lunedì 18 dicembre 2023

Il cielo brucia (Roter Himmel) - Christian Petzold

Felix e Leon si concedono una piccola vacanza in una tranquilla casa vicino al mare, l'ideale per finire i loro lavori, Felix deve preparare un portfolio per poteraccedere a una scuola di fotografia, Leon deve finire di scrivere il suo secondo libro.

non tutto va bene, la macchina si ferma, la casa è occupata da Nadja, quell'estate gli incendi sono particolarmente molesti, dal soffitto c'è un'infiltrazione.

Felix è un ragazzo estroverso, Leon è abbastanza chiuso, la convivenza con Nadja (e a volte Devid) non è facile per tutti.

nell'ultima parte del film le tensioni crescono, e un dramma terribile segna le loro vite.

Leon, che per paradosso è uno scrittore e in quanto tale a contatto con le parole, non trova le parole per dire quello che sente, in quei giorni, e neanche nel libro le parole riescono a dire qualcosa di bello, in giudizio di Nadja è senza appello, come  quello del suo agente Helmut.

e poi accade la tragedia.

e tutto cambia, e anche il libro di Leon diventa un buon libro.

un film che non si dimentica tanto presto e Paula Beer è sempre più brava.

il film, vincitore dell'Orso d'argento al festival di Berlino del 2023, è addirittura in quattro sale in tutta Italia, così va il mondo.

buona (incendiaria) visione - Ismaele


  

 

Studio di caratteri, disamina spietata della professione di romanziere, storiella scema che alla fine funziona, Roter Himmel è la prima bella sceneggiatura di Petzold dalla morte di Harun Farocki. Spensierata e inquietante come una partita di volano coi racchettoni luminosi in una notte d’estate. Fotografia magnifica – soprattutto dopo il tramonto – di Hans Fromm e consueta selezione musicale di Petzold calibrata al millimetro. La colonna sonora sfoggia Tarwater, “andata” di Ryuichi Sakamoto dall’album async (2017) e sopratutto In My Mind (2020) del gruppo viennese Wallners, disinvoltamente perfetta tanto nei titoli di testa quanto in quelli di coda. Paula Beer, magnetica, è la nuova Nina Hoss und das ist gut so.

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Certo, Petzold non ha quei ritmi travolgenti, rimane sempre più compassato, alla ricerca di uno scavo più profondo nella trama delle relazioni. Eppure delinea nuove traiettorie. E se Undine era una donna passionale, di energie innocenti e brutali, qui Nadja è una figura femminile più tenera, apparentemente più gioiosa e rassicurante, pur nelle sue ombre e nei suoi segreti. Un corrispettivo ideale di un protagonista che, invece, è talmente immerso nella propria dimensione iperurania e così avvitato su sé stesso, da essere del tutto incapace di rendersi conto di ciò che gli accade intorno. Costantemente sulla difensiva. È l’accusa che gli rivolge Nadja, svelando tra le righe, una verità decisiva. Ma anche mettendo finalmente a nudo i limiti di Leon e della sua vena di scrittore. Per quanto si possa essere attenti ai propri movimenti interiori, di cosa si può davvero scrivere se non si è in grado di aprire gli occhi sugli altri e sul mondo?

Allora, tutta la parabola disegnata da Petzold si rivela un percorso di educazione sentimentale e di rieducazione alla vita. Che deve passare necessariamente per il travaglio del negativo, per il picco di discesa. Per la crisi, il dolore, la perdita. Per quell’istante in cui tutto ciò che sta intorno, prende fuoco e si trasforma in cenere. Ma, anche nel mostrare il dramma, Petzold non diventa mai tragico. Mantiene una levità, che passa prima di tutto negli sguardi, negli atteggiamenti, nel linguaggio dei corpi. E poi, solo poi, nell’esternazioni più evidenti e nelle parole. La scrittura di Leon riprende corpo e sangue, nel tornare alla vita. Mentre quella di Petzold si trattiene, rimane un passo indietro. Lasciando che le cose parlino da sé, tra i silenzi, i pianti e i sorrisi.

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Il cielo brucia ha una quantità infinita di pregi e francamente proprio nessun difetto. Scritto con aggraziata compattezza da Petzold, il testo mescola l’elemento naturale del fuoco con pulsioni e passioni degli esseri umani, in primis quel senso di gelosia e di possesso che intercorre nei rapporti interpersonali sia sentimentali che semplicemente amicali. Non solo il cielo, ma anche l’anima brucia in Leon e Nadja, come in Felix e Devid. E la regia di Petzold è lì a circoscrivere con squadra e righello, nemmeno fosse un maestro del thriller, i bordi del quadro umano entro cui labilità e fragilità interiori si sviluppano. L’incendio della foresta, sinistro e insinuante, chiaramente presente in fuggevoli impressioni tra i protagonisti, non è mai turning point deflagrante. E qui sta la grande abilità del regista tedesco oramai 63enne – ce lo ricordavamo negli anni di Jericow e Yella a Berlino vent’anni fa: far incombere il realismo inarrestabile della natura tenendolo continuamente e metaforicamente sottotraccia.

L’accerchiamento è qualcosa che la regia di Petzold costruisce senza che ne accorgiamo: utilizzando attori estremamente capaci più in funzione di pedine, rendendo lo spazio di quel giardinetto davanti casa e già dentro la foresta come sempre più diviso dal mondo. Perché in fondo c’è una lezione da grande drammaturgo a sorreggere e penetrare Il cielo brucia: per poter scrivere una storia e descrivere la realtà bisogna essere capaci di guardarsi attorno e non di atteggiarsi da narratori per grazia ricevuta o status sociale. Fate voi, insomma. Noi che questo film va visto assolutamente ve lo abbiamo spiegato. Distribuisce come al solito modello sfida impossibile Wanted. Il cielo brucia ha vinto l’Orso d’argento a Berlino 2023

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In Afire, dopo una prima parte in cui hanno la meglio momenti leggeri, spesso addirittura esilaranti (grazie soprattutto alla bravura di Thomas Schubert), la tragedia non tarda ad arrivare. E sarà molto più crudele e inaspettata di quanto si possa inizialmente credere. Come di consueto, dunque, Christian Petzold non ha esitato a sorprenderci, ad annichilirci, stravolgendo ogni iniziale certezza e mostrandoci (tante) possibili svolte e soluzioni. Questo suo Il cielo brucia è, dunque, un vero e proprio inno all’amicizia e all’arte. E per creare una valida opera d’arte soltanto un’attenta e sincera osservazione del mondo che ci circonda può esserci realmente d’aiuto.

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