il film inizia con dei giovani tedeschi che manifestano a sostegno della Grecia, il tempo passa, due fidanzati si lasciano, lui torna alla sua vita di tossico, anche un'altra coppia si trova in difficoltà, la figlia ne soffre, quel tossico, dopo tanti anni, vive per strada, col cane, insomma, un film senza che nessuno/a viva felice e contento, la vita non è (necessariamente) una fiaba a lieto fine.
Angela Schanelec è brava e coerente, con storie senza troppe illusioni.
buona (non troppo speranzosa) visione - Ismaele
A colpire del film non è tanto la storia che racconta di vite
segnate dal dolore, dalla sofferenza, dalla solitudine e dalla morte e lo fa
senza strepiti, urla, colpi bassi e tirate melodrammatiche ma con toni glaciali
e distaccati. Colpisce invece la regia con la sua messa in scena sobria,
attenta ai piccoli particolari (che siano oggetti o sguardi) e ad indagare i
rapporti tra le persone, seppure in maniera spesso ellittica. Un modo di
dirigere che dimostra personalità nell'evitare qualsiasi scorciatoia o elemento
che possa piacere a chi fruisce solo di film di "facile consumo".
…Il film, dopo la sua prima partem riprende trent’anni dopo, con Theres a
Berlino con un figlio ormai grande (forse avuto da Ken, ma siccome niente ci
viene detto al riguardo possiamo solo ipotizzarlo). Mentre Ken continua a
vivere sulla strada, e perso nell’eroina. Intanto, chissà perché, la regista
vira su un’altra storia, un’altra coppia, lei attrice, lui non si capisce bene,
che decide di divorziare. Questo è quanto son riuscito a capire e a mettere
insieme di un film che, sottraendo sottraendo, finisce con lo svuotarsi e
diventare il nulla. Tutto girato in uno stile rarefatto, personaggi che vagano
catatonici, molti silenzi, in interni ed esterni per lo più plumbei, e se non
lo sono di loro lo diventano nella livida fotografia del film (il pizzaledella
Hauptbanhof di Berlino stringe il cuore a vederlo). Restano quei primi quindici
minuti, resta quella confessione folgorante del figlio eroinamene al padre (il
quale gli dice solo: “Ti serve della morfina?”). Ma non basta per salvare un
film impossibile, e che però lascia almeno sperare nella regista Angela
Schanelec, questo sì.
…Prima di
questo avevo visto altri suoi due film, il primo, The Dreamed Path, a Locarno 2017, il
secondo, I was at home, but, alla Berlinale 2019.
Tutti e due assai ostici, anzi respingenti. Rileggendo le mie recensioni di
allora mi rendo conto di come abbia faticato a percepire la statura autoriale
della regista (al primo film avevo dato 4 e mezzo, e adesso mi cospargo il capo
di cenere, al secondo 6 e mezzo: cominciavo a capire). Con questo Music ogni mia riserva è
caduta: anche se Angela Schanelec radicalizza ulteriormente il suo fare cinema
portandolo al limite estremo della comprensibilità, decostruendo e sabotando la
narrazione, procedendo per sequenze e blocchi molecolari che paiono autocefali,
celibi, non connessi ai precedenti e ai successivi. Un cinema che ci sfida, ci
costringe a interrogarci senza mai darci risposte. Ma a compensazione di quanto
ci sottrae Schanelec parecchio ci dà. Il senso di un cinema trascendente,
un’ascesi al limite del mistico in cui man mano il superfluo viene dismesso, distrutto,
cancellato perché solo l’essenza rimanga. Un cinema disseminato di segni,
presagi, indizi, consonanze, suggestioni, misteri che la regista ci
sfida-invita e decifrare, in una sorta mind game. Cinema che ci infligge dubbi
e sofferenze contando sul nostro masochismo, sapendo benissimo (il cinema sa) che il masochismo è un
piacere…
…la mirada femenina de la directora alemana es
muy honesta y fresca, igualmente característica, que podemos tomarla como una
exposición antropológica de la mujer. Hay otra escena de una dama tumbada en el
piso, ésta vez por el alcohol. Arianne ve en el libro de su esposo una igualdad
y libertad que añora, aunque es curioso que sea actriz y que su vida no sea tan
intensa, quizá porque es una actriz menos pública, europea, y no una de
Hollywood. Con éste personaje Schanelec se desliga de cátedras aunque cunde el
feminismo. No obstante permite la espontaneidad del caso, habla de una
naturaleza en particular (solitaria), no inquiere por culpables, aunque se nota
que en la primera historia le sobrevive una mirada negativa muy femenina, y en
la segunda una positiva que juzga con complacencia a la mujer. Ese zapato
tirado en la calle es algo gracioso –involuntariamente- visto a esta vera. Los
paisajes tienen especial importancia en ésta historia, ambientada en el
presente.
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