come in altri film, il protagonista è un vestito che uccide.
un vestito oggetto del desiderio, con poteri diabolici, grazie (?) ai venditori vampiri, schiavi (insieme ai possessori delvestito) di un meccanismo più grande di loro.
gli acquirenti sono gente non felice, con qualche (?) problema, il vestito ha gioco facile a insinuarsi nelle loro vite, e a sconvolgerle.
il vestito è un vampiro, è un oggetto del desiderio inarrivabile, è una catena, è una palla al piede, tu pensi di possederlo, lui ti possiederà.
film che merita, regista e attori in gamba, una storia (che si ripete) che cattura.
buona (vestita?) visione - Ismaele
…In
Fabric fa paura. E parte di
questa inquietudine è data dalla sua inaffidabilità, dovuta proprio
all’intreccio rapsodico e la sua dispettosità. A tratti sembra una commedia,
finge di far ridere per fotterci meglio. E non ci riesce perché non possiamo
fidarci di Strickland. Non ci rilassiamo mai con lui. Dietro ogni ordinaria
situazione goffa o paradossale, può nascondersi il meraviglioso, l’impossibile
e soptrattutto il sadico.
In Fabric è
un film che morde. Sgradevole, finto tonto e terribile. Non prendetelo
sottogamba…
…Il film si compone di più episodi, che corrispondono alle
persone che vengono a contatto con lo smagliante e vistosissimo vestito in
questione, soggiogando chi lo indossa, fino a far loro perdere ogni capacità di
decisione autonoma. Strickland pesta sul pedale, accelerando sul coté satanico
e decora il suo film di scenografie e spunti che ricordano i vecchi artigiani o
maestri dell'horror più artigianale e riuscito: maestri italiano come Bava o
Argento che, a loro volta, trovano ispirazione dai massimi autori dell'horror
letterario più cupo, come Poe.
Ne scaturisce un horror sofisticatissimo e
complesso, molto attento alla forma, come da tradizione per l'opera del
regista, che appare talvolta un po' fine a se stesso (l'invettiva
contro l'ansia consumistica selvaggia e famelica, al centro della prima
interessante parte, rimane un po' sottotono nel suo proseguo a vantaggio del
coté horror, comunque di gran classe e pregevole estetica), ma che in qualche
modo rende omaggio alla migliore tradizione del genere, di cui Strickland
appare promotore assieme ad altri talentuoso colleghi come la coppia
cinematografica franco/belga Forzani e Cattet.
…In Fabric è una pungente e acuta metafora sull’esasperazione
dell’importanza delle apparenze per misurare il valore personale, e della
conseguente e contemporanea spersonalizzazione di un mondo del lavoro in cui le
malelingue la fanno da padrone e il dipendente si vede sanzionato per aver
agito in modi più che umani e giustificabili ma considerati non idonei alle
rigide regole del settore.
L’importanza della produttività raggiunge così
valori demenziali, mentre l’aspetto esoterico entra in
gioco per far sì che sia l’oggetto a dominare la persona e non il contrario…
…A tenere insieme il tutto c’è un ovvio tentativo di
delineare, attraverso questa vicenda sgangherata, un discorso relativo al ruolo
dell’elemento estetico-visivo nell’ambito di un consumismo quotidiano ritratto,
soprattutto nella prima parte, con adeguata dovizia di particolari.
Riflessione, questa, che se da una parte legittima ed eleva le scelte
stilistiche dell’operazione, dall’altra rischia alle lunghe di minarne le
fondamenta strutturali. Quando infatti la trama abbandona, per motivi che non
staremo a svelare, il quadro narrativo iniziale per spostarsi altrove, il film
perde inevitabilmente di mordente, finendo per diluire quello che era il
discorso portante dell’intera operazione. È proprio nel tentativo di
giustificare la propria brillantezza estetica, quindi, che In Fabric tende sulla lunga durata a trasformarsi in
mero esercizio di stile. Una scelta voluta, forse? Difficile dirlo. Nel dubbio
non resta che abbandonarsi al sapore vintage e alla grande finezza realizzativa
della sinfonia sensoriale composta da Strickland. In questo senso, perlomeno, è
difficile negargli un poco d’attenzione.
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