sabato 16 novembre 2019

Il maestro di Vigevano - Elio Petri

il maestro Mombelli vive in un mondo che non gli piace, l'unica sua autorità è, quando ci riesce, sui bambini,
i colleghi (tranne uno molto sfortunato), la moglie, gli industriali del posto, non lo sopportano, il suo tiranno è un direttore scolastico che ricorda alla lontana il direttore di Fantozzi, e Mombelli subisce, subisce, subisce, fino a quando subire diventa impossibile.
il film racconta un mondo che sta cambiando velocemente (come capita a Tognazzi ne La vita agra, di Carlo Lizzani, che mi sembra un film gemello di quello di Petri), dove il sistema economico annienta l'essere umano.
un film da vedere e rivedere, e Alberto Sordi è un mostro di bravura - Ismaele


Questo film è una grande e triste descrizione della realtà, penso ke in qualche modo se ne ritrovino tracce nei film che saranno posti al centro dell' attenzione nella metà degli anni '70, come Fantozzi o Un borghese piccolo piccolo.
la storia si evolve senza filtri, sotto gli occhi dello spettatore che assiste in qualche modo alla malinconia ed alla delusione di un uomo da parte della vita.
indimenticabili caratteristi il Direttore, e l'amico del maestro Mombelli che poi si suiciderà.

Una commedia amara di Elio Petri sul momento storico del boom economico. A molti una vita fatta di poche cose ed oneste, spesso tra le umiliazioni dei padroni, non basta. La corsa all’arricchimento coinvolge tutti e spesso si ricorre anche a pratiche non proprio corrette. Il dilemma del tempo è conciliare la necessità di costruire un potere personale nuovo con quella di conservare gli affetti. Su questo conflitto si sfalda la coppia dei protagonisti Sembra davvero impossibile riuscire a tenere insieme amore e potere. Ma se la situazione economica può cambiare fino s ribaltarsi completamente, il senso del proprio io può rimanere intatto anche attraverso sconfitte e dolori. E cosi nella storia che finisce come era iniziata si può trovare un percorso umano intenso che pur dolorosamente riesce a cambiare il senso dell’esistenza.
da qui

…Il terzo lungometraggio di Petri pare abbandonare l’esistenzialismo proprio dei primi due film per flirtare con l’industria culturale: abbiamo una sceneggiatura tratta da un romanzo di successo, un eccezionale Alberto Sordi nei panni del protagonista (imposto dalla produzione De Laurentiis), la bravissima Claire Bloom in quelli della moglie Ada.
In realtà la questione è più complicata. Per cominciare, la pellicola non è facilmente classificabile secondo la tassonomia dei generi e così le frasi di lancio si esprimono più per perifrasi o aggettivi caratterizzanti che per definizioni: ad esempio sull’Unità il film è presentato come “nuova interpretazione di un grande attore, […] è commovente, divertente, interessante, curioso, è una novità”. Petri stesso ebbe a dire di quest’opera: “E’ un film drammatico, ma trattato in maniera grottesca”.
In secondo luogo la presenza dello stesso Sordi è inserita da un canto nella fase dell’utilizzo più serio del mattatore, dall’altro nella poetica di Petri dell’affidamento a un personaggio delle sue istanze più politiche, che già si riscontravano nelle opere precedenti: il condizionamento dell’ambiente sociale ed economico sull’uomo, la corruzione morale operata dal (desiderio di) denaro, lo scontro irrisolvibile tra l’aspirazione individuale e la realizzazione sociale.
In terzo luogo, Petri si riconferma assoluto maestro nel far convergere ogni elemento cinematografico nell’espressione della sua poetica, dai temi che sottostanno alla sceneggiatura fino agli aspetti visivi. Abbiamo visto la corrispondenza tra le inquadrature iniziali e la presentazione verbale di Mombelli, a cui si deve aggiungere il subitaneo cambiamento di prospettiva e di scala non appena viene chiamato in causa il direttore della scuola: le figure dei maestri vengono rimpiccolite e schiacciate da un’inquadratura dall’alto, che fissa la direttrice di gerarchia tra il potere e il popolo…

…l’insegnante-tipo dell’ultimo scorcio del passato millennio? Se ne può abbozzare un ritrattino? La prima tentazione potrebbe essere quella di recuperare i tanti amarcord degli insegnanti che abbiamo avuto nelle varie tappe della nostra storia scolastica – dalle elementari all’università – per proporvi una sorta di coperta di Arlecchino imbastita nel filo trasparente dei fatti personali. Troppo personali per esibirli qui in una peregrina moltiplicazione dell’irripetibile Posto delle fragole. Verrebbe fuori di tutto. Anche l’amore. Anche l’odio. Anche la saccente sicumera di chi pretendeva inopinatamente di sbirciare nella palla di cristallo del nostro futuro. Ma anche la gratitudine per le tante cose che abbiamo imparato. Soprattutto per le lezioni di vita, forse le più importanti anche se sul momento potevano sembrare le più detestabili. Quando Brecht diceva qualcosa di simile pensava soprattutto a quello che si impara stando in castigo dietro alla lavagna.
È arrivato il momento di ribadire l’energia dell’errore. La prova del nove del buon insegnante è la sua capacità di sbagliare. Nella trasmissione del sapere e nei comportamenti interpersonali. È allora che, fragile come i suoi allievi, finalmente umano, è in grado di scendere dalla cattedra e di insegnare sul serio. Forse per questo il maestro di Vigevano, che sbaglia quasi tutto in classe e in famiglia, assurge ai vertici, esagerati e parossistici, dell’esempio. Inimitabile.

Nessun commento:

Posta un commento