dopo ACAB e Suburra, Adagio chiude la trilogia di Stefano Sollima sulla Roma meno turistica.
Francesco Di Leva e Pierfrancesco Favino erano insieme in L'ultima notte di Amore, entrambi poliziotti, in Adagio Favino diventa un delinquente.
i tre delinquenti Daytona, Il cammello, Polniuman sono a fine carriera, ma il loro è un mestiere nel quale godersi la pensione è molto difficile.
il film inizia con una panoramica della città, dall'alto non si sa cosa avviene a livello terra.
tutto accade in poche ore, la prima parte è buia, notturna, poi arriva un mattino luminoso, la seconda parte avviene durante il giorno, la storia è nerissima, due poliziotti corrotti e i tre delinquenti ex amici, un ragazzino che si trova in mezzo a una storia di ricatti, con una politica criminale e una polizia con qualche scheggia impazzita, deviata, al servizio di un potere corrotto e oscuro, in una lotta senza regole.
come nel film di Petzold un incendio si avvicina, assedia la città, piove cenere.
e poi ci sono quei ragazzini che si incontrano al commissariato, figli di gente dimenticabile, loro saranno il futuro.
ma questà è un'altra storia.
un film che merita, ottimi attori e una sceneggiatura che regge bene al caos di quella maledetta giornata.
buona (criminale) visione - Ismaele
…Il cinema di genere più riuscito deve
in qualche modo sublimare se stesso, e Sollima non ha paura di "go big or
go home"; soprattutto Favino è trasfigurato in una fisicità assieme
viscida e ruvida, irriconoscibile sotto una calotta cranica calva che gli
riscrive il rapporto tra testa e corpo. Affiancata dal lavoro sulla lingua più
vero del vero, risulta in una prova eccellente perfino per la star più luminosa
del nostro cinema, che peraltro è riuscito nel giro di un anno a completare una
sua personale trilogia di straordinari film sulle città, visto che la Roma
di Adagio va a inserirsi tra la Napoli di Nostalgia e la
Milano di L'ultima notte di amore.
Il resto è un mix di novità - il volto fresco del protagonista Gianmarco
Franchini, all'esordio in mezzo a nomi pesanti senza farsi schiacciare, le
belle musiche dei Subsonica - e di conferme di chi un certo genere crime
dell'ultimo decennio ha contribuito a crearlo: la fotografia di Paolo Carnera, le scenografie sempre speciali
di Paki Meduri, e la solida sceneggiatura di Stefano Bises, che scrive a quattro mani con Sollima.
Insieme fanno del cinema sporco, sfacciato e consapevole, tutte cose di cui il
genere a cui hanno scelto di dedicarsi ha - alle nostre latitudini - un
disperato bisogno.
…Che in Adagio la morte e la
distruzione siano le forze primarie ci viene suggerito sin dalle prime
inquadrature, con la vista su una Roma notturna illuminata da una serie di
gravi incendi sullo sfondo e da una serie di black out che oscurano ogni cosa.
In questo contesto si muovono tre generazioni di personaggi: i vecchi, glorie
passate della criminalità ormai ritiratisi nell’ombra e desiderosi di
rimanerci; i nuovi criminali, uomini adulti con l’ambizione di conquistare ciò che
li circonda; e infine i giovani, piccoli teppistelli con giusto qualche
esperienza nello spaccio, spaventati e tutt’altro che certi di voler far parte
di quel mondo.
Queste tre generazioni si muovono dunque secondo logiche
di attacco, difesa o fuga, sono prede e predatori chiamati all’azione nella
giungla di cemento che è Roma. Sollima li segue con attenzione, senza mai
avvicinarsi troppo e permettendo così agli attori di cercare e trovare nuovi
modi di esprimersi con il corpo all’interno delle immagini. C’è dunque molta
istintività e fisicità all’interno di Adagio, che porta però tale
titolo in quanto si muove calmo tra le vicende di suoi personaggi e i rapporti
tra di loro. L’incidente scatenante che mette in moto il film sembra infatti
più un pretesto per chiamare all’azione i suoi protagonisti, concentrandosi poi
su di loro, il loro vissuto e le loro ferite interiori…
…“Daytona”, “Il cammello”, “Polniuman” sono tre
personaggi dolenti, finiti, e ognuno di loro reagisce al loro destino in modo
diverso: Servillo, Favino e Mastandrea restituiscono in maniera convincente le
sfaccettature dei loro personaggi che hanno sui volti i segni di un’epoca di
sangue e morte. Le loro interpretazioni, come quella di Adriano Giannini in un
ruolo che non vi sveleremo, e la maestria di Sollima nel dirigere le loro
storie sullo sfondo di una Roma distopica, tra fuoco e cenere, sovraffollata,
caotica e sporca, immagini potentissime, non bastano a risollevare una trama
debole e prevedibile.
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