mercoledì 4 maggio 2022

Manuel - Dario Albertini

Manuel esce dalla casa-famiglia, è un bravo ragazzo che entrerà nel mondo senza essere mai stato un ragazzo libero e spensierato.

sarà il garante degli arresti domiciliari della madre, diventerà come il genitore della madre.

come fai a non stare dalla parte di Manuel (interpretato da un bravissimo Andrea Lattanzi)?

un opera prima eccezionale, da non perdere - Ismaele

 

 

 

 

Manuel quindi non esce da una 'prigione' ma da un luogo in cui ha ricevuto ma anche dato quando gli veniva richiesto. Ora è fuori, esposto alla tentazione della cocaina ma anche consapevole della necessità di rimettere ordine in un appartamento messo sottosopra anni prima dall'irruzione dei carabinieri e, di conseguenza nella vita di sua madre. Dovrebbe essere lui ad avere bisogno di un punto di riferimento e invece gli si chiede di diventarlo a sua volta per una donna che è stata segnata dall'esperienza del carcere e che può contare solo su di lui per tornare a vivere una vita quasi normale. Il sentimento filiale si scontra con la consapevolezza delle scarse forze a disposizione. Manuel sente che il passaggio da un'adolescenza protetta a un'età adulta che gli sta velocemente precipitando addosso è un carico pesante che non sa se sarà in grado di reggere. Albertini sa come farci 'sentire' sia le sue azioni che i suoi pensieri.

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…Manuel sente il pesante carico del passaggio dalla minore età in un contesto protetto ad un'età adulta nel mondo fuori pieno di tentazioni e di pericoli, che gli piomba addosso velocemente e che non sa se sarà in grado o meno di reggere perché privato di aiuti, di punti fermi, e confrontato a tante incognite.

Manuel - che ci ricorda il "Giovane Holden" del romanzo di J.D. Salinger, che si ribella e affronta tutto senza però riuscire ad adattarsi - viene così catapultato nella periferia balneare nei dintorni di Civitavecchia, 70 km a nord di Roma. Un luogo fatiscente, costituito da vecchi casolari popolari e da personaggi segnati dal proprio contesto di vista, che ci ricordano il pluripremiato “Dogman” di Matteo Garrone.

“Sei arrivato te, è arrivato il sole, sì, è arrivato proprio il sole”, dice Veronica a Manuel, che per accudirla rinuncerà ad innamorarsi di un’aspirante attrice o a partire con un amico d’infanzia, confrontandosi pian piano con l’angoscia e l’egoismo di lei…

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in lui germoglia anche il senso di identità dell’età adulta in cui vorrebbe entrare. Il panico che lo attanaglia è espressione di un annichilimento dettato dai due vettori opposti che agiscono in lui. E la forza del film sta tutta nella scelta di Albertini di fare di Manuel un personaggio che si ritrova via via privato delle certezze, spogliato della libertà che credeva di poter acquisire. In bilico tra la verità e l’obbligo di un gioco relazionale che nella casa famiglia era strutturato sull’intreccio di affettività e regole, e che rischia di riprodursi anche nella vita reale, in quella casa di famiglia in cui deve ora accogliere e contenere la madre liberata. È il baratro che genera il panico in Manuel, è questa la paura che vediamo alla fine nel suo truffautiano sguardo in macchina. Il suo stordimento è lo stesso che scaturisce dall’ambiguità relazionale e affettiva messa in atto da Francesca nella scena di Jules e Jim che recita per lui, dove l’ammiccamento tra recitato e vissuto (incarnato molto bene da Giulia Gorietti) è il corrispettivo dello slittamento affettivo e relazionale che si instaura tra madre e figlio nelle scene nel carcere. Lo spazio della realtà in cui si muove Manuel è contenuto tra l’opposta strutturazione sociale degli istituti (pedagogico e carcerario) in cui si muovono lui e sua madre, ma lo schianto su cui si ritrova il ragazzo è proprio nella presa d’atto che quella realtà si struttura esattamente come l’ombra di un’idea osservata sulla parete di una caverna…

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…Ridotta all’osso, la trama di Manuel, nuovo film di Dario Albertini, è una semplice ancella al servizio di una narrazione, che, più che una storia, vuole offrirci uno sguardo, uno scorcio, su una realtà a molti lontana, ma quanto mai reale e su cui è giusto soffermarsi: è la realtà delle cosiddette case famiglia, gli istituti che accolgono i minori privi di sostegno da parte delle famiglie, e non è un caso che il regista abbia deciso di realizzarlo subito dopo aver girato “La Repubblica dei Ragazzi”, il documentario con cui narrava la nascita, di queste case famiglia, risalente all’ormai lontano dopoguerra. Nonostante la storia non sia, dunque, troppo articolata, il film scorre in maniera fluida, grazie anche alle capacità interpretative degli attori che, a partire dal protagonista (Andrea Lattanzi), fino ad arrivare ai personaggi secondari, non smettono mai di convincere. Convincente anche da un punto di vista registico, la macchina da presa, come già accennato, viene usata più come mezzo di indagine psicologica che di narrazione vera e propria. E poi c’è la fotografia, che con i suoi giochi di luci e ombre e quel tono che non si allontana mai troppo dal grigio, riporta alla freddezza e alla solitudine vissuta da questi ragazzi, che senza aver mai ricevuto supporto, se non quello dell’istituto, si ritrovano ad affrontare la realtà, con quel tanto di indifferenza tipico di chi, forse, non si rende ancora del tutto conto di come è fatto il mondo perché nessuno glielo ha mai mostrato.
Nonostante la fluidità del racconto, tuttavia, Manuel rimane un film adatto a chi ama il cinema introspettivo, a chi, più che l’azione, cerca la rappresentazione. Chi si rispecchia in questa tipologia di pubblico si ritroverà senz’altro soddisfatto.

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Nella decisione del figlio di farsi carico degli arresti domiciliari della madre c’è un senso di responsabilità inedito, che però, nel film di Albertini, è possibile rintracciare nei gesti disinteressati e altruistici di Manuel, spontanei ma già pienamente consapevoli. Come spingere l’Ape ingolfato del barbone senza che nessuno gliel’avesse chiesto, consegnare un dipinto giovanile al falegname-pittore, aprendogli il cuore, ripulire l’alloggio della madre, sporco da anni, concordare con l’avvocato l’iter burocratico da seguire per la scarcerazione della donna. Con l’ultima, decisiva inquadratura a chiedere conferma, anche allo spettatore, di un’ammirevole “prova d’adulto”. Vissuta, fin dall’inizio, sulla propria pelle.

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3 commenti:

  1. Questo lo cerco, mi manca, l'avevo perso al cinema.
    Con Andrea Lattanzi al TFF fuori concorso ho visto "La svolta", opera prima di un giovane regista. In questo periodo lo danno su Netflix, film certamente acerbo ma di cuore che ti consiglio.

    Inoltre stasera al cinema ho visto un film che voglio consigliarti assolutamente perché condividere è una cosa che amo soprattutto a chi il cinema lo ama: "After love" di Aleem Khan. Film intenso e davvero pregevole.
    Ciao Francesco.

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    1. sono d'accordo, After Love è un gran film
      https://markx7.blogspot.com/2022/02/after-love-aleem-khan.html

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    2. Mi sembrava strano non l'avessi visto, ti ho lasciato un commento 😉

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