quell'assassino seriale di prostitute, Saeed, continua a farla franca.
la gente lo approva, e la polizia non sembra troppo dispiaciuta.
ma quella giornalista di nome Rahimi sente l'urgenza di fare qualcosa, rischiando la vita.
il dramma è che quel killer è amato in famiglia, sembra uno che fa la volontà di Allah, e quando arrivi alla fine capisci quanto le cose sono compromesse, gli assassini sembrano eroi, non più vili killer, nascere donna in Iran (come in altre infelici parti del mondo) non è per niente facile.
film senza fronzoli, secco, incisivo, grande cinema.
buona (rischiosa) visione - Ismaele
Un filmino casalingo.
Il giovane ragazzo che usa la sorellina per simulare gli omicidi del padre.
La madre lì che non li ferma.
3-4 minuti intensi, potenti, fastidiosi che hanno veramente un mondo
dentro.
L'uomo (il ragazzino) che imita il padre, come a dirci che niente cambierà,
che anche le nuove generazioni cresceranno con quei dettami e quell'ideologia.
La donna (la piccola bambina) come vittima sacrificale, presente e anche
lei futura.
E la madre (la società) che se ne sta lì, inerme, ormai assuefatta al mondo
in cui è cresciuta.
Tre minuti che raccontano tutto, 3 minuti che raccontano i 20 anni
successivi alle vicende del film.
Tre minuti che se non fossero terribili li definiremmo straordinari
…Proprio all'epoca dei fatti, Abbasi
stava per lasciare il suo paese e iniziare il percorso che l'avrebbe portato a
stabilirsi in Svezia e poi in Danimarca. La storia di Saeed Hanaei, che fu poi
catturato e giustiziato, è rimasta nota per la trasparenza e l'apertura con cui
l'uomo rivendicò i suoi propositi omicidi, e per l'assurdo supporto che i suoi
proclami religiosi gli garantirono presso una parte dell'opinione pubblica.
Abbasi omaggia questo aspetto di auto-evidenza della storia, spogliando la
mitologia cinematografica del serial killer di ogni mistero: il suo Saeed è
protagonista del film da subito, tanto quanto l'eroina Rahimi che gli dà la
caccia, e prima che i rispettivi sentieri entrino in rotta di collisione c'è
tutto il tempo di sviscerare la figura di un uomo tormentato dai traumi della
guerra, insoddisfatto della direzione della sua vita, e carismatico nel
guadagnarsi l'approvazione della moglie e del figlio prima ancora che degli
altri cittadini di Mashhad, pronti a scagliarsi contro il basso valore morale e
il cattivo esempio delle prostitute uccise…
Holy Spider fin
dalle prime sequenze coinvolge lo spettatore nel sopravvivere e peregrinare
disperato, tossico, rassegnato e perseguitato di una prostituta come tante di
Mashhad, che nel cuore della notte lascia il figlioletto solo a casa, per
raggiungere le abitazioni e poi i veicoli di squallidi uomini sconosciuti che
approfittandosi della sua situazione la coinvolgono in prestazioni sessuali
feroci, sottopagate e violente, facendo uso del suo corpo come fosse un
oggetto, che se nel cuore della notte appare eccitante e proibito, alla luce
del giorno diviene invece repellente, perverso, sporco e immorale.
Abbasi mostrando le ecchimosi della donna, nel suo
specchiarsi nuda e invisibile a sé stessa durante la preparazione casalinga per
un nuovo turno notturno sulle strade di Mashhad, racconta senza l’uso alcuno di
dialoghi e parole, il dramma e la tragicità della condizione fisica e
psicologica alienante, discriminante ed incredibilmente pericolosa vissuta e
subita dalle prostitute – e più in generale dalle donne – nell’Iran di quegli
anni, attraverso una lente cinematografica potente, oscura e immediata che si
pone a metà strada tra reportage d’inchiesta, opera documentaristica, cinema
horror e dramma…
…Holy Spider mostra il killer e l’uomo,
il buono e il marcio, parte di un’unica entità, disturbata e disturbante. Le
prostitute sono la radice del male, e come tali, vanno spazzate via, gettate
tra i rifiuti, essendo esse stesse corpi spazzatura, ricettacolo di perdizione
e malattie. Ma Abbasi non si limita solo a dare un volto al killer, mostra le
prostitute e le loro diverse personalità: donne sole e consapevoli della
propria condizione, disumanizzate dagli uomini e dal sesso, da una società che
condanna e non perdona. Abbasi cattura il bravissimo Mehdi Bajestani,
ritraendolo per strade che dovrebbero essere in Iran, ma che per non scendere a
compromessi sono state ricreate in Giordania. Strade sporche, volutamente fuori
fuoco, che sembrano assorbire il marciume del suo protagonista. Holy
Spider è un film duro, spietato, che grazie alla violenza evocata
e non solo mostrata, si spoglia dei generi per diventare qualcos’altro. Un film
ibrido, visivamente affascinante e terribile. Sporco, come le mani imbrattate
di sangue e gli occhi vitrei e spenti del suo sconcertante assassino.
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