non è facile crescere a Glasgow, e c'è sempre la possibilità dei soldi facili, con quelli si misura il successo nella vita.
Liam cresce con la madre lontana, in galera, per storie di droga, e quella è la strada per il successo.
Liam vuole aiutare la madre, affinché possa avere una casa tutta sua, per quando esca di prigione, ed è disposto a tutto, a qualsiasi costo vuole riavere una madre, in fondo non è altro che un film d'amore.
come sempre un film di Ken Koach è memorabile e Sweet sixteen non fa eccezione.
buona (filiale) visione - Ismaele
QUI il film completo, su Raiplay
Una full immersion nei bassifondi più dimessi della periferia
di Glasgow a rimirare le macerie lasciate da tanti anni di thatcherismo e di
crisi economica/occupazionale.E'questo il cuore pulsante di questo film di Ken
il rosso,la storia di un quasi sedicenne,Liam che ha tante aspirazioni da bravo
ragazzo(non ultima quella di avere una casa per la propria famiglia formata
dalla madre in galera e dalla sorellastra a sua volta ragazza madre) ma si
scontra con la dura realtà del disagio sociale.I cantieri di Glasgow hanno
chiuso,la disoccupazione è a livelli disumani,Liam si ritrova col convivente
della madre che fa lo spacciatore e addirittura il nonno che fa il corriere
della droga.Lui vende sigarette,è brillante,ha spirito di iniziativa.E'solo
questone di tempo: il salto verso la criminalità organizzata,verso il traffico
di droga è breve,troppo breve.Tutto questo per concretizzare il sogno di
avere una famiglia e un focolare domestico attorno a cui riunirsi. Sweet
sixteen allude all'imminente compleanno di Liam ma allude anche a un'età
che nell'immaginario collettivo è una delle stagioni più felici del ciclo
vitale di ognuno. Per Liam è invece una sorta di limbo in cui si
viene trovare in attesa di atterrare nel mondo dei grandi pronto a
sottomettersi al suo capo che lo ha definitivamente instradato sulla via del
male.Loach sembra dirci che il male in un degrado sociale simile è una
conseguenza ampiamente prevedibile.Ci racconta con grande irruenza ma anche con
un piglio realistico(anche nel linguaggio,nel film si parla una sorta di slang
a me quasi totalmente incomprensibile) ancora più accentuato che in altre
sue pellicole la fine di un sogno.Liam arriva a sfiorare con un dito il
coronamento del suo sogno.Ma in realtà tutto implode
miseramente,un viaggio di sola andata verso la
tragedia.Loach stupisce ancora una volta per la sua capacità di
osservazione e di documentazione analitica.E stupisce ancora di più per trovare
sempre attori esordienti che sono talmente bravi da sembrare da tanti anni
sulle scene.Sweet sixteen è film importante,un piccolo pamphlet di
sociologia applicata alla realtà di assoluto degrado di quella parte di Regno
Unito....
Dopo due prove opache (Bread and Roses e Paul, Mick e gli
altri), un bel film. Ken Loach riscopre la sua classicità perduta, che
ovviamente non è relativa alle storie o alle modalità produttive ma allo
sguardo. È forse l’unico regista europeo che permette di tornare sul dibattito
“teorico” per eccellenza: realismo o finzione? Più Francesco Rosi che Roberto
Rossellini, il cineasta britannico, che cita il neorealismo come ovvia fonte
d’ispirazione, non si accontenta di raccontare o interpretare la realtà nel suo
divenire (la “fenomenologia”), ma interviene direttamente sulla materia. È un
militante puro, con un occhio schierato e un’idea di mondo netta, chiara,
trasparente. Pregio e insieme limite, perché in questo caso la scelta di
visione coincide con quella di campo. A volte si rischia la declamazione
“politica”, la retorica. Ma Sweet 16 vola altissimo, perché la sceneggiatura
pregna di senso etico del solito Paul Laverty va a braccetto con facce che
parlano da sole, con situazioni di degrado sociale che, in quanto autentiche e
misconosciute, hanno bisogno di trovare una voce attraverso il cinema. Non è
facile avere sedici anni, una madre in carcere, amici balordi e come unico
modello comportamentale quello violento degli adulti. Accade in Scozia, accade
ovunque. Loach non è così ingenuo da credere che l’arte cambi il mondo. Ma in
fondo ancora ci spera. E noi con lui.
Coerentemente al suo interesse autoriale, Ken Loach racconta
il disagio e l’isolamento sociale degli ultimi, dei ceti meno abbienti, di
famiglie radicate in un contesto che non lascia scampo. In Sweet Sixteen il regista cala lo sguardo al livello di un
adolescente, sfruttando la fragilità e, al contempo, la forza di un’età che non
conosce compromessi, svelandone i sogni e soffocandoli con il grigiore di un
realismo quasi nichilista, ma all’interno del quale l’autore lascia sempre una
scelta ai suoi personaggi. Ed é proprio nel senso delle scelte che troviamo la
quadra del lavoro di Loach: personaggi ben caratterizzati e ben calati in un
paesaggio definito, attivo nel suo influenzare, o meglio deviare, le vite degli
uomini e delle donne che ospita, ai quali comunque spetta sempre l’ultima
parola, l’ultimo gesto.
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