel contesto industriale italiano. Ne L’arrivo di Wang la parola assume un ruolo centrale come veicolo primario della narrazione e nella contrapposizione con l’immagine così assurda e irrazionale dell’alieno. Allo shock visivo, davanti al quale veniamo privati di qualsiasi spiegazione, i due registi oppongono la parola, come impossibile strumento di contatto e di scambio, nonché unico dispositivo in grado di costruire, inventare, immaginare mondi alternativi. Necessità da low budget forse, ma quanta forza, quanta autentica passione riesce a sprigionare il film! Ennesima conferma del talento unico e prezioso dei loro autori, tra i pochissimi eredi di una gloriosa stagione di cui si sente sempre più la mancanza.
da qui
Nessun commento:
Posta un commento