non è un film tratto da un (bel) romanzo di Grazia Deledda, è proprio un film totalmente finlandese, Aki Kaurismäki firma un altro grande film, del suo personale ciclo dei vinti (di sicuro non sponsorizzato dall'Ufficio del Turismo finlandese).
Ansa e Holappa sono due vittime del sistema economico, lui bravo lavoratore, ma abbastanza alcolizzato, lei una brava commessa, che porta a casa del cibo scaduto, invendibile secondo la legge, e per questo licenziata.
vivono una vita con poca allegria, in case povere, il massimo è la birra nel bar con karaoke.
si trovano, si perdono, si ritrovano, in una camminata zoppicante, con cane, verso il sol dell'avvenire (a Charlie Chaplin piacerebbe).
film di pochi dialoghi, e tutti azzeccati, da morire dal ridere, tra gli altri, i commenti dei cinefili alla fine del film di Jim Jarmusch.
un film da non perdere, promesso
buona (finlandese) visione - Ismaele
…“Fallen Leaves” è una delicatissima e tragicomica storia
d’amore perfettamente nelle corde del regista scandinavo.Bastano poche
inquadrature per ritrovare il classico tocco dell’autore, sempre più essenziale
e minimalista e capace di toccare corde profondissime con una pellicola che è
sia un inno alla vita e all’amore, sia un grande omaggio alla storia del
cinema.
Kaurismäki propone infatti tantissime citazioni, compresa una per
l’amico Jim Jarmusch, del quale viene proiettato in un cinema l’ultimo
lungometraggio, “I morti non muoiono”. Gli omaggi poi vanno al passato, con
diversi riferimenti all’amato Robert Bresson (maestro proprio di quel
minimalismo di cui Kaurismäki è oggi uno dei massimi discepoli), a Jean-Luc
Godard e uno magnifico, poetico ed emozionante a Charlie Chaplin, da sempre una
delle grandi ispirazioni del regista…
Che bella la canzone di una volta. Pardon,
il film. Aki Kaurismaki è una
tradizionalista esasperato. Compone e ricompone lo stesso film da una ventina
d’anni. Lui, lei (l’altro), un cane (un bambino). Solitari in cerca di calore
umano e di una qualche alcolica forma di catarsi. La società individualista che
schiaccia la solidarietà comunitaria. Un velo srotolato e accuratissimo di
straniante ironia. Una parabola che da singolare si fa universale intinta nella
cinefilia. Potremmo fermarci qua e usare queste righe per illustrare
l’impalcatura della consolidata poetica ed estetica di una star del cinema d’essai europeo.
Poi arriva Fallen leaves, in italiano Foglie al vento, e capisci che siamo di fronte ad
una prova formale austera e in purezza, che richiama quello “stile
trascendente” che Paul Schrader argomentava
per Ozu, Bresson, Dreyer. Per capire, appunto, Foglie al vento, bisogna poi mettere da parte
qualsiasi forma analitica di “realismo psicologico” (Schrader, appunto, docet) e scontare la fobia antirussa dei finlandesi
che qui abbonda fuor di metafora sforacchiando radiofonicamente qua e la
l’atmosfera spirituale apparecchiata attorno ad Ansa (Alma Poyisti),
riempitrice di scaffali in un supermercato, e Holappa (Jussi Vatanen),
saldatore alcolizzato che vive nel container aziendale. Siamo nella moderna,
spesso serale/notturna, Helsinki di oggi…
…Non manca, all’interno di questo Foglie al
vento, la tipica ironia à la Kaurismäki, dove un costante straniamento
brechtiano contribuisce, insieme a rigorosissime composizioni del quadro, a
inquadrature prevalentemente statiche e a una fotografia dai colori netti e
particolarmente saturi, a conferire al tutto un carattere grottesco e surreale.
Eppure, al contempo, sempre presente è anche una cruda critica sociale,
riguardante non soltanto il mondo del lavoro (in cui l’essere umano non sembra
più essere considerato tale), ma anche la caducità della vita, in un mondo in
cui, a volte, anche soltanto un piccolo colpo di vento potrebbe cambiare
drasticamente le cose.
Il
potere del Cinema
…La storia di Ansa e Holappa, due proletari sbattuti fuori più volte dai loro precari lavori, dentro una città che, fin verso la fine, pare sgangherata e vuota, ma dove corre sotterranea (come accade sempre nei suoi film) una corrente di solidarietà tra umili: un’infermiera ti regala dei vestiti, due colleghe si autoaccusano, con te, di furto, un uomo salva cani dal canile e dalla soppressione. Anime solitarie, inquadrate le une di fianco alle altre, sul divano di una casa modestissima ma senza un colore o un arredo sbagliato, sulla panchina di un parco, contro le pareti azzurre del California Pub o davanti al palco del locale dove si fa karaoke, Get On, Baby!, un tango di Gardel, un lieder di Schubert, Mambo italiano, tutti in finlandese; e volti imperscrutabili, battute fulminee, silenzi, rotti solo, ogni volta che qualcuno accende una radio (niente tv, nei film di Aki, solo cinema e radio) da un ininterrotto notiziario sulla guerra in Ucraina. Perché non siamo in un mondo a parte, ma in un hopperiano (Edward), triste mondo attuale; anzi, appeso a una parete del California Pub c’è addirittura un calendario del 2024, e chissà cosa vuole dire. Tutto qui: basta poco per catturarti il cuore e lo sguardo, basta essere bravi e limpidi come Aki Kaurismaki. E avere a cuore la gente, come lui e come Chaplin, l’altro spirito guida di questo film, intravisto nei poster fuori dal Ritz e in certe inquadrature e citato nel nome che Ansa dà alla randagia che adotta, una rossiccia di media taglia che pare incredula di aver trovato qualcuno che si occupi di lei. Perché, tra i tanti lati umani di un film di Kaurismaki, non poteva mancare quello canino.
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