Manuel esce dalla casa-famiglia, è un bravo ragazzo che entrerà nel mondo senza essere mai stato un ragazzo libero e spensierato.
sarà il garante degli arresti domiciliari della madre, diventerà come il genitore della madre.
come fai a non stare dalla parte di Manuel (interpretato da un bravissimo Andrea Lattanzi)?
un opera prima eccezionale, da non perdere - Ismaele
…Manuel quindi non esce da una
'prigione' ma da un luogo in cui ha ricevuto ma anche dato quando gli veniva
richiesto. Ora è fuori, esposto alla tentazione della cocaina ma anche
consapevole della necessità di rimettere ordine in un appartamento messo sottosopra
anni prima dall'irruzione dei carabinieri e, di conseguenza nella vita di sua
madre. Dovrebbe essere lui ad avere bisogno di un punto di riferimento e invece
gli si chiede di diventarlo a sua volta per una donna che è stata segnata
dall'esperienza del carcere e che può contare solo su di lui per tornare a
vivere una vita quasi normale. Il sentimento filiale si scontra con la
consapevolezza delle scarse forze a disposizione. Manuel sente che il passaggio
da un'adolescenza protetta a un'età adulta che gli sta velocemente precipitando
addosso è un carico pesante che non sa se sarà in grado di reggere. Albertini
sa come farci 'sentire' sia le sue azioni che i suoi pensieri.
…Manuel sente il
pesante carico del passaggio dalla minore età in un contesto protetto ad un'età
adulta nel mondo fuori pieno di tentazioni e di pericoli, che gli piomba
addosso velocemente e che non sa se sarà in grado o meno di reggere perché
privato di aiuti, di punti fermi, e confrontato a tante incognite.
Manuel - che ci
ricorda il "Giovane Holden" del romanzo di J.D.
Salinger, che si ribella e affronta tutto senza però riuscire ad adattarsi -
viene così catapultato nella periferia balneare nei dintorni di Civitavecchia,
70 km a nord di Roma. Un luogo fatiscente, costituito da vecchi casolari
popolari e da personaggi segnati dal proprio contesto di vista, che ci
ricordano il pluripremiato “Dogman” di Matteo Garrone.
“Sei arrivato
te, è arrivato il sole, sì, è arrivato proprio il sole”, dice Veronica a
Manuel, che per accudirla rinuncerà ad innamorarsi di un’aspirante attrice o a
partire con un amico d’infanzia, confrontandosi pian piano con
l’angoscia e l’egoismo di lei…
…in lui germoglia anche il senso di
identità dell’età adulta in cui vorrebbe entrare. Il panico che lo
attanaglia è espressione di un annichilimento dettato dai due vettori opposti
che agiscono in lui. E la forza del film sta tutta nella scelta di Albertini di
fare di Manuel un personaggio che si ritrova via via privato delle certezze,
spogliato della libertà che credeva di poter acquisire. In bilico tra la verità
e l’obbligo di un gioco relazionale che nella casa famiglia era
strutturato sull’intreccio di affettività e regole, e che rischia di riprodursi
anche nella vita reale, in quella casa di famiglia in cui deve ora accogliere e
contenere la madre liberata. È il baratro che genera il panico in Manuel, è
questa la paura che vediamo alla fine nel suo truffautiano sguardo in macchina.
Il suo stordimento è lo stesso che scaturisce dall’ambiguità relazionale e
affettiva messa in atto da Francesca nella scena di Jules e Jim che
recita per lui, dove l’ammiccamento tra recitato e vissuto (incarnato molto
bene da Giulia Gorietti) è il corrispettivo dello slittamento affettivo e
relazionale che si instaura tra madre e figlio nelle scene nel carcere. Lo
spazio della realtà in cui si muove Manuel è contenuto tra l’opposta
strutturazione sociale degli istituti (pedagogico e carcerario) in cui si
muovono lui e sua madre, ma lo schianto su cui si ritrova il ragazzo è proprio
nella presa d’atto che quella realtà si struttura esattamente come l’ombra di
un’idea osservata sulla parete di una caverna…
…Ridotta
all’osso, la trama di Manuel, nuovo
film di Dario Albertini, è una semplice ancella al servizio di una narrazione,
che, più che una storia, vuole offrirci uno sguardo, uno scorcio, su una realtà
a molti lontana, ma quanto mai reale e su cui è giusto soffermarsi: è la realtà
delle cosiddette case famiglia, gli istituti che accolgono i minori privi di
sostegno da parte delle famiglie, e non è un caso che il regista abbia deciso
di realizzarlo subito dopo aver girato “La Repubblica dei Ragazzi”, il
documentario con cui narrava la nascita, di queste case famiglia, risalente
all’ormai lontano dopoguerra. Nonostante la storia non sia, dunque, troppo
articolata, il film scorre in maniera fluida, grazie anche alle capacità
interpretative degli attori che, a partire dal protagonista (Andrea Lattanzi),
fino ad arrivare ai personaggi secondari, non smettono mai di convincere.
Convincente anche da un punto di vista registico, la macchina da presa, come già
accennato, viene usata più come mezzo di indagine psicologica che di narrazione
vera e propria. E poi c’è la fotografia, che con i suoi giochi di luci e ombre
e quel tono che non si allontana mai troppo dal grigio, riporta alla freddezza
e alla solitudine vissuta da questi ragazzi, che senza aver mai ricevuto
supporto, se non quello dell’istituto, si ritrovano ad affrontare la realtà,
con quel tanto di indifferenza tipico di chi, forse, non si rende ancora del
tutto conto di come è fatto il mondo perché nessuno glielo ha mai mostrato.
Nonostante la fluidità del racconto, tuttavia, Manuel rimane un film adatto a chi ama il
cinema introspettivo, a chi, più che l’azione, cerca la rappresentazione. Chi
si rispecchia in questa tipologia di pubblico si ritroverà senz’altro
soddisfatto.
…Nella decisione del figlio di farsi carico degli
arresti domiciliari della madre c’è un senso di responsabilità
inedito, che però, nel film di Albertini, è possibile rintracciare nei gesti
disinteressati e altruistici di Manuel, spontanei ma già pienamente consapevoli.
Come spingere l’Ape ingolfato del barbone senza che nessuno gliel’avesse
chiesto, consegnare un dipinto giovanile al falegname-pittore, aprendogli il
cuore, ripulire l’alloggio della madre, sporco da anni, concordare con
l’avvocato l’iter burocratico da seguire per la scarcerazione della donna. Con
l’ultima, decisiva inquadratura a chiedere conferma, anche allo spettatore, di
un’ammirevole “prova d’adulto”. Vissuta, fin dall’inizio, sulla propria pelle.
Questo lo cerco, mi manca, l'avevo perso al cinema.
RispondiEliminaCon Andrea Lattanzi al TFF fuori concorso ho visto "La svolta", opera prima di un giovane regista. In questo periodo lo danno su Netflix, film certamente acerbo ma di cuore che ti consiglio.
Inoltre stasera al cinema ho visto un film che voglio consigliarti assolutamente perché condividere è una cosa che amo soprattutto a chi il cinema lo ama: "After love" di Aleem Khan. Film intenso e davvero pregevole.
Ciao Francesco.
sono d'accordo, After Love è un gran film
Eliminahttps://markx7.blogspot.com/2022/02/after-love-aleem-khan.html
Mi sembrava strano non l'avessi visto, ti ho lasciato un commento 😉
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