un film che resiste e che inquieta ancora.
una storia orribile, un qualche diavolo è all'opera, tutti sanno, chi non ci sta muore.
servono sempre nuovi cadaveri e alla fine si conoscerà l'inattesa verità.
bravi attori nelle mani di un regista che forse allora non sapeva di aver girato un gran bel film, un piccolo e imperfetto capolavoro.
parte lento, poi è un crescendo inesorabile.
guardatelo e soffritene tutti - Ismaele
QUI
il film completo
Capolavoro di Avati e, con buona pace degli estimatori di
Argento, miglior horror italiano di sempre. Geniale fin dalla scelta
dell'ambientazione placida e solare, assolutamente non convenzionale,
angoscioso come pochi per la capacità di creare, con una economia di mezzi
encomiabile, un senso di oppressione crescente attorno al protagonista, fino al
finale, scioccante e davvero inaspettato. Interpreti tutti adeguati (ottimo
Capolicchio), colonna sonora efficace e fotografia funzionale contribuiscono
alla riuscita di un film tuttora disturbante.
Autentico capolavoro di Avati, forse il suo
miglior film insieme a "regalo di natale".
siamo sul finire degli anni cinquanta nella
provincia di Ferrara, Stefano "pittore fallito" e restauratore sta
riportando alla luce un affresco del martirio di san Sebastiano nella chiesa di
un piccolo paesino nel ferrarese. cominceranno ad accadere strani avvenimenti,
telefonate anonime, l'amico di stefano che cade dalla finestra misteriosamente,
i paesani che sembrano sapere qualcosa ma che taciono
le voci che corrono sul pittore dell'affresco
Buono Legnani, si verrà poi a scoprire delle misteriose sorelle del pittore che
sembrano non essere scomparse del tutto.
il film pur cavalcando la cresta dell'onda di un
altro capolavoro ovvero profondo rosso di Dario Argento, (notare le diverse
similitudini le vecchie assassine,il dipinto che nasconde un fatto avvenuto
anni prima, la villa, il cadavere nascosto,il registratore) il film riesce a
vivere di natura propria , nel caso di argento il film è più' un
thriller/horror mentre nel caso di Avati è un gotico horror. qui non esiste
l'assassino alla Mario Bava con il capotto nero e il borsalino sulla testa. nel
film di Avati il tutto è molto piu' rustico e antico dal punto di vista degli
omicidi e delle due donne assassine . vengono affrontati temi come
superstizione contadina, presunta stregoneria delle sorelle che avrebbero
imparato in Brasile. i personaggi secondari hanno tutti dei lati oscuri per
dare la confusione su chi sia il presunto omicida. la regia si muove per lo
più' su brevi carrellate e campi lunghi che rendono alcune inquadrature dei
veri e propri quadri, la fotografia alterna una notte scura con la calda luce
del sole cocente e fastidioso . questo mi ricorda molto "non si sevizia un
paperino" di Lucio Fulci dove anche li gli omicidi avvenivano sotto la
luce del sole, dando quindi una aria molto realistica e in contrasto con
l'atmosfera solare del luogo. tra le parti migliori del film ci metto il finale
aperto, i flashback dell' infanzia di Coppola, la soffitta della villa , il
casolare con le finestre ridenti, la canzone della vecchia. che dire capolavoro
assoluto se ci riesco faccio la recensione degli altri horror di Avati.
Sfiora la perfezione: musiche, ambientazione, attori, intreccio.
È un puzzle con tutti i tasselli al posto giusto. Già l'inizio è stupendo (la
voce roca, le immagini sgranate, le urla, il coltello lucente). Quando il
protagonista giunge col battello, chi lo aspetta sembra uscito da un quadro
(uno alto, uno basso e dietro un'auto rossa). Il posto e alcuni individui sono
già piuttosto inquietanti senza bisogno di spargere sangue. Personaggi a dir
poco felliniani in trattoria. Ovviamente, con un tale quadretto il povero
restauratore avrà parecchi problemi. Dialoghi da gustare e bel finale.
…ancora oggi, a distanza di più di quarant’anni dalla
sua realizzazione, il film rimane a suo modo insuperato.
La casa dalle finestre che ridono resiste al passare del tempo grazie alla sua
onestà, all’assenza di espedienti narrativi, allo “scavo” psicologico che porta
ognuno dritto al centro delle proprie paure negandogli ogni certezza sublimata
negli stereotipi, nei luoghi comuni: non esiste alcuna sicurezza, non si è mai
completamente in salvo. Nulla è come sembra.
Inappuntabile, da ultimo, la scelta di un finale
aperto, sospeso, che sembra voler invitare lo spettatore a spingersi al di là
delle proprie inquietudini, laddove la paura stessa diventa motore
dell’immaginazione e genera – per dirla con lo stesso Avati –
“un’educazione al fantastico, all’immaginare che la realtà strabordi
continuamente nell’irreale”.
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