Philippe Lemesle è un sicario del capitalismo, la forma di economia che neanche i diavoli potevano immaginare.
gli chiedono di fare il killer di lavoratori e chi glielo chiedo, un capo che ha ancora una faccia, si giustifica dicendo che anche lui deve obbedire, i mercati, i consigli di amministrazione, gli azionisti, i fondi.
la vita di Philippe è una merda, il divorzio è vicino, il figlio è fuori di testa, lui vive per il lavoro e nella menzogna.
quando gli chiedono cose inaccetabili fa la cosa giusta, diserta, il sistema (di merda) andrà avanti, i disertori sono sempre soli, nessun partito li accoglie, ma si possono guardare allo specchio senza sputarsi in faccia.
Sandrine Kiberlain e Vincent Lindon sono bravissimi, se fosse un film muto non importerebbe, le loro facce dicono tutto.
un altro mondo è possibile, sempre meno in forma collettiva.
non perdetevelo, il film è addirittura in una ventina di sale.
Philippe è un supereroe, come Julie e come Diana, di quelli veri, non finti come quelli dei fumetti e dei cinecomics.
buona (imperdibile) visione - Ismaele
…Lemesle, interpretato dal solito, magnifico Lindon, è un dirigente
quadro che, d’improvviso, vede enormemente ridotti margini di manovra e libertà
d’azione che credeva infiniti. La dissoluzione familiare, con un divorzio e un
figlio che, schiacciato dalla pressione, si chiude in un mondo mentale fatto
d’impossibile controllo su ogni particolare, accompagna la dismissione, in
azienda, di un consistente numero di dipendenti, pena la cacciata ignominiosa
dal listino di Borsa. Il piano di ristrutturazione da lui proposto è sensato
(rinunciare ai bonus annuali per tentare di salvare il salvabile senza toccare
i posti di lavoro) ma completamente rigettato dal “sistema”, fatto di
tagliatori seriali di teste e un CEO americano che comunica decisioni via Zoom,
e dagli stessi colleghi, che fanno quadrato sulla difesa del privilegio,
percepito come diritto inalienabile. Lemesle/Lindon mentirà spudoratamente ai
rappresentanti del consiglio di fabbrica, e da questo fondo tenterà pian piano
di risalire, per mantenere, se non il lavoro, almeno un barlume di coscienza e
umanità.
Il cineasta francese narra questa complessa materia con il
suo stile sobrio e senza fronzoli, tutto teso al raggiungimento del risultato,
probabile frutto di un lungo lavoro di documentazione sul campo: nessuno come
lui (forse solo il gigante Frederick Wiseman, ma lì parliamo di riprese “dal
vero”) è capace d’inquadrare dinamicamente una riunione aziendale, alternando
sapientemente primi piani e macchina a mano, restituendoci una sensazione di
realismo perfettamente accompagnata dalla recitazione fortemente naturalistica
degli attori in campo. Non un segmento o un’inquadratura sovrabbondante, in
poco meno di un’ora e mezza si arriva al punto senza tralasciare nulla, e in
una Mostra con film dalle durate spesso (inutilmente) elefantiache questo non
può che rappresentare un ulteriore punto a favore…
…Non ha l'aria di un dibattito Un autre monde ma di una guerra.
Piantato in una terra di nessuno senza più parole e senso dell'altro, il
personaggio di Vincent Lindon incarna una crisi intima e mette in evidenza le
ferite che provoca la logica del capitalismo, le cicatrici che lascia, anche
sull'avversario.
Sempre in scena, sempre incollato alla scrivania, il
protagonista non riesce a uscire dallo spazio confinato che ha creato il
conflitto sociale. Sull'altare dell'azienda ha sacrificato tutto quello che gli
era più caro e adesso non ha modo di fuggire lo scacco, deve incassare lo choc
e attenersi ai suoi obiettivi. Sul corpo di Lindon, che ama abitare le storie
rivelatrici di una realtà sociale, pesa un'altra volta la legge del mercato. Chiuso dentro
l'ufficio e il sistema, il protagonista non riesce più a ritagliarsi margini di
libertà. L'intimo è divorato tutto intero dal mercato.
Tuttavia, se le opere precedenti mostravano che non viviamo affatto in un mondo
ideale, il nuovo film di Brizé dimostra che un altro mondo è possibile.
Philippe Lemesle, integrato nel sistema, riafferma dentro al sistema la sua
singolarità. Certo l'autore mette in difficoltà il suo protagonista, che parla
poco e ascolta tanto. Possiamo sentire il problema di coscienza che lo rode e
che il ruolo di leader gli impone. Perché il capitalismo spreme anche la
dirigenza come limone…
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