primo film da regista di Giulia Steigerwalt, aveva già scritto per il cinema, Marilyn ha gli occhi neri l'ha sceneggiato lei.
Settembre si compone di tre storie, che hanno in comune poco o niente, ci sono persone infelici, e poi, come nelle fiabe (anche Marilyn ha gli occhi neri in fondo è una fiaba), tutto andrà per il verso giusto, Ana diventerà un'estetista e starà con Matteo, Sergio e Maria staranno insieme, come pure Francesca e Debora.
il film fila bene, tutti gli incastri si sciolgono in un abbraccio virtuale.
buona (fiabesca) visione - Ismaele
…A Steigerwalt non manca l’intuizione, e si percepisce con forza
l’affetto che nutre per i suoi personaggi. Li coccola con la videocamera, li
segue con attenzione, partecipa con sincero sentimento alle
loro disavventure. Sono sicuramente personaggi scritti, forse persino troppo.
Perché questo appare come il punto di maggior debolezza di Settembre: l’eccessiva scrittura, così centrale da
sovrastare l’immagine dei personaggi, e dunque la loro
tridimensionalità scenica. Forse nel tentativo di costruire una struttura
corale che potesse apparire priva di crepe Steigerwalt si affida in tutto e per
tutto al meccanismo, e così il misto di commedia e dramma in cui si muove il
film assume progressivamente i ritmi, le scansioni, perfino i punti di vista
della serialità televisiva, allontanandosi dal cinema e dai suoi tempi. E se la parte che riguarda il mondo
adolescenziale, con l’innamoramento (im)possibile tra Sergio e Maria possiede
una grazia che riesce a sopportare bene l’onnipresenza della scrittura, i
coniugi Francesca e Alberto – che sono poi i genitori di Sergio – vedono il
loro rapporto stritolato dalle esigenze di sceneggiatura prima ancora che dal
logorio di una grigia quotidianità. Forse rendendosi conto di questa dinamica meccanica
quasi esasperata la regista non cerca sfoghi nella naturalezza della
recitazione, o desiderando svolte imponderabili per i suoi protagonisti – tutto
procede in modo sufficientemente canonico, ivi compreso l’utilizzo del “lieto
fine” –, ma lascia che a occupare gli spazi vuoti sia la colonna sonora,
pervasa di classici del rock da Bob Dylan a Lou Reed fino a Christa Päffgen in
arte Nico.
Quel che ne viene fuori è una commedia dagli intenti apprezzabili,
dotata di qualche finezza e sicuramente condotta con le migliori intenzioni – e
non del tutto prona alle abitudini più
logore della produzione italiana – ma che non riesce a elevarsi in modo
compiuto a cinema, permanendo invece nel
campo della fiction televisiva, pur con una recitazione molto più convincente
della media. Una visione gentile, che può anche appassionare un pubblico che
non ha troppe pretese ma che sceglie in modo troppo programmatico la via
più facile, preferendo non complicarsi la vita e senza
scavare dunque con brutalità nelle dinamiche psicologiche dei suoi personaggi.
Leggiadro quanto basta, ma resta con ogni probabilità un’occasione in buona
parte sprecata.
…La regista sorvola storie e personaggi
con tocco talmente leggero da rimanere in superficie, rivelandosi
inconsistente, nel tentativo di dirigere con grazia e ironia un racconto che
alla fine risulta invece solo poco efficace, senza che Steigerwalt riesca mai a
trovare un proprio registro. L’aria di questo Settembre non
si respira mai, chiuso su se stesso e i propri personaggi in inquadrature
strette e primi piani. L’apertura verso un futuro incerto ma più appagante sta
tutto nelle parole e mai negli sguardi, in primo luogo quello della regista. È
un film di spazi chiusi, delimitati, soffocanti, in cui i personaggi sembrano
imprigionati e senza margine per muoversi se non secondo un tracciato
prestabilito. Anche quando ci si lascia andare, le emozioni sembrano sempre
ingabbiate, strozzate, i sentimenti rinchiusi dentro a cornici rigide che
difficilmente riescono a suscitare empatia. Sono gli spazi stretti delle auto
in cui conversano Ana e Guglielmo o Ana e Matteo, le stanze d’ospedale, le case
vuote di solitudine, quella di Francesca e di Guglielmo, o il bagno in cui
Sergio insegna a Maria a infilare i preservativi. Sembra che Steigerwalt non
miri ad un racconto di formazione, ad una riflessione sui rapporti umani e di
coppia, ma più che altro si orienti verso una narrazione corale di un vissuto
quotidiano come tanti. Con pochissimi attimi di libertà e respiro come la gita
al mare. A conti fatti Settembre si
perde perché sembra non avere una vera direzione, rimanendo incastrato sulla
parola scritta e le soluzioni narrative, finendo per risultare prevedibile,
senza riuscire mai davvero a toccare il cuore delle cose.
…Ma qual è l’elemento centrale di questo racconto tragicomico della vita quotidiana? In realtà è possibile individuarne più di uno ma colpisce, soprattutto, come ogni protagonista di questa narrazione corale si debba confrontare con l’educazione sentimentale e, in modo particolare, con la sua assenza. Che siano donne, uomini, adulti, o ragazzini, tutti mostrano i segni tangibili di una presa di coscienza tardiva di cosa voglia dire il sentimento. E non fa alcuna differenza che sia rivolto verso se stessi, diventando rispetto della propria persona, o volto a costruire un noi minacciato dall’abitudine e da un egoismo con cui è sicuramente più semplice convivere. Alla fine, però, la presa di coscienza arriva ma non come una detonazione. Perché, se ci sono degli elementi che definisce tutto il racconto di Settembre gestito da Giulia Steigerwalt, sono proprio la gentilezza e l’armonia con cui accompagna i suoi personaggi verso il cambiamento. Una sorta di sorriso comprensivo e mai giudicante che appare sul volto di ognuno di loro per terminare con quello più speranzoso e carico di aspettative dei ragazzi. Perché, alla fine, magari loro ce la faranno a costruire una felicità dove il noi sia contemplato e l’abitudine non venga scambiata per amore.
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