martedì 13 luglio 2021

5 bambole per la luna d'agosto - Mario Bava

ispirato a "Dieci piccoli indiani", di Agata Christie, è una storia di soldi, e tutto il resto ci gira intorno.

la bella vita, le vacanze, i camerieri sono tutti pagati dai soldi, più o meno puliti.

uomini e donne pensano di essere lì, in quell'isola deserta, per divertirsi, in realtà qualcuno vuole estorcere una formula segreta a uno scienziato.

e dopo un po' inizia la lotteria degli omicidi, con diversi colpi di scena.

musiche e scenografie bellissime, attrici e attori all'altezza del compito.

non sarà un capolavoro, ma vi vede con piacere.

buona visione - Ismaele




 

 

Verrebbe da dire che a Bava non importi nulla del racconto, invece non è così. Tutto in effetti agisce in modo estremamente coerente: la stessa fantomatica formula della nuova resina sintetica è sì il classico mcguffin hitchcokiano, ma funziona anche da scaturigine per il dispiegamento del bieco cinismo dei protagonisti, del loro voler considerare ogni cosa come oggetto-feticcio, dalla resina per l’appunto, al denaro, passando per i corpi femminili. Tutto si può vendere e comprare, tutto è smerciabile se c’è una buona offerta, un bell’assegno in bianco…
Il discorso sull’oggetto-feticcio allora diventa gioco stilistico in cui, come in un saggio sulla pop-art, la villa modernista, i colori primari dell’arredamento, le suppellettili di uso quotidiano, il vestiario delle donne protagoniste (che, tra una scena e l’altra, con sprezzo della continuity, si esibiscono in abiti sempre diversi e sempre più sgargianti), tutto contribuisce a descrivere un mondo dove l’artefatto tende ad essere allo stesso tempo opera d’arte a sé stante, sorta di ready-made, e si mostra per quello che è: pura merce, pura superficie da utilizzare. Le donne dunque diventano bambole e i loro corpi finiscono per riposare in mezzo alla carne da macello, rinchiusi in un involucro trasparente e sadicamente appesi a un cavo, dondolanti come marionette ormai inutilizzabili.

Se tutto è un gioco con dei corpi che sono intercambiabili con degli oggetti, il cinema stesso finisce per rientrare nel discorso. Lo spettacolo allora diventa anch’esso materia evidente e grezza, gettata in faccia allo spettatore: non è un caso che la strabiliante sequenza iniziale del film veda i protagonisti impegnati nella consapevole messa in scena di un omicidio, dove il sangue finto fa sfoggio di sé. Si prelude così ai “veri” omicidi, in cui i personaggi che sopravvivono sono portati inizialmente a credere ad altre messinscene impostate ad hoc e a non dare davvero peso a quelle morti, come se fossero consapevoli del fatto di essere parte di un ingranaggio cui tutti sono avvinti e da cui tutti dipendono: la regia, la sua forza onnipotente e annichilente.
Gli zoom folli (in cui si parte da un dettaglio della scena per mostrare l’insieme e poi tornare a un altro dettaglio), le carrellate vertiginose, i giochi prospettici, la giostra sadica di un racconto che è costruito su un montaggio rapido ed ellittico e che allo stesso tempo insiste nel suo non voler procedere in modo lineare ma quasi sospeso: sono questi solo alcuni degli strumenti che Bava usa per dare pieno corso al suo magistero, contemporaneamente sublime esercizio di stile e cinica riflessione sulla superficialità effimera del capitale, che tutto consuma e tutto distrugge.

Senza la colonna sonora di Piero Umiliani però 5 bambole per la luna d’agosto non sarebbe stato lo stesso. Anzi, forse, per un caso quasi unico nella storia del cinema, il film prende forma e corpo a partire dalla composizione sornionamente pop-jazz, con venature di exotica, partorita dall’inventore di Mah-Nà Mah-Nà (il cui riff, a tratti, viene anche citato). La già citata lunga sequenza iniziale, infatti, insiste su una surplace che sembra obbedire all’ossessivo e suadente “falso movimento” musicale instillato da Umiliani, un giro armonico che potrebbe ripetersi all’infinito e che viene infine sciolto da Bava con il finto omicidio. Di nuovo, come in Sergio Leone – pur se molto meno celebrata – la musica non è più mero sfondo o tappeto sonoro, ma uno dei principali ingredienti, l’elemento su cui si costruisce il ritmo e l’attesa spettatoriale.

Insuperabile esempio di come, a partire dal genere, si possa arrivare a dei vertici assoluti, 5 bambole per la luna d’agosto merita a pieno titolo un posto nella ristretta filmografia che, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, ha ragionato in termini consapevoli sulla fase tardo-capitalistica (quella della saturazione economica e industriale) usando e riappropriandosi degli strumenti della pop-art, senza limitarsi alla mera contemplazione della bellezza “plastificata” ma ragionandovi in termini critici e – se vogliamo – autodistruttivi.

da qui

 

Anche gli omicidi sono mirabolanti e visivamente molto efficaci, come sempre nelle pellicole di Bava si assiste ad una sorta di spettacolarizzazione del delitto. In un omicidio la vittima viene pugnalata e poi lasciata penzolare da un albero (la Fenech), in un’altro una donna muore con le vene tagliate all’interno di una enorme vasca da bagno e il suo cadavere viene portato all’occhio dello spettatore facendogli seguire alcune biglie di vetro che cadono a terra in seguito ad una colluttazione tra altri due personaggi. Memorabile poi anche la scelta di Bava di riporre i cadaveri, di volta in volta, all’interno di una ghiacciaia…

da qui

 


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