opera prima di Andrea de Sica, una storia di ragazzini chiusi in un collegio di montagna, dove studiano per essere la nuova classe dirigente, in realtà parcheggiati da genitori pieni di soldi più che d'amore.
i ragazzini crescono in fretta, conoscono il bullismo, la sopraffazione, il sesso, l'amore, l'amicizia, la paura, la disobbedienza.
nel film ci sono tante cose già viste, ma rielaborate in modo personale.
il film non è perfetto, sembra a volte che vaghi senza meta, ma è comunque un buon film.
buona visione - Ismaele
…"Siete la classe dirigente del futuro, non
dimenticatevelo" tuona il preside del collegio dai tratti esternamente
imperiali e internamente kubrickiani, tanto di Shining quanto
di Arancia Meccanica per alcuni "giochetti" sulle matricole. Esso si staglia
nel bianco abbacinante di un incipit fortissimo, evidente contrasto con quel
nero notturno e violento che andrà a raccontare.
I rampolli sono diversamente viziati, la disciplina militaresca serve "a
ritrovare il giusto passo", anche difendendosi da un bullismo controllato
con videocamere nascoste. Il Grande Fratello costituito da "angeli"
ex alunni e ora impiegati vede tutto, controlla tutto: scappatelle e tentativi
di fuga, miseria e nobiltà di comportamento. "Io non vi spio, io imparo a
conoscervi" è la giustificazione degli educatori non dissimili dai
manipolatori di Hunger Games.
De Sica indugia con coraggio sui volti e i corpi di questi teenager sulla via
della disumanizzazione, consapevole che nulla di buono è loro destinato. Il suo
"Bildungsroman" diviso fra il giorno e la notte invernali ha il
sapore di un già visitato probabilmente attraverso letture e visioni suggestive
alla materia, ma non è privo di una sua forza intima e coraggiosa…
…Non mancano
simmetrie ardite e riferimenti debiti, dall’Overlook di Shining in
giù, e nemmeno un’idea di regia, un’ambizione di indagine, una riflessione di
sistema – come conciliare homo homini lupus e privilegio di classe? – ma I
figli della notte ha tutte le debolezze dell’opera prima, e anche
qualcuna in più: la copertura delle carte poetiche non sempre è funzionale, ma
spesso confonde e basta; la baita delle stripper è imbarazzante, oltre la
consapevolezza stessa di Edoardo/Succio: perché, si veda anche Indivisibili di
Edoardo De Angelis, non sappiamo trattare l’erotico, il postribolo, il
partouze?; alcune scene, purtroppo anche nel finale, sono pletoriche nelle
immagini, didascaliche nei dialoghi.
Nondimeno, la
meccanicità del privilegio, la sociopatia di classe, l’estremizzazione del
compromesso vanno da qualche parte, e non disprezzabile affatto: gli
interpreti, Succio à la Ezra Miller su tutti, sono congrui, la macchina da
presa spesso è al posto giusto, manca, e dici poco, una scrittura, una
scansione narrativa all’altezza delle intese ambizioni. Che per volare alto
servono le ali in sceneggiatura e, ancor prima, non serve essere confusi per
convincere. Anzi. Si veda, a proposito, Afterschool, esordio
di Antonio Campos.
…I figli della notte convince appieno sul piano della messa in scena
e della capacità di creare senza soluzione di continuità un'atmosfera molto
intrigante. De Sica dimostra così di avere delle indiscutibili
abilità dietro la macchina da presa e rivela inoltre di non aver
paura di osare nel proporre un ritratto duro di adolescenti molto
diversi da quelli cui siamo abituati nel panorama televisivo e
cinematografico italiano. Meno soddisfacenti, invece, sono lo sviluppo
narrativo legato alla descrizione della quotidianità nel collegio (sarebbe
stato interessante concentrarsi più a fondo su questo aspetto per mettere
maggiormente in risalto il percorso di "deformazione" dei ragazzi) e
soprattutto la gestione della componente paranormale,
risolta frettolosamente e in una maniera che risulta troppo superficiale per
giustificarne davvero l'introduzione. Ad ogni modo, al netto di questi difetti
di sceneggiatura (scritta dallo stesso De Sica insieme a Mariano
Di Nardo con la collaborazione di Gloria
Malatesta), I figli della notte nel complesso è un
esordio cinematografico molto interessante che vale la pena di
essere visto e che fa senz'altro ben sperare per il prosieguo della carriera
del suo regista.
… E’ troppo pieno di cinema altrui per aver già trovato, al
primo film, il proprio. Viste le
premesse pensiamo gli riuscirà, o quanto meno glielo auguriamo. Per
adesso però il risultato è non soltanto un lavoro difficile da catalogare
fin dal genere di appartenenza, ma un frullato di richiami ad altri film, più o
meno noti. Appare un po’ forzato, per fare un esempio, mostrare Giulio
accovacciato per terra nell’atto di lanciare una pallina contro il muro e
riprenderla allo scopo di alludere al suo desiderio di “grande fuga” in
stile Steve McQueen. La citazione non permette mai di
capire se chi vi ricorre lo fa per rendere un omaggio, trovare una scorciatoia
per esprimersi o nascondere la mancanza di idee. Quel che è certo è che
utilizzandola in modo così ampio ed eterogeneo si rischia di rimanerne
prigionieri e di rendere il film frammentario al punto da far perdere di vista
la personalità del suo autore e quel che vuole trasmettere.
A lungo ci si domanda quindi dove voglia andare questa
storia e perché. La risposta spunta forse nell’ultima scena. Anche in
questo caso con una citazione, di certo la più sentita
dall’autore. Il tuffo del protagonista, qualche tempo dopo i fatti, nella
piscina della sua bella villa e persino la dedica che chiude il film (che là
era a Vittorio e qui è a Manuel De Sica) sono un
riferimento chiarissimo alle immagini finali di C’eravamo tanto
amati e dunque al suo intento di denuncia
contro il cinismo di chi comanda e l’influenza che denaro e potere
riescano ad esercitare anche sui giovani più idealisti. Un tema
però già sviscerato in ogni modo, non soltanto dal film di Scola. Nel
riproporlo con abbondanza di riferimenti a grandi lavori del passato
si rischia di apparire superflui oltrechè non all’altezza dei
modelli. Parafrasando un vecchio slogan: “una citazione ci
seppellirà”.
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