mercoledì 15 marzo 2023

Boiling point – Philip Barantini

un piano sequenza vertiginoso ti fa essere dentro il film, volare e vedere tutto (o quasi).

Andy (un bravissimo Stephen Graham), lo chef, è il dio che deve gestire la cucina, e non solo, solo che quella sera ci sono, contemporaneamente, troppi problemi da risolvere.

e il boiling point è il punto di rottura, del massimo della capacità di sopportazione di un essere umano, che non è onnipotente.

tutto avviene di corsa, a 100 all'ora, senza cinture di sicurezza, una corsa contro il tempo e gli ostacoli che appaiono uno dopo l'altro, come in un videogioco con i minuti e i secondi che scorrono, senza pietà.

gentile lettore, pensa e guarda con un occhio compassionevole e gentile chi ti fa da mangiare, in una macchina impazzita, che neanche t'immagini.

un film da non perdere, se vi volete bene.

buona (spericolata) vsione - Ismaele


 

se alla sceneggiatura si perdonano gli eccessi vista la necessità di movimento costante che deriva dalla scelta di girare in un unico movimento di macchina senza stacchi, il vero collante emotivo è la straordinaria performance di Stephen Graham nel ruolo del protagonista, preparata per giunta dalla partecipazione al corto dello stesso regista di cui il film è un'espansione. Graham si è costruito una variegata carriera da caratterista ai massimi livelli, tra Europa e America, di cui la scena iconica del litigio con Al Pacino in The Irishman è forse il meritato culmine. Eppure possiede un talento multiforme che non viene premiato abbastanza spesso con ruoli da protagonista, specialmente al di fuori del cinema britannico (il suo lavoro nella miniserie di Shane Meadows The virtues meriterebbe fama ben più ampia).

La sua capacità di farsi presenza mastodontica e insieme di contorcersi in un groviglio di tormento è perfetta per il personaggio di uno chef che è guida e ispirazione di un'intera squadra ma che nel frattempo sta progressivamente perdendo i pezzi al livello più intimo di sé. Boiling point ci mette la sua sofferenza davanti agli occhi e ci impedisce di distogliere lo sguardo, pregando che questa cucina, stasera, chiuda al più presto.

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non c'è tempo e spazio per dare troppa complessità ai personaggi ma bastano poche pennellate per darci empatia, come la cameriera di colore umiliata, il giovane pasticcere con tagli nel braccio, la souf chef che da sola deve sopportare tutta la pressione della cucina, la proprietaria svampita e malata di social che, in realtà, ha dentro un'anima molto fragile e sincera (quando viene umiliata va a piangere, altri sarebbero esplosi e avrebbero licenziato il personale).

Vero è che si prova a infilare dentro un pò di tutto, la visita sanitaria, l'altro chef a cena, il critico, l'influencer ridicolo, la ragazza con allergia, il cliente insopportabile e maleducato, il lavapiatti drogato, la ragazza non inglese in prova, lo chef triste e alcoolizzato, la manager inadeguata, tanto che il rischio che il film abbia troppa carne al fuoco (scusate la battuta) è dietro l'angolo. 
Eppure ogni vicenda e personaggio vengono sempre e solo sfiorati da questo fiume in piena che è la ripresa unica, cosicche non c'è mai la sensazione di accumulo od overload…

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…incasellare il film di Barantini in una qualsiasi tradizione potrebbe risultare limitante. Perché proprio a partire da questo piano sequenza che raccoglie e riordina spunti narrativi irrelati, schegge di conversazione, tensioni sotterranee, Boiling Point si rivela clamoroso esempio di cinema senza cinema, un racconto che pare esistere al di là dello sguardo dello spettatore, radicale nella sua ostinazione a sostenersi su un realismo fondato su banali fatti di cucina estratti dall’entropia e resi cinema da una scrittura che tratta ogni preparazione, ogni svolta del servizio con il ritmo serrato del thriller.

 

Non è forse un vero teorico del piano-sequenza Barantini, ma è abile a muoversi in uno spazio visivo concettualmente vivacissimo, teso tra i discorsi di Bazin, la grande sintagmatica di Christian Metz ed una macchina da presa “gamificata”, quasi un cursore che seleziona i vari focus della narrazione da proporre allo spettatore. C’è anche il tempo per un’improvvisa riflessione sull’etica dello sguardo centrata,  sempre più urgente in un contesto storico ripensato dal capitalismo della sorveglianza. Boiling Point, invece, fa un passo indietro ed esclude lo spettatore da una scena drammatica che si svolge tutta dietro una porta chiusa, in un exploit che forse sarebbe piaciuta a Rivette. A Boiling Point, tuttavia, malgrado certe illuminazioni, manca, purtroppo, la forza per compiere l’affondo finale.

Il film si ferma in effetti giusto un attimo prima di diventare un vertiginoso esperimento cinematografico sul nulla (che in realtà è un “tutto” bastante a sé stesso). Negli ultimi minuti, il sistema quasi va in carenza d’ossigeno e si lancia alla ricerca di una svolta narrativa su cui dare sostanza al racconto. La trova spogliando il protagonista di tutte le sue sovrastrutture, raccontandone tutte le debolezze senza remore e facendo deflagrare tutte le tensioni accumulate fino a quel momento contemporaneamente. Ma forse l’unico a uscire davvero vincitore dall’escalation è l’Andy di Stephen Gaghan, straordinariamente umano, fragilissimo. Per il resto, il racconto finisce per arrancare, inscritto in spazi riconoscibili, evidenti, non più solo suggeriti, evocati.

La macchina orchestrata fino a quel momento da Barantini si inceppa, dunque, scaricando il suo potenziale in uno schematismo affettuoso ma convenzionale. C’è però il tempo per un ultimo colpo di reni. Perché quell’epilogo, ancora in piano sequenza, improvviso, in apocope, sembra ricongiungersi alle riflessioni sul long shot di Pasolini, che vedeva vita, morte e cinema in costante relazione. Quasi come se una materia tematica così ampia volesse ribellarsi a qualsiasi principio ordinatore, come fatto fino a quel momento, in fondo.

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Dentro la cornice stilistica, che per me è il punto della questione e la potenza del film, ecco la storia di Andy (magistrale prova di Graham), lo chef che affronta problemi sempre più insormontabili: appena arriva subisce il declassamento di un ispettore, ed è solo l’inizio della serata; discute temi scabrosi con la moglie al telefono; beve un misterioso liquido da una bottiglia; litiga coi colleghi in cucina e con la proprietaria; riceve la visita di un importante chef con una famosa critica culinaria, che lo ricatta per un grosso debito e avanza una proposta indecente. Intanto il thriller miete anche una vittima, ovvero una ragazza che accusa un forte malore durante il pasto. La storia di Andy non si sviluppa ma si incarta, tutto intorno implode lui compreso, ripiega su se stesso in un percorso di degradazione inesorabile, sino al finale in cui raggiunge il punto di ebollizione. Seppure non vi siano omicidi o squartamenti, seppure non si sparino colpi di pistola, Boiling Point è un crescendo di tensione incalzante, spietata, che ti afferra come una tenaglia trascinandoti sul suo terreno in perenne terremoto. È un thriller in cucina: per chiunque abbia lavorato anche solo un’ora in un locale, praticamente imperdibile. Ma anche per gli altri.

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dietro le stelle Michelin, l’immacolata divisa da chef e gli impeccabili impiattamenti dal tocco artistico, covano nevrosi che non tarderanno a trasformare la commedia di costume in dramma su quella piaga che è il burning out, o esaurimento nervoso da lavoro che dir si voglia. Nel corso di tutto il film, Andy, in misura ancora maggiore rispetto agli altri personaggi, è per l’appunto il contenuto in ebollizione di una pentola sempre sul punto di esplodere, e la proverbiale goccia che fa traboccare… la pentola non tarderà ad arrivare. E la sua condizione di stakhanovista stressato, schiacciato dalle aspettative altrui e da responsabilità fuori dalla sua portata potrebbe tranquillamente essere traslata anche ad altri mestieri. Come che sia, terminata la visione di Boiling Point sarà molto piu’ facile metterci nei panni di chi sta ai fornelli o dietro al bancone – e, di conseguenza, ci penseremo due volte prima di lamentarci indispettiti o attribuire mezza stella su Trip Advisor quando un antipasto arriva al tavolo con qualche minuto di ritardo, una bistecca è troppo cotta o un cameriere sbaglia a farci lo scontrino.

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Boiling Point non nasconde nulla, dimostra ciò che, neanche troppo lontano dalla realtà, si cela dietro a un semplice servizio al tavolo, che in realtà è tutt’altro che semplice. All’interno del ristorante, viene mostrato ancora una volta l’importanza della frase “Il cliente ha sempre ragione”, ma seguendo la macchina da presa, che scivola tra le ante della cucina, ci rendiamo conto che c’è molto più di un semplice “avere ragione”. La chiave di lettura di Boiling Point non è solamente un film drammatico, ma lascia intravvedere una nota legata alla compassione, all’altruismo e al sostegno sociale. 

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