un piano sequenza vertiginoso ti fa essere dentro il film, volare e vedere tutto (o quasi).
Andy (un bravissimo Stephen Graham), lo chef, è il dio che deve gestire la cucina, e non solo, solo che quella sera ci sono, contemporaneamente, troppi problemi da risolvere.
e il boiling point è il punto di rottura, del massimo della capacità di sopportazione di un essere umano, che non è onnipotente.
tutto avviene di corsa, a 100 all'ora, senza cinture di sicurezza, una corsa contro il tempo e gli ostacoli che appaiono uno dopo l'altro, come in un videogioco con i minuti e i secondi che scorrono, senza pietà.
gentile lettore, pensa e guarda con un occhio compassionevole e gentile chi ti fa da mangiare, in una macchina impazzita, che neanche t'immagini.
un film da non perdere, se vi volete bene.
buona (spericolata) vsione - Ismaele
…se alla sceneggiatura si perdonano
gli eccessi vista la necessità di movimento costante che deriva dalla scelta di
girare in un unico movimento di macchina senza stacchi, il vero collante
emotivo è la straordinaria performance di Stephen Graham nel ruolo del
protagonista, preparata per giunta dalla partecipazione al corto dello stesso
regista di cui il film è un'espansione. Graham si è costruito una variegata
carriera da caratterista ai massimi livelli, tra Europa e America, di cui la
scena iconica del litigio con Al Pacino in The Irishman è forse il meritato culmine. Eppure possiede un talento multiforme
che non viene premiato abbastanza spesso con ruoli da protagonista,
specialmente al di fuori del cinema britannico (il suo lavoro nella miniserie
di Shane Meadows The
virtues meriterebbe fama ben più ampia).
La sua capacità di farsi presenza mastodontica e insieme di contorcersi in un
groviglio di tormento è perfetta per il personaggio di uno chef che è guida e
ispirazione di un'intera squadra ma che nel frattempo sta progressivamente
perdendo i pezzi al livello più intimo di sé. Boiling point ci
mette la sua sofferenza davanti agli occhi e ci impedisce di distogliere lo
sguardo, pregando che questa cucina, stasera, chiuda al più presto.
…non c'è tempo e spazio
per dare troppa complessità ai personaggi ma bastano poche pennellate per darci
empatia, come la cameriera di colore umiliata, il giovane pasticcere con tagli
nel braccio, la souf chef che da sola deve sopportare tutta la pressione della
cucina, la proprietaria svampita e malata di social che, in realtà, ha dentro
un'anima molto fragile e sincera (quando viene umiliata va a piangere, altri
sarebbero esplosi e avrebbero licenziato il personale).
Vero è che si prova a infilare dentro un pò di tutto, la visita sanitaria,
l'altro chef a cena, il critico, l'influencer ridicolo, la ragazza con
allergia, il cliente insopportabile e maleducato, il lavapiatti drogato, la
ragazza non inglese in prova, lo chef triste e alcoolizzato, la manager inadeguata,
tanto che il rischio che il film abbia troppa carne al fuoco (scusate la
battuta) è dietro l'angolo.
Eppure ogni vicenda e personaggio vengono sempre e solo sfiorati da questo
fiume in piena che è la ripresa unica, cosicche non c'è mai la sensazione di
accumulo od overload…
…incasellare il film di
Barantini in una qualsiasi tradizione potrebbe risultare limitante. Perché
proprio a partire da questo piano sequenza che raccoglie e riordina spunti
narrativi irrelati, schegge di conversazione, tensioni sotterranee, Boiling Point si rivela clamoroso esempio di
cinema senza cinema, un racconto che pare esistere al di là dello sguardo dello
spettatore, radicale nella sua ostinazione a sostenersi su un realismo fondato
su banali fatti di cucina estratti dall’entropia e resi cinema da una scrittura
che tratta ogni preparazione, ogni svolta del servizio con il ritmo serrato del
thriller.
Non è forse un vero
teorico del piano-sequenza Barantini, ma è abile a muoversi in uno spazio
visivo concettualmente vivacissimo, teso tra i discorsi di Bazin, la grande
sintagmatica di Christian Metz ed una macchina da presa “gamificata”, quasi un
cursore che seleziona i vari focus della narrazione da proporre allo
spettatore. C’è anche il tempo per un’improvvisa riflessione sull’etica dello
sguardo centrata, sempre più urgente in un contesto storico ripensato dal
capitalismo della sorveglianza. Boiling Point,
invece, fa un passo indietro ed esclude lo spettatore da una scena drammatica
che si svolge tutta dietro una porta chiusa, in un exploit che forse sarebbe
piaciuta a Rivette. A Boiling Point,
tuttavia, malgrado certe illuminazioni, manca, purtroppo, la forza per compiere
l’affondo finale.
Il film si ferma in
effetti giusto un attimo prima di diventare un vertiginoso esperimento
cinematografico sul nulla (che in realtà è un “tutto” bastante a sé stesso).
Negli ultimi minuti, il sistema quasi va in carenza d’ossigeno e si lancia alla
ricerca di una svolta narrativa su cui dare sostanza al racconto. La trova
spogliando il protagonista di tutte le sue sovrastrutture, raccontandone tutte
le debolezze senza remore e facendo deflagrare tutte le tensioni accumulate
fino a quel momento contemporaneamente. Ma forse l’unico a uscire davvero
vincitore dall’escalation è l’Andy di Stephen Gaghan, straordinariamente umano,
fragilissimo. Per il resto, il racconto finisce per arrancare, inscritto in
spazi riconoscibili, evidenti, non più solo suggeriti, evocati.
La macchina orchestrata
fino a quel momento da Barantini si inceppa, dunque, scaricando il suo
potenziale in uno schematismo affettuoso ma convenzionale. C’è però il tempo
per un ultimo colpo di reni. Perché quell’epilogo, ancora in piano sequenza,
improvviso, in apocope, sembra ricongiungersi alle riflessioni sul long shot di
Pasolini, che vedeva vita, morte e cinema in costante relazione. Quasi come se
una materia tematica così ampia volesse ribellarsi a qualsiasi principio
ordinatore, come fatto fino a quel momento, in fondo.
…Dentro la cornice stilistica, che per me
è il punto della questione e la potenza del film, ecco la storia di Andy
(magistrale prova di Graham), lo chef che affronta problemi sempre più
insormontabili: appena arriva subisce il declassamento di un ispettore, ed è
solo l’inizio della serata; discute temi scabrosi con la moglie al telefono;
beve un misterioso liquido da una bottiglia; litiga coi colleghi in cucina e
con la proprietaria; riceve la visita di un importante chef con una famosa
critica culinaria, che lo ricatta per un grosso debito e avanza una proposta
indecente. Intanto il thriller miete anche una vittima, ovvero una ragazza che
accusa un forte malore durante il pasto. La storia di Andy non si sviluppa ma
si incarta, tutto intorno implode lui compreso, ripiega su se stesso in un
percorso di degradazione inesorabile, sino al finale in cui raggiunge il punto
di ebollizione. Seppure non vi siano omicidi o squartamenti, seppure non si
sparino colpi di pistola, Boiling Point è un
crescendo di tensione incalzante, spietata, che ti afferra come una tenaglia
trascinandoti sul suo terreno in perenne terremoto. È un thriller in cucina:
per chiunque abbia lavorato anche solo un’ora in un locale, praticamente imperdibile.
Ma anche per gli altri.
…dietro le stelle Michelin, l’immacolata
divisa da chef e gli impeccabili impiattamenti dal tocco artistico, covano
nevrosi che non tarderanno a trasformare la commedia di costume in dramma su
quella piaga che è il burning out, o esaurimento nervoso da lavoro
che dir si voglia. Nel corso di tutto il film, Andy, in misura
ancora maggiore rispetto agli altri personaggi, è per l’appunto il contenuto in
ebollizione di una pentola sempre sul punto di esplodere, e la proverbiale
goccia che fa traboccare… la pentola non tarderà ad arrivare. E la sua
condizione di stakhanovista stressato, schiacciato dalle aspettative altrui e
da responsabilità fuori dalla sua portata potrebbe tranquillamente essere
traslata anche ad altri mestieri. Come che sia, terminata la visione di Boiling
Point sarà molto piu’ facile metterci nei panni di chi sta ai fornelli
o dietro al bancone – e, di conseguenza, ci penseremo due volte prima di
lamentarci indispettiti o attribuire mezza stella su Trip Advisor quando un
antipasto arriva al tavolo con qualche minuto di ritardo, una bistecca è troppo
cotta o un cameriere sbaglia a farci lo scontrino.
…Boiling Point non nasconde nulla, dimostra ciò che,
neanche troppo lontano dalla realtà, si cela dietro a un semplice servizio al
tavolo, che in realtà è tutt’altro che semplice. All’interno del ristorante,
viene mostrato ancora una volta l’importanza della frase “Il cliente ha sempre
ragione”, ma seguendo la macchina da presa, che scivola tra le ante della
cucina, ci rendiamo conto che c’è molto più di un semplice “avere ragione”. La
chiave di lettura di Boiling Point non è solamente un film drammatico, ma
lascia intravvedere una nota legata alla compassione, all’altruismo e al
sostegno sociale.
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