il film di Gianni Amelio è una straordinaria opera prima, che racconta due storie, una sul terrorismo, solo accennata, senza giudizi, e l'altra, più profonds, sui rapporti di un padre col figlio, sulla difficotà e sul mistero di questi rapporti, su ciò che ciascuno si aspetta dall'altro.
Jean-Louis Trintignant è straordinario, ma non è una novità.
film da non perdere, buona visione - Ismaele
… Il film è quindi costruito sullo sguardo
di Emilio; il ragazzo non riesce a comprendere tutto, può solo avere una
visione parziale e “falsata” delle cose – la sua -, è escluso e si esclude dal
padre, fiancheggiatore delle Brigate Rosse. La divisione è gia chiara sin dal
carrello iniziale, che nella durata del piano sequenza tenta disperatamente di
tenere uniti i due in un rapporto complice, fallendo. E ancora nella villa
della nonna a Bergamo, in quel bellissimo movimento di macchina laterale che
unisce Giulia, Dario e Sandro, lasciando fuori Emilio, ad osservarli dalla finestra.
Non ha sentito ciò che il padre ha detto a Sandro, suo allievo prediletto e
terrorista, e poco dopo scoprirà che Dario parla di lui – ma non con lui – a
Giulia, presenza femminile per la quale prova una certa attrazione – il
pedinamento – ma della quale sembra essere geloso. In casa, tra quelle mura
domestiche piene sì di cultura ma anche di vuoti, non c’è dialogo: in una scena
fortissima Emilio si avvicina alla madre e la insulta più volte, lei indossa
delle cuffie e non può sentirlo, non vuole sentirlo, gli sorride e continua il
suo lavoro. Non c’è nessun viaggio in Colpire al cuore che possa aiutare a
recuperare il tempo perduto – c’è invece nell’ultimo Le chiavi di casa e in
molto cinema di Amelio -, se non quello che vorrebbe fare, troppo tardi, Dario
con il proprio figlio. Vista oggi, la pellicola riesce ancora ad essere attuale
proprio per questo suo saper schivare le trappole del film a tema,
scandagliando invece un conflitto più profondo e forzando i limiti della
contingenza storico-politica. Al suo primo lavoro per il grande schermo, Amelio
riesce a compiere questo miracolo con un linguaggio già maturo, capace di
restituire senso attraverso movimenti di macchina e inquadrature dense, come
quella del cimitero-fabbrica, più eloquente di mille proclami…
da qui
… Colpire al cuore è allora il ritratto di uno strappo tra generazioni che non riescono più a comunicare, ma dipinge anche la lacerazione di un intero paese durante gli anni di piombo e nel periodo buio della strategia della tensione. Il regista, all’epoca della presentazione del film, disse: “Del terrorismo io non conosco né le ragioni, né le radici, ma solo le sue manifestazioni. […] Si cerca di conoscerlo per combatterlo meglio, ma sappiamo solo che ha avvelenato i nostri rapporti privati. Questo è il tema del film. Io parlo solo di quello che conosco, perciò parlo di me, che non sono un terrorista ma ne sono toccato violentemente; dunque, un film su quello che il terrorismo ci ha fatto, individualmente, e sulle trasformazioni quasi biologiche che ha operato nella vita civile” (1). L’assenza di una presa di posizione chiara e definita innescò molte polemiche in seguito alla prima veneziana durante il Festival del cinema del 1982: il film arrivò nelle sale sei mesi dopo, e in televisione trascorsi cinque anni, nel 1987, relegato in seconda serata. Come ha scritto Emanuela Martini: “Chi cercava tesi da difendere, o un manifesto da esibire, non li trovò; chi cercava una conclusione politica non la trovò; trovò invece un film estremamente privato e schivo che invita a osservare la Storia a partire dalla propria storia” …
… Colpire al cuore è allora il ritratto di uno strappo tra generazioni che non riescono più a comunicare, ma dipinge anche la lacerazione di un intero paese durante gli anni di piombo e nel periodo buio della strategia della tensione. Il regista, all’epoca della presentazione del film, disse: “Del terrorismo io non conosco né le ragioni, né le radici, ma solo le sue manifestazioni. […] Si cerca di conoscerlo per combatterlo meglio, ma sappiamo solo che ha avvelenato i nostri rapporti privati. Questo è il tema del film. Io parlo solo di quello che conosco, perciò parlo di me, che non sono un terrorista ma ne sono toccato violentemente; dunque, un film su quello che il terrorismo ci ha fatto, individualmente, e sulle trasformazioni quasi biologiche che ha operato nella vita civile” (1). L’assenza di una presa di posizione chiara e definita innescò molte polemiche in seguito alla prima veneziana durante il Festival del cinema del 1982: il film arrivò nelle sale sei mesi dopo, e in televisione trascorsi cinque anni, nel 1987, relegato in seconda serata. Come ha scritto Emanuela Martini: “Chi cercava tesi da difendere, o un manifesto da esibire, non li trovò; chi cercava una conclusione politica non la trovò; trovò invece un film estremamente privato e schivo che invita a osservare la Storia a partire dalla propria storia” …
… Colpire al cuore è
film controverso e audace, che offre un’inedita prospettiva
capovolta: non sono i padri a controllare i figli, quella
provocatoria gioventù bruciata che vorrebbe sovvertire
l’ordine, ma l’esatto contrario. Gianni Amelio ribalta gli stereotipi
patriarcali e racconta un padre rivoluzionario che collabora con
un’organizzazione eversiva, fermato da un figlio schiacciato dal bisogno di
ordine e di regole e, forse, anche un po’ di punire quel padre che sente
distante. La storia è semplice e agghiacciante insieme, perché racconta
un tradimento insanabile: un adolescente, Emilio (Fausto
Rossi), che denuncia il padre (Jean-Louis Trintignant), quando scopre che sta
aiutando la compagna (Laura Morante) di un brigatista, morto in uno scontro a
fuoco.
Il gap tra padre e figlio, la distanza
siderale che li divide è chiara fin dalle prime scene, la macchina da presa li
segue con discrezione con un carrello all’indietro: Dario corre nel parco e
fatica a stare accanto al figlio in bicicletta, i due non riescono a
coordinarsi e a mantenere il passo. Sono una nota stonata, un meccanismo che si
inceppa: qualcosa non funziona e lo si avverte dal primo istante. Emilio sembra
incapace di avvicinarsi a suo padre o a chiunque altro; simbolo
assoluto di voyerismo, si mantiene distante e osserva tutti
dall’obiettivo di una macchina fotografica o dalla fessura tra i frammenti di
una vetrata. Tutto è distorto, perché dal buco della serratura
sembriamo tutti ladri, tutti assassini.
Parafrasando uno dei dialoghi più famosi, Dario dice al
figlio che lo sa che lui vorrebbe che gli dicesse cosa e bene o cosa è male,
tutti vorrebbero qualcuno capace di semplificare in dicotomie nette la realtà,
essere imboccati da certezze rassicuranti, ma padri perfetti così non
ne esistono più e Emilio risponde: figli perfetti ancora
meno. Ed è un po’ questa la chiave, il
grumo dolorante dell’inadeguatezza di entrambi i personaggi in
quelli che dovrebbero essere i loro ruoli naturali: si dice che un bambino
impari cosa è la delusione quando cadono gli eroi, ovvero quando
smette di idealizzare i genitori che crede onniscienti e infallibili e li
scopre umani, imperfetti o peggio. Gli adulti la riscoprono quando capiscono di
non poter convivere con la delusione di non potersi specchiare nel proprio
figlio e infondo è un tradimento anche questo, forse il peggiore…
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