lunedì 2 maggio 2022

Tra due mondi (Ouistreham) - Emmanuel Carrère

quando Marianne si mette i guanti per pulire i cessi entra nel magico mondo dei lavori nascosti e sporchi che qualcuno deve fare, a condizioni infami e da fame.

tutte e tutti sono solidali, di più Christéle, che l'adotta e offre tutta la solidarietà e amicizia che può dare, e per questo il doppio ruolo di Marianne alla fine è indigeribile, la sincerità è tutto.

dopo Full time e Un altro mondo, Tra due mondi è il terzo film francese che passa nei cinema in un mese con lo stesso tema, il mondo del lavoro oggi, e c'è da dire che in Francia lo sanno fare benissimo.

i lavoratori sono l'ultimo e debole anello di un sistema che apparentemente produce beni e servizi, in realtà produce soldi e soldi, a qualunque costo, anzi, al minimo costo.

Marianne scriverà il suo libro, ma dopo smetterà di pulire cessi, tutte le altre attrici continueranno a pulirli, sempre più di corsa.

buona (puliziesca) visione - Ismaele

 

 

 

 

Tra due mondi sceglie un approccio più classico e adotta uno sguardo più ampio, prediligendo la coralità al caso singolare. Sono film con uno scopo e, probabilmente, un pubblico diverso, ma che hanno in comune la volontà di rappresentare la società nelle sue storture e nelle sue ingiustizie. Quello di Carrère lo fa aderendo a un cinema che non ha paura della didascalia, della sovra-esplicitazione del messaggio, non senza una profondità di intenti e il coraggio di non garantire illusorie speranze. A colpire, infatti, non è tanto la messa in scena di un mondo sempre più desolante quanto la capacità di non seguire scorciatoie emotive rassicuranti per chi guarda. In questo modo, una confezione molto regolare si trasforma in un qualcosa di più profondo, che sedimenta nella memoria. Il cinema francese si conferma a suo agio nel toccare le corde giuste, anche quando non svetta per originalità o capacità di adeguarsi a un punto di vista altro. Perché dei due mondi, in definitiva, sembra che sia uno a predominare, quello di chi guarda e non di chi è guardato.

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raccontare da intellettuale benestante una classe sociale svantaggiata, operazione che era anche al centro del racconto di Aubenas. Ma mentre l'approccio della giornalista era analitico quello di Carrère è fortemente empatico: anche se siamo lontani dalla disinvoltura cinematografica su questi temi di autori come i fratelli DardenneStéphane Brizé o Laurent Cantet perché si sente che Carrère, che come regista ha alle spalle il documentario Retour à Kotelnitch e il film di finzione L'amore sospetto tratto dal suo romanzo "I baffi", ha meno esperienza filmica. Laddove in letteratura Carrère si muove con agilità pirotecnica, dietro la cinepresa è ancora un paperotto che affronta l'acqua con coraggio ma anche qualche espediente letterario di troppo.

Tuttavia il suo coraggio va premiato e trova dalla sua parte la protagonista Juliette Binoche, fondamentale fin dai primi approcci con Aubenas nel portare il progetto sul grande schermo, e un cast di non attori fra cui spicca la formidabile interprete del personaggio di Christelle. È soprattutto a loro che si deve la credibilità di questa storia che racconta non solo le difficoltà delle classi sottoprivilegiate ma anche la solidarietà che si crea al loro interno, fra persone che non si misurano dalla dimensione del portafoglio ma dalla capacità di venirsi reciprocamente in soccorso. Se in questo mondo la regola non scritta è che ognuno rimanga al proprio posto, all'interno dei posti meno in vista si può trovare più spessore umano che fra chi rivendica la propria posizione superiore.

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 Il cinema francese moderno indaga costantemente i concetti di ingiustizia e disuguaglianza nel proprio tessuto sociale, molte volte mettendo in discussione gli approcci stessi utilizzati dagli autori. In Tra due mondi, Emmanuel Carrère pone le basi per una profonda riflessione morale sulla posizione privilegiata dell’intellettuale nella società contemporanea e l’incomunicabilità tra l’élite culturale e il sottoproletariato. I due mondi di cui parla il titolo sono troppo distanti per potersi incontrare e le disuguaglianze troppo marcate per potersi confrontare onestamente. Lo capisce Marianne e lo capisce Christéle, non può bastare una “vacanza” nella società marginale per capire veramente ciò che significa vivere quell’esistenza. Carrère compie in questo modo un’apprezzabile opera di autocritica e di messa in discussione della propria “classe” di appartenenza, quella dell’attivismo fine a sé stesso e delle sterili discussioni nelle librerie del centro. Non che sia inutile un’inchiesta come quella di Aubenas, tutt’altro, ma può essere sufficiente un periodo di immedesimazione per comprendere una vita intera? Il finale amaro di Tra due mondi non lascia scampo, ognuno dovrà tornare al proprio posto, chi sul traghetto e chi nel comodo appartamento in centro. Carrère affronta la complessità morale del film con l’abilità del grande autore, utilizzando il mezzo cinematografico con semplicità ma consapevolezza.

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 en toda la película se aprecia cómo el director le saca partido al espacio y al tiempo del invierno. Hasta la playa que podía ser un lugar de liberación (baño de Marianne, castillos en la arena de los hijos de Chrystèle) deviene un espacio hostil e inhóspito, donde la fantasía de esos castillos dura bien poco. La ciudad, las oficinas y servicios públicos que han de limpiar, el propio barco y todo el entorno portuario muestran colores apagados y se refleja en ellos un frío que atenaza a los personajes.

También se evidencia en En un muelle de Normandía la paradoja del periodismo que, queriendo ser fiel transmisor de la realidad, ha de ocultar su condición para evitar el cambio en la realidad (principio de incertidumbre); pero ello es apreciado como una traición por las trabajadoras, que ven en Marianne una impostora que les ha engañado. 

En todo caso, En un muelle de Normandía es una cinta valiosa y honrada, con personajes sólidos e interpretaciones muy verosímiles que pasa a formar parte del cine social europeo de denuncia, en línea con Ken LoachRobert GuédiguianFernando León de Aranoa o los hermanos Dardenne.

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Binoche incarne à merveille le double d’Aubenas, c’est-à-dire cette professionnelle qui joue à vivre de manière temporaire ce que les autres vivent sans avoir la chance d’en sortir. Nous ne pouvons que ressentir le trouble de son personnage, obligé de tricher pour préserver son anonymat auprès de celles dont elle devient l'amie (avec une sincérité qui ne fait aucun doute), mais également confrontée à la culpabilité liée à l’aspect (seulement) passager de ses galères quotidiennes. Faut-il pour autant s’apitoyer plus sur son sort que sur celui des gens qu’elle côtoie? Voilà une question suscitée par le film. Il y en a beaucoup d'autres : Jusqu’où peut-on mentir à ceux que l’on veut aider? Le fait-on vraiment pour les aider ou dans son propre intérêt (écrire un livre à succès)? Mais au-delà de ces questions, lorsqu’on voit le talent des autres acteurs du film (tous non professionnels), le film interroge aussi sur le travail d’acteur et sur la moralité de l’appropriation de la souffrance de l’autre : lorsque l’on souhaite restituer une expérience de vie très spécifique dans un film à caractère naturaliste, pourquoi ne pas laisser la place à des non-professionnels?

Ouistreham ne cherche jamais à nous apporter de réponses claires aux questions qu'il pose, comme s’il restait en permanence conscient de la complexité du monde, des situations et des personnages qu’il décrit.

Le résultat est une œuvre remarquable, qui se dévore comme un divertissement bien huilé et qui nous hante ensuite en laissant une multitudes de questions auxquelles il nous est également bien difficile de répondre simplement!

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 Habrá que decir pronto que En un muelle de Normandía no es una película cinematográficamente exquisita: Carrère es escritor, fundamentalmente, y no se le pueden pedir peras al olmo. Ello no quita para que el film sea, ciertamente, una obra de interés. Y lo es por varios motivos: el primero y más evidente quizá sea el de la denuncia de las precarias condiciones de empleo de las personas (fundamentalmente mujeres, aunque también hay hombres) que realizan las tareas de limpieza, ya sea en Normandía o en Pekín; en especial se detiene en las que realizan esas tan ingratas como imprescindibles tareas en el ferry que cubre diariamente el trayecto entre Ouistreham y Portsmouth, en Inglaterra, con intensísimas jornadas en las que han de limpiar, preparar, apañar, dejar de dulce cientos de camarotes a un ritmo frenético y por un salario irrisorio, siempre bajo el metafórico látigo del (en este caso la) responsable del trabajo. Pero hay una segunda capa incluso más interesante, siendo la primera tan lacerante: en una segunda lectura, la película es realmente una obra sobre la mentira, y sobre cómo esa mentira puede acoger, o no, una parte de verdad. Así, la periodista y escritora sentirá crecer, a lo largo de los meses en los que se hace pasar por quien no es, un verdadero afecto por aquellas personas a las que sin embargo está engañando de mala manera haciéndoles creer que es quien no es. ¿Es compatible la amistad sincera cuando la relación nace de una mentira, de una falta absoluta de sinceridad? En ese contexto, la amistad por parte de la mentirosa, ¿puede tener, sin embargo, algo de auténtico?...

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