venerdì 3 marzo 2023

Follia (Asylum) - David Mackenzie

un film d'amore folle, in tanti sensi.

una storia ambientata negli anni '50-'60 del secolo scorso, in Inghilterra  (pessimo posto in cui vivere, Alan Turing, se potesse, lo confermerebbe), tratta da un romanzo di Patrick McGrath, racconta di una povera donna, madre e moglie, oppressa dagli uomini intorno a sè, il marito, psichiatra itinerante, con famiglia al seguito, il grande luminare e psichiatra dottor Cleave, e il pazzo Edgar (l'unico dei tre dichiarato).

Stella soccombe, non vince l'amore, la follia è un buco nero che risucchia tutti, povero bambino.

un film nel quale c'è poco da ridere, evidentemente, è un film che merita.

buona (folle e sofferta) visione - Ismaele

 

 

La Stella di Patrick McGrath, trasposta sullo schermo da David MacKenzie, è in esilio in una clinica dove incontra l'amore fatale, un artista uxoricida che la corteggia e la seduce. Un uomo e un'ossessione per cui fuggire da una casa in cui viveva esclusivamente della carità del coniuge. Il marito, il figlio, i dottori, tutti sono ingannati da lei, ma lei é sempre e comunque la vittima di un gioco che la vedrà soccombere. La storia di Stella Raphael è dunque quella di un'infelice che un'idea fissa sconvolge e distrugge, ma che non rinuncia ad affermare, sia pure attraverso la consunzione fisica e psichica, la rottura con ogni convenzione borghese. Della Londra degli anni Cinquanta la protagonista non accetta le regole e respinge l'etica dei benpensanti, vivendo una passione assoluta che trascende i confini della rispettabilità. Ma c'è dell'altro. Follia non è semplicemente una storia d'amore, è quella di un'ossessione d'amore che dà le vertigini, e ancora, quella di un'ingiustizia sociale: il potere psichiatrico di classificare un individuo e diagnosticare misteriose malattie mentali, rischiando di ridurre il paziente qualcosa di meno di un essere umano. Follia è un assolo femminile a cui fanno da contrappunto tre uomini e tre "patologie": quella di Edgar, che non riesce a far tacere la gelosia e il dolore trasformandoli in azioni distruttive, quella del dottor Cleave, che esercita il potere della segregazione psichiatrica sottraendo agli amanti l'oggetto del desiderio, quella di Max Raphael, che privo di affetto e sentimento contempla la moglie come una vittima scatenata. La pulsione distruttiva di Stella attraversa il corpo statuario e sonnambolico di Natasha Richardson. Misurando i mezzi espressivi, l'attrice conduce il suo personaggio alla rovina con l'erotismo affilato e l'aura tragica di un'eroina romantica folle e immemore di sé.

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Follia è un film in apnea. Come il piccolo figlio di Stella e Max, riemerso privo di vita dalle acque gelide e ricattatorie di un fiumaciottolo, si rinviene dalla visione in uno stato di inquietudine cerebrale ai limiti dell’alienazione mentale. Se da un lato non si può non evidenziare la palese ricostruzione illustrativa (senza mai cadere nel calligrafismo) cara alla buona vecchia scuola inglese, dall’altro non si può, d’altronde, schivare il pericolo di un coinvolgimento da parte dello spettatore assai curioso.

Sarà la regia del diligente ma non ordinario Mackenzie, saranno le avvolgenti e al contempo raggelanti atmosfere fuoriuscite dalle pagine irrequiete di McGrath (di cui consiglio l’altrettanto morboso Port Mungo), sarà quella sottile e sinistra capacità di persuadere e compromettere.

Follia racchiude tutta la sua essenza nel suo insano e laconico titolo, attraverso questa parola breve e dura trasmette la nervosità (non è un film nevrotico sulle nevrosi, ma un film nervoso sulla nervosità) di una storia ossessionata sulle ossessioni del lato oscuro dell’interiorità umana (e della psiche). Un film sospeso sulla corda dell’equilibrio, strutturato mediante un’escalation di turbinose ebbrezze sentimental-tormentose, orchestrato con sui registri del thriller psicologico, sostenuto da mirabili interpretazioni.

Non solo la grande interpretazione di Natasha Richardson, che dà l’anima ma soprattutto il corpo alla sua antieroina di inquieta maestosità, ma anche l’apporto dello sfuggente Morton Csokas e, mi pare ovvio e pleonastico ricordarlo, il solito, potente, infido Ian McKellen, deus ex machina delle perversioni del racconto.

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…El joven cineasta escocés David Mackenzie, presenta lo que resulta su cinta más accesible y si bien hacia el desenlace – que impacta- el ritmo de la película zigzaguea un poco, su elenco aporta actuaciones de primera línea, y hace de los personajes que podrían sucumbir al sensacionalismo, seres patéticos que asumen su ominoso destino con ardor; McKellen se divierte como un manipulador hipócrita, Bonneville es efectivo como el témpano de hielo al que se le rompe el corazón, la actriz teatral Judy Parfitt brilla en su participación [casi un cameo] como la madre de Max, una vieja pedante y cruel, aunque la verdadera estrella es Natasha Richardson en un rol difícil e interesante – en un mundo de fantasía donde la mujer sensual y atractiva cercana a los cuarenta parece ser una especie en extinción-; y es que lo que se hereda no se hurta: es primogénita de la legendaria Vanessa Redgrave y su interpretación denota que en su código genético hay una larga sucesión de figuras dramáticas a las que Stella Raphael, con su collar de perlas al principio y después con su mirada desesperada y vidriosa, pertenece.

La mayor recompensa de esta cinta es verla actuar al lado de McKellen, ambos despojándose poco a poco de artificios para dejar a la vista su melancolía y angustia, que con luz fría ilumina las desoladas locaciones de esta historia donde, a manera de un cuento de hadas fracturado, -- y esto lo intuye el espectador desde un principio- no habrá final feliz.

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