un film d'amore folle, in tanti sensi.
una storia ambientata negli anni '50-'60 del secolo scorso, in Inghilterra (pessimo posto in cui vivere, Alan Turing, se potesse, lo confermerebbe), tratta da un romanzo di Patrick McGrath, racconta di una povera donna, madre e moglie, oppressa dagli uomini intorno a sè, il marito, psichiatra itinerante, con famiglia al seguito, il grande luminare e psichiatra dottor Cleave, e il pazzo Edgar (l'unico dei tre dichiarato).
Stella soccombe, non vince l'amore, la follia è un buco nero che risucchia tutti, povero bambino.
un film nel quale c'è poco da ridere, evidentemente, è un film che merita.
buona (folle e sofferta) visione - Ismaele
…La Stella di Patrick McGrath,
trasposta sullo schermo da David MacKenzie, è in esilio in una clinica dove
incontra l'amore fatale, un artista uxoricida che la corteggia e la seduce. Un
uomo e un'ossessione per cui fuggire da una casa in cui viveva esclusivamente
della carità del coniuge. Il marito, il figlio, i dottori, tutti sono ingannati
da lei, ma lei é sempre e comunque la vittima di un gioco che la vedrà
soccombere. La storia di Stella Raphael è dunque quella di un'infelice che
un'idea fissa sconvolge e distrugge, ma che non rinuncia ad affermare, sia pure
attraverso la consunzione fisica e psichica, la rottura con ogni convenzione
borghese. Della Londra degli anni Cinquanta la protagonista non accetta le
regole e respinge l'etica dei benpensanti, vivendo una passione assoluta che
trascende i confini della rispettabilità. Ma c'è dell'altro. Follia non
è semplicemente una storia d'amore, è quella di un'ossessione d'amore che dà le
vertigini, e ancora, quella di un'ingiustizia sociale: il potere psichiatrico
di classificare un individuo e diagnosticare misteriose malattie mentali,
rischiando di ridurre il paziente qualcosa di meno di un essere umano. Follia è
un assolo femminile a cui fanno da contrappunto tre uomini e tre
"patologie": quella di Edgar, che non riesce a far tacere la gelosia
e il dolore trasformandoli in azioni distruttive, quella del dottor Cleave, che
esercita il potere della segregazione psichiatrica sottraendo agli amanti
l'oggetto del desiderio, quella di Max Raphael, che privo di affetto e
sentimento contempla la moglie come una vittima scatenata. La pulsione
distruttiva di Stella attraversa il corpo statuario e sonnambolico di Natasha
Richardson. Misurando i mezzi espressivi, l'attrice conduce il suo personaggio
alla rovina con l'erotismo affilato e l'aura tragica di un'eroina romantica
folle e immemore di sé.
Follia è
un film in apnea. Come il piccolo figlio di Stella e Max, riemerso privo di
vita dalle acque gelide e ricattatorie di un fiumaciottolo, si rinviene dalla
visione in uno stato di inquietudine cerebrale ai limiti dell’alienazione
mentale. Se da un lato non si può non evidenziare la palese ricostruzione
illustrativa (senza mai cadere nel calligrafismo) cara alla buona
vecchia scuola inglese, dall’altro non si può, d’altronde, schivare il pericolo
di un coinvolgimento da parte dello spettatore assai curioso.
Sarà la regia
del diligente ma non ordinario Mackenzie, saranno le avvolgenti e al contempo
raggelanti atmosfere fuoriuscite dalle pagine irrequiete di McGrath (di cui
consiglio l’altrettanto morboso Port Mungo), sarà quella sottile
e sinistra capacità di persuadere e compromettere.
Follia racchiude
tutta la sua essenza nel suo insano e laconico titolo, attraverso questa parola
breve e dura trasmette la nervosità (non è un film nevrotico sulle nevrosi, ma
un film nervoso sulla nervosità) di una storia ossessionata sulle ossessioni
del lato oscuro dell’interiorità umana (e della psiche). Un film
sospeso sulla corda dell’equilibrio, strutturato mediante
un’escalation di turbinose ebbrezze sentimental-tormentose, orchestrato con sui
registri del thriller psicologico, sostenuto da mirabili interpretazioni.
Non solo la
grande interpretazione di Natasha Richardson, che dà l’anima ma soprattutto il
corpo alla sua antieroina di inquieta maestosità, ma anche l’apporto dello
sfuggente Morton Csokas e, mi pare ovvio e pleonastico ricordarlo, il solito,
potente, infido Ian McKellen, deus ex machina delle perversioni del racconto.
…El
joven cineasta escocés David Mackenzie, presenta lo que resulta su cinta más
accesible y si bien hacia el desenlace – que impacta- el ritmo de la película
zigzaguea un poco, su elenco aporta actuaciones de primera línea, y hace de los
personajes que podrían sucumbir al sensacionalismo, seres patéticos que asumen
su ominoso destino con ardor; McKellen se divierte como un manipulador
hipócrita, Bonneville es efectivo como el témpano de hielo al que se le rompe
el corazón, la actriz teatral Judy Parfitt brilla en su participación [casi un
cameo] como la madre de Max, una vieja pedante y cruel, aunque la verdadera
estrella es Natasha Richardson en un rol difícil e interesante – en un mundo de
fantasía donde la mujer sensual y atractiva cercana a los cuarenta parece ser
una especie en extinción-; y es que lo que se hereda no se hurta: es
primogénita de la legendaria Vanessa Redgrave y su interpretación denota que en
su código genético hay una larga sucesión de figuras dramáticas a las que
Stella Raphael, con su collar de perlas al principio y después con su mirada
desesperada y vidriosa, pertenece.
La mayor recompensa de esta cinta es verla actuar al lado de McKellen, ambos
despojándose poco a poco de artificios para dejar a la vista su melancolía y
angustia, que con luz fría ilumina las desoladas locaciones de esta historia
donde, a manera de un cuento de hadas fracturado, -- y esto lo intuye el
espectador desde un principio- no habrá final feliz.
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