Cassandre (una bravissima Adèle Exarchopoulos) fa un lavoro di merda, in un non luogo (di lavoro), sorvolando il mondo senza vedere nulla, dormendo in residence (quasi) a ore.
Una ragazza sbattuta da un aereo all'altro, per cercare di "fregare" i clienti, come in tanti lavori "moderni", nei quali il misero stipendio può crescere un po' solo vendendo qualcosa a qualcuno.
Si tratta di lavori nei quali l'umanità e la compassione umana sono banditi e puniti, percentuali, numeri, velocità e ancora velocità sono gli dei ai quali i lavoratori e i consumatori devono essere sacrificati.
La prima metà del film racconta non la dignità, ma l'umiliazione del lavoro e dei lavoratori.
Poi il film rallenta, Cassandre viene messa in mobilità, e torna a casa, una casa vera, dal padre e dalle sorella, in Belgio, ed è costretta a vivere con l'assenza e il ricordo della madre, col dolore e la solitudine interiore.
Nel futuro, se esisterà ancora un futuro, Rien a foutre potrà essere un valido e inquietante esempio dell'involuzione della specie umana, e del conflitto di classe, sempre più simile a un rapporto fra padrone onnipotente e schiavo impotente, nel quale gli schiavi-lavoratori non si sentono più classe.
buona (low cost) visione - Ismaele
…In un
registro che è per scelta piatto e ripetitivo, dal taglio quasi
documentaristico, Adèle Exarchopoulos nel ruolo della protagonista è
un’iniezione di star power, una presenza magnetica che aiuta a non perdersi nel
senso di straniamento evocato dalla storia. La sua Cassandre è una ragazza
ormeggiata in un porto lontano, il cui senso di provvisorietà si calcifica in
uno scorrere insostenibile. Un ritratto generazionale che si applica agli
scenari contemporanei della gig economy ma che in realtà la precede, visto che
il mito degli spostamenti low-cost in giro per l’Europa catturava le menti dei
più giovani già un paio di decenni fa.
Non a caso c’è una stanchezza residuale al centro di Zero fucks given,
i cui personaggi non possono andare oltre il fatalismo del presente (“non so
nemmeno se sarò viva domani” risponde Cassandre a chi cerca di sensibilizzarla
alla causa dell’impegno operaio). Anche l’immagine del futuro è filtrata
attraverso il feed di un social network, dal quale si forma il sogno di passare
a una linea aerea come Emirates per le belle divise ma al tempo stesso si cerca
di schivare le promozioni per evitarne le responsabilità.
I due registi integrano alla perfezione questi due elementi con uno stile che
oscilla tra la cronaca indaffarata della macchina a mano incollata ai
personaggi e gli inserti privati, che mimano la forma espressiva di Instagram
come fossero Polaroid di un tempo lontano, re-immaginate per l’era digitale.
…Generazione Low Cost si
inserisce perfettamente nel filone del cinema sociale francese, che solo negli
ultimi mesi ha portato nelle nostre sale opere notevoli come Full Time – Al cento per cento e Un altro mondo,
capaci di tratteggiare la progressiva erosione dei diritti e della dignità
all’interno del mondo del lavoro. In questo senso, Cassandre sembra uscita da
un film dei fratelli Dardenne o di Ken Loach. La macchina da presa di Julie
Lecoustre ed Emmanuel Marre si incolla a lei, seguendola con uno stile lucido e
realista fra sistemi di valutazione degni di una distopia fantascientifica,
umiliazioni sul lavoro, promozioni imposte e colloqui in cui viene invitata a
sfilare davanti alla webcam. Il desolante ritratto di una generazione per cui
il futuro non esiste («Non so nemmeno se sarò viva
domani», dice Cassandre), per cui l’unica prospettiva è un lavoro
mediocre e mortificante con cui tirare avanti.
Un’esistenza sintetizzata dai social della stessa
Cassandre: Instagram come memoria storica del tempo trascorso in un’azienda e
il nickname carpediem come unico possibile approccio ai legami sentimentali,
con uno spirito ben più rassegnato di quello del Professor Keating e della sua
Setta dei poeti estinti. Proprio quando crediamo di averlo inquadrato, Generazione Low Cost cambia pelle sotto ai nostri
occhi, trasformando il ritorno in famiglia di Cassandre in un viaggio fra
traumi irrisolti e lutti insuperabili.
Dall’universale al particolare, la vita senza fissa
dimora e senza affetti stabili della protagonista diventa così anche e soprattutto
reazione al dolore, disperata fuga da un tormento in grado di trovarla in ogni
angolo del mondo. L’ormai iconico broncio di Adèle Exarchopoulos assume così
sfumature di profondo turbamento, e la stessa fotografia vira su toni più
caldi, per stringerla in un abbraccio e per fornirle quella sensazione di
protezione che crede di non poter più trovare…
…È
interessante, Generazione low cost è un
prodotto evidentemente assemblato con un linguaggio chiaro, e per nulla
didascalico, che utilizza una spontaneità che pare sempre al limite della
disorganizzazione fuori controllo mentre, al contrario, nel suo stesso stile
narrativo spiega ciò che vuole dire. Nella prima parte della storia tutto è
quasi caotico: Cassandre è inseguita dallo spettatore nelle sue giornate da
hostess vissute come l’alunna ribelle di un liceo. Ma la realtà che viene
mostrata è presa da un piccolo mondo in disparte, molto comune nella sua
apparente originalità, dove giovani donne animate dal desiderio di evasione,
mascherato da amore per i viaggi, gettano le basi per diventare adulte ciniche
e disilluse.
La bravura di Julie
Lecoustre e Emmanuel Marre sta nel non scivolare mai ad
assecondare tali sentimenti, ma nello scorrere oltre e mostrare di più con una
punta di sarcasmo. Continuando a seguire i passi e la faccia imbronciata della
protagonista, s’innamorano del modo in cui lei stessa, l’attrice Adèle
Exarchopoulos, racconta del proprio accennato distacco
sulle cose accompagnato da picchi emotivi, che vive ridacchiando sotto i baffi,
ma cercando il supporto affettivo della sua famiglia (Mara Taquin e Alexandre
Perrier) per ricomporre se stessa, o iniziare ad imparare a farlo.
I registi mantengono, dunque,
quello stesso sguardo un po’ adolescenziale che spera in un domani gettandosi
in avanti non preoccupandosi troppo dell’equipaggiamento che si ha con sé. Ma
lo fanno con un grande uso della cinepresa: sfruttandone la capacità di frugare
nei volti, nelle storie, trasformandosi da oggetto indagatore a strumento
narrativo.
…La
protagonista di Lecoustre e Marre si fa mimesi di una generazione di
viaggiatori che non riesce ad avere una destinazione e il film rappresenta un
riuscito spaccato sulla precarietà e il disorientamento. Non esistono più punti
di partenza e d’arrivo. Per questo la coppia di registi sceglie una messa in
scena che fa largo uso della macchina a mano e segue da vicinissimo la propria
hostess, come a voler documentare la vuotezza di questa vita. La stessa
Cassandre risponde più volte quando le chiedono di protestare che non sa
nemmeno se domani sarà viva. Si gode il momento, non ha nessun obbiettivo a cui
arrivare. Il viaggio è diventato l’attraversamento stesso rinchiuso all’interno
delle fotocamere dei nostri smartphone, proprio come nello smartphone di
Cassandre che sul finale testimonia il suo nuovo passo in avanti. Ma il
sospetto che rimane è che quella sia un’ulteriore maschera, indossata per
fuggire nuovamente al dolore che non ha mai smesso di cercarla. Le fontane, le
luci e la musica pop illuminano il suo volto. La intrattengono nuovamente, ma
allo stesso tempo rimane come al solito quella donna sorridente in disparte e
sotto i riflettori. Proprio come in New York Movie di
Hopper davanti ai nostri occhi si apre l’illusione di un mondo colorato, mentre
sulle ombre del nostro volto rimangono solitudine e desolazione.
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