mi ha ricordato un po' Si può fare, di Giulio Manfredonia, la missione impossibile di far gestire un'attività commerciale a persone con dei problemi mentali.
gli attori sono bravi, Miriam Leone è bravissima, Stefano Accorsi è straordinario.
il film non annoia mai, è una fiaba a lieto fine, ma tutto torna e ha un senso, non si possono guardare solo film tragici.
buona (matta) visione - Ismaele
…Marilyn ha gli occhi neri costruisce
un racconto fatto di momenti e di piccoli sprazzi di luce nel buio, che pur con
qualche ingenuità di scrittura (la prolungata assenza di controllo sui
pazienti, l’abbozzato rapporto di Diego con la sua famiglia, l’abborracciato
epilogo) riesce nell’intento di intrattenere e di fare sentire chiunque un po’
meno solo. Merito di un cast brillante e affiatato, ma soprattutto di
un’attenzione particolare alla caratterizzazione dei protagonisti, simboli di
un’umanità gracile e annientata, che nonostante tutto riesce a ricostruire
sulle macerie e a rimettersi in cammino verso la felicità.
…Godano mette in scena un ventaglio di stranezze ed
eccentricità per raccontare senza pietismo e con piglio ironico le ossessioni e
le frustrazioni del nostro tempo attraverso un gruppo di personaggi nevrotici
che si muovono all’interno di spazi chiusi, metaforicamente e fisicamente. Mura
di separazione e protezione dall’incomprensione e dal giudizio sociale, che
diventano allo stesso tempo celle di isolamento e autocommiserazione. Fino al
ribaltamento dei ruoli, la forzata trasformazione d’immagine, che passa
necessariamente attraverso i social (rivelatoria in questo senso la sequenza
dei “trucchi” per ricreare i piatti gourmet da fotografare). Il punto di svolta
si ha quando l’esterno, il reale, tenta di fare il suo ingresso in quel safe space di marginalizzazione falsamente
abbellito per compensare un’umana esigenza di normalità.
A muovere i fili produttivi di Marilyn ha gli occhi neri non sorprende ritrovare
Matteo Rovere e la sua Groenlandia, che aveva già prodotto i due precedenti
film di Godano, Moglie e marito e Croce e delizia.
Per compensare l’immagine patinata costruita da Clara, il regista torna a
lavorare sui corpi dei propri attori (com’era stato per Smutniak e Favino
in Moglie e marito) per spogliarli dell’aura da divi da
copertina: Accorsi è abbruttito, gobbo e invecchiato, decisamente credibile
nella parte di Diego, a fronte di una Leone “stratificata”, di abiti, gesti e
toni fin troppo sopra le righe. Nonostante i momenti tra i due protagonisti
(che tornano a lavorare insieme dopo la serie 1992)
talvolta scontati e tendenti alla macchinosità, nello sforzo di mantenere
l’equilibrio tra naturalezza recitativa e complessità psichica, le scene corali
convincono e divertono senza esitazione.
…In un film narrativo in cui
l’elemento umano ha un ruolo da protagonista, la gran parte del successo è
affidata all’interpretazione. Nel caso dei personaggi di Chiara e Diego, poi,
le difficoltà sono amplificate dal pericolo di esagerare cadendo nella
macchietta. Per questo il lavoro svolto da Stefano Accorsi e Miriam
Leone, singolarmente e in coppia, determina l’intero film. Nel caso
del personaggio di Diego una caratterizzazione fisica ben precisa è, al tempo
stesso, un vantaggio e un limite a livello interpretativo. In modo particolare,
la gestione e la modulazione del tic, come della balbuzie, in alcuni momenti
risulta sovrabbondante e non necessaria. A ristabilire la giusta armonia è
l’interpretazione asciutta, almeno nella forma, di Chiara. Le sue inquietudini,
infatti, vivono e proliferano esclusivamente all’interno determinando un’incosciente
follia e una costante negazione. Nessun escamotage interpretativo
per Miriam Leone che, forse, ha il compito più difficile in Marilyn
ha gli occhi neri. Quello di avere una scintilla di follia senza
mostrarlo. Insomma, praticamente come accade alla maggioranza delle persone.
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