un film che non ti aspetti, Ryūsuke Hamaguchi colpisce sempre.
una piccola comunità verrà "assaltata" da un'impresa che vuole costruire un glamping (glamour camping), danneggiando quella comunità.
il procedimento è sempre lo stesso, si fa finta di confrontarsi con la popolazione, mandando due ignoranti sicari a raccogliere i pareri della popolazione, e spiegare loro quanto ci guadagneranno, e magari a prendere come consulenti gli oppositori al progetto (tentativo di corruzione, chissà...).
quel piccolo paradiso assediato dal mondo degli affari e dello sfruttamento, e dai cacciatori, deve difendersi per sopravvivere.
Takumi e Hana, padre e figlia, vivono in armonia con la natura, e la natura con loro, Hana è una ragazzina che ama la sua terra, e si stupisce della bellezza.
il film è diviso idealmente in tre parti, la parte bucolica, il corteggiamento dell'impresa e poi la straordinaria conclusione che non ti aspetti.
il film è in una quarantina di sale, non perdetevelo, la conclusione vi stupirà, e non poco.
buona (resistente) visione - Ismaele
dice il regista:
…Può dirci qualcosa del
finale? È una conclusione bellissima in cui ognuno può vedere qualcosa di
diverso. Voleva lasciare che lo spettatore si portasse dietro delle riflessioni
alla fine del film?
Come regista
non penso di voler confondere lo spettatore come per dispetto, ma penso che ciò
che bisogna fare è fornire un'esperienza interessante, intensa. Mi sono sempre
chiesto cosa mi dà un valore aggiunto nella visione di un film, quando sono io
lo spettatore, e penso che sia l'elemento della sorpresa, della confusione.
Perché io ho una mia visione delle cose e quando un film la mette in
discussione, questa crolla, così come crolla il modo in cui ho visto il mondo
fino a quel momento, e questo è per me il massimo intrattenimento che posso
avere da un film. Per me il dovere di un regista è fornire allo spettatore
questa confusione, lo considero un servizio che fornisco allo spettatore dal
punto di vista dell'intrattenimento.
…Film molto lento,
meditativo ed enigmatico già a partire dal titolo, Aku wa sonzai
shinai è di sicuro molto meno immediatamente
godibile delle due precedenti opere di Hamaguchi ma
possiede pur sempre un gran fascino segreto che si rivela o si occulta via via
che la storia procede, mutando anche in parte le psicologie delle figure messe
in scena. Ci sembra essere oltretutto molto in linea con la tradizione classica
del cinema giapponese, assolutamente più nella linea Ozu/Mizoguchi che non in
quella Kurosawa. Assolutamente sconsigliato a chi ama solo l’action movie
americano.
…Film visivamente e narrativamente rigoroso, che
consapevolmente scarnifica l’elemento verbale in favore di quello della
rappresentazione ambientale, Il male non esiste si
apre a diverse suggestioni, in cui la tematica ambientale è sovrapposta a
quella generazionale – col confronto, silenziosamente problematico, tra Takumi
e la piccola Hana – e a quella del confronto tra diversi gruppi umani. Il film
di Hamaguchi si fa più consapevolmente “divulgativo” e parlato solo nella
sequenza dell’assemblea pubblica coi due rappresentanti della compagnia, oltre
che nella successiva, ironica scena che mostra gli stessi riportare i dubbi
degli abitanti al loro superiore; per il resto, i dialoghi tra Takumi e Hana, e
quelli tra gli stessi due impiegati (in cui viene utilizzato anche lo strumento
della camera car) danno al non detto e ai silenzi un’importanza almeno pari a
quella dell’elemento verbale. Un non detto che, nella fase conclusiva, si
carica di toni volutamente onirici, con un irrompere della violenza che era in
fondo, anch’esso, tutt’altro che imprevedibile. Uno sviluppo coerente, per un
lavoro come quello di Hamaguchi, che ha il merito di caricare della giusta
ambivalenza il mondo che mette in scena, riportandolo alla sua complessità. Una
complessità e multidimensionalità da accogliere con indubbio favore, per un
cinema che stimola la riflessione e rifugge a qualsiasi tentazione da
semplicistico pamphlet.
…Evil Does Not Exist è un film di preoccupazioni,
confronti e punti di vista: due parti, investitori e locali, devono capire come
procedere di pari passo nel presente, dopo essersi resi conto della loro
incompetenza, i primi, e aver messo in chiaro le priorità della comunità, i
secondi. Ingenuità e consapevolezza continuano a scontrarsi in dialoghi
sinceri, che mai nascondono le ragioni dei personaggi e fanno presagire un
punto di rottura fin dall’inizio, che si palesa quando il rappresentante del
glamping manifesta la sua arroganza credendo di poter provare a diventare un
uomo interessante imparando a vivere nella natura…
…Perché non basta poi la redenzione dei due
responsabili ai lavori per salvare la flora e la fauna dell’inedito Giappone
dell’entroterra incorniciato da Hamaguchi con sensibilità e tatto
cinematografico, a nulla serviranno le grida di allarme dei protagonisti quando
la piccola Hana viene improvvisamente dispersa nei boschi di Mizubiki, a caccia
degli elusivi cervi del luogo. La tragedia, e il cuore di tenebra di un’umanità
mai veramente malvagia ma al contempo costantemente pervasa da un istinto
(auto)distruttivo, sono dietro l’angolo, e pur nella loro lacerante
accoglienza, feriscono lo spettatore con la ruvida violenza dell’ineffabilità
dell’animo umano e del suo contraddittorio rapportarsi con la realtà tutta che
lo circonda. Nuovo testamento cinematografico di un Hamaguchi inedito e
nichilista che non ti aspetti.
El
mal no existe es una película extraña, hipnótica, que
no dejará indiferente al público. Puede que haya a quien no le interese las
decisiones que toma la película y hacia donde se dirige, sin embargo, no se le
puede negar una gran belleza visual y un potente mensaje de respeto a la
naturaleza. Puede que esto parezca menor en comparación con la anterior Drive
my car, pero, sí se le concede la suficiente atención, El mal no existe acabará recompensado con creces su visionado.
…Hamaguchi arriva a quel punto in cui il pensiero si
dissolve nella percezione e il sentimento si fa sensazione. Ed è una
trasformazione dallo stato solido al liquido. Sarà per questo che l’acqua è la
figura fondamentale di Il male non esiste,
ciò da cui tutto nasce e ciò che va salvaguardato nel miglior modo possibile.
Al punto che le stesse immagini del film sembrano farsi liquide. A cominciare
dalla sequenza iniziale, quella lunga carrellata che riprende i rami e le
chiome degli alberi dal basso verso l’alto, perpendicolarmente. E che
suggerisce la sensazione di qualcosa che scorre, come una lenta pioggia che
bagna lo schermo. Finché, come ogni corso d’acqua, il regime sa farsi più
impetuoso, come in quei camera car che,
dopo, aver disegnato panoramiche, precipitano in vorticose carrellate a
precedere, come fossero rapide, e che, d’altra parte, sembrano deformare lo
spazio fino a proiettarlo nella sfera d’attrazione di qualche buco nero.
Ma più in generale, Hamaguchi si abbandona a un
flusso, alla ricerca di un cinema che vive soprattutto di movimenti, ora
delicati e leggeri, ora più inconsulti e concitati. E, per contrappunto, di
pause, silenzi, momenti di stasi. Secondo il ritmo della vita. E sì, può anche
soffermarsi a riconoscere ed elencare piante, fiori, alberi, germogli, piume
d’uccello, a indicare il punto di riferimento di un simbolo, che sia una cosa o
un nome. È comunque evidente che nel flusso, le cose non sono più chiaramente
leggibili e distinguibili. Sarà per questo che molto è tenuto nascosto e appartiene
al regno dell’invisibile. Per ellissi (non sapremo mai che fine ha fatto la
compagna di Takumi e mamma di Hana, che scorgiamo da alcune foto). O per
fuoricampo: i rumori che non hanno corpo (da dove vengono quegli spari?), le
inquadrature che tengono celato il punto di osservazione, le scene che giocano
di apparizioni e sparizioni. Come in quell’altro superbo movimento di macchina
che segue Takumi e lo perde tra il fitto degli arbusti, per poi ritrovarlo poco
dopo, con Hana sulle spalle. Comparsa quasi per magia, come uno spirito del
bosco. Hana non vuol dire forse “fiore”?
Ma se tutto è in movimento, in divenire, è anche
evidente perché il male non esiste.
Almeno allo stato naturale, non è l’altro termine di una dualità di principi
distinti. Il nero si mescola al bianco nel cuore stesso delle cose. A meno che
non sia strappato a forza, in un gesto di violenza gratuita, in una fucilata o
nella profanazione indebita di un paesaggio che non ci appartiene. In fondo, è
questa l’idea fondamentale di Il male non esiste.
Il fatto che “in un certo senso, siamo tutti estranei”,
come dice Takumi. Chi più o chi meno. Chi vede nella natura un oggetto o chi
un’ingenua e comunque turistica prospettiva di fuga, sarà costretto a farne i
conti. Ma anche chi riesce a stabilire una connessione più intima, a trattenere
la parola e il respiro, a fermarsi per non intralciare il movimento delle cose.
L’idea che l’uomo sia il centro è una semplificazione arrogante. Può solo stare
a lato. Oppure sparire nell’indistinto.
Nessun commento:
Posta un commento