Debole, triste,
misera. La notte degli Oscar peggiore di sempre – Alberto Crespi
Abbiamo trascorso anni gloriosi, all’«Unità»,
commentando le varie edizioni dell’Oscar.
Una volta il commento culturale-politico spettava al nostro glorioso critico,
Ugo Casiraghi. Sì, culturale e politico. Perché gli Oscar hanno
premiato grandi film e hanno
rispecchiato tendenze, mode e momenti sociali importanti: basti pensare alle
vittorie di “Platoon”, di “Balla coi lupi”, di “Schindler’s
List”. Insomma, per anni è stato interessante commentare gli Oscar. Da
un po’ di tempo, lo è molto meno. E quest’anno si è toccato il fondo.
Andiamo per punti
·
Punto 1. È difficile decidere chi, fra Chris Rock e Will Smith, sia stato
più buzzurro, volgare e inopportuno. La cosa certa è che mai la cerimonia aveva
raggiunto simili livelli di squallore.
·
Punto 2. Il film che ha vinto, remake di un discreto film
francese, è fra i vincitori più deboli e insignificanti di sempre. Ma si
aggiunge degnamente a una lista di vincitori modestissimi: dal 2011 in poi
hanno vinto “Il discorso del re” (2011), “The artist” (2012),
“Argo” (2013), “12 anni schiavo” (2014), “Birdman” (2015),
“Il caso Spotlight” (2016), “Moonlight” (2017), “La forma
dell’acqua” (2018), “Green Book” (2019), “Parasite” (2020) e
“Nomadland” (2021). A parte “Argo”, divertente, e il per altro
sopravvalutatissimo “Parasite”, una parata di mediocrità sconcertante.
L’ultimo film notevole ad aver vinto è “The Hurt Locker”
nel 2010. E non sono mancati, in questo decennio, film assai più meritevoli.
·
Punto 3. Siamo tutti contenti per Jane Campion, terza donna (dopo Kathryn
Bigelow e Chloe Zhao) a vincere fra i registi, ma speriamo si possa dire che “Il
potere del cane” non è il suo film migliore.
·
Punto 4. Siamo contenti (forse non tutti) per l’Oscar ad Ariana
DeBose, straordinaria Anita in “West Side Story”, ma il vedere
sottolineato dovunque che ha vinto perché portoricana e gay militante fa una
tristezza sconfinata.
Drive my car, il film migliore
Potremmo andare avanti. Lasciateci invece dire che
il film più bello, fra i
candidati, era il giapponese “Drive My Car”.
Dispiace per Sorrentino, e dispiace anche per il cartoon danese “Flee” e
per il delizioso norvegese “La persona peggiore del mondo” (quest’anno
la cinquina dei film stranieri era di altissimo livello).
Ma “Drive My Car” è
uno dei grandi film del 2022, nonché di questo inizio di millennio. Una
poderosa riflessione sul rapporto fra arte e vita, grazie a una messinscena
teatrale di “Zio Vanja” che si insinua in maniera inarrestabile nella
dolorosa vita dei protagonisti. Parte lento, “Drive My Car”,
ma nell’ultima ora (su tre) vola veramente nello spazio e fa venir voglia di
rileggere Cechov, uno degli autori che più ci potrebbero aiutare per superare
indenni – almeno psicologicamente – i tempi perigliosi che stiamo vivendo.
E non è un caso che il film si
svolga in buona parte a Hiroshima, la città dove il Giappone – ma, diremmo,
l’umanità tutta – deve rielaborare il lutto di un’inenarrabile violenza.
“Drive my car”, un grande film che doveva vincere l’Oscar – Michele Emmer
Non sono stato spesso d’accordo con
Crespi sul cinema. Ma questa volta devo dire che condivido pienamente quanto ha
scritto su strisciarossa (leggi qui). Sono d’accordissimo sulla
valutazione che “il film CODA che ha vinto, remake di un
discreto film francese, (migliore ovviamente, aggiungerei io) è fra i vincitori
più deboli e insignificanti di sempre.”
CODA, una sceneggiatura sublime
Aggiungerei che l’Oscar per la miglior
sceneggiatura non originale (sempre a CODA) è sublime. Che non
sia originale è ovvio, copia (si dice in modo più raffinato che è il remake di
un altro film, a parte il mestiere dei protagonisti che sono pescatori). E’
originale per il linguaggio “diverso” (dal film francese) che usa un altro
linguaggio dei segni? Con una grande eccezione: il premio Oscar a Troy Kotsur
come attore non protagonista è veramente meritato. Perché è un grande attore
senza aggettivi e spero proprio che gli sia stato assegnato “nonostante” il
fatto che fosse sordomuto. Direi che il film decolla solo quanto c’è lui
presente. E purtroppo non è sempre presente.
Altri candidati erano il film Il
potere del cane della Campion, prima donna candidata (si spera che
accada così spesso da non doverlo più ricordare che si tratta di una donna, per
qualsiasi categoria di premio Oscar) per la seconda volta alla regia e poi
Kenneth Branagh (Belfast), Ryusuke Hamaguchi (Drive my car),
Spielberg (West side story) e Paul Thomas Anderson (Licorice pizza).
Voglio anche sottoscrivere le
affermazioni di Crespi a proposito di CODA: “Si aggiunge
degnamente a una lista di vincitori modestissimi: dal 2011 in poi hanno
vinto Il discorso del re (2011), The artist (2012), Argo (2013), 12
anni schiavo (2014), Birdman (2015), Il
caso Spotlight (2016), Moonlight (2017), La
forma dell’acqua (2018), Green Book (2019), Parasite (2020)
e Nomadland (2021).”
E’ vero, c’è stata molta enfasi su Birdman e Parasite ma
salverei The Artist, oltre a concordare con il giudizio
su Argo.
Drive my car, un grande film fantastico
La cosa surreale è che tra i candidati
c’era il film Drive my Car di Ryusuke Hamaguchi. Forse
bisognerebbe evidenziare il fatto che il film che ha vinto era in diretta
competizione con questo che ha vinto l’Oscar come miglior film straniero ma non
come film senza aggettivi. Scrive Crespi: “Lasciateci invece dire che il film
più bello, fra i candidati, (parla dei candidati per film stranieri) era il
giapponese Drive My Car. Dispiace per Sorrentino e per il
delizioso norvegese La persona peggiore del mondo (quest’anno
la cinquina dei film stranieri era di altissimo livello).”
Sono totalmente d’accordo, anche sul film norvegese. Un film che
parte alla lontana, va avanti poco a poco, e ci fa arrivare alla consapevolezza
tramite gli occhi della straordinaria protagonista. Ci conduce alla
consapevolezza della tragicità della vita, che va sempre vissuta ed affrontata.
Drive my car è un film fantastico, costruito su un testo teatrale
che dovrebbe essere parte della educazione di qualsiasi persona in ogni parte
del mondo, in tutte le lingue conosciute. Con un attore straordinario, una
messa a fuoco, una costruzione, un avanzare a piccoli passi su quella macchina
rossa, una Saab svedese che non si produce più da anni. Una macchina non
giapponese che nel film diventa il luogo dell’incontro, del dialogo, della vita.
E certamente non a caso ambientato ad Hiroshima e chiunque abbia visitato il
memoriale e visto quello scheletro di edificio rimasto in piedi dove cadde la
bomba, resta raggelato, toccato, cambiato per sempre. Non volendo riprendere le
cose agghiaccianti che si sono udite di questi tempi. E Hiroshima è nel film
solo una scritta su un muro. Non ha bisogno di effetti il film, sono le voci e
i volti, le parole, i commenti. E la macchina rossa, non a caso rossa, la vita.
Ha ragione Crespi a scrivere che Drive My
Car è uno dei grandi film del 2022, nonché di questo inizio di
millennio. Una poderosa riflessione sul rapporto fra arte e vita, grazie a una
messinscena teatrale di “Zio Vanja” che si insinua in maniera inarrestabile
nella dolorosa vita dei protagonisti. Parte lento, Drive My Car,
ma nell’ultima ora (su tre) vola veramente nello spazio e fa venir voglia di
rileggere Cechov, uno degli autori che più ci potrebbero aiutare per superare
indenni – almeno psicologicamente – i tempi perigliosi che stiamo vivendo.”
E’ anche un film profondamente
giapponese. Che
ci fa cogliere una vicinanza, grazie a Cechov, con una cultura molte volte
inafferrabile, non comprensibile fino in fondo. Un film che però è difficile
immaginare non girato in giapponese. Bisogna ascoltarlo in lingua originale
(con i sottotitoli, almeno per me), sentire i suoni, i silenzi, le parole
sussurrate, quelle dette, quelle lasciate in sospeso, nel teatro, nella vita,
nella macchina rossa, la vita. Quest’anno la cinquina dei film stranieri era
effettivamente di altissimo livello.
Viene il sospetto che assegnando al film giapponese
l’Oscar per il miglior film straniero i giurati abbiano tolto di mezzo un
concorrente autorevole anche per il premio del miglior film tout court.
Peraltro bisogna ricordare che al non paragonabile Parasite nel
2020 erano stati assegnati sia il premio Oscar come miglior film che come
miglior film straniero. Se lo avessero preso in considerazione come miglior
film avrebbe dovuto vincere.
Come film d’animazione avevo puntato su Luca, con i suoi rimandi
al cinema, alla Vespa nel cinema. Certo, sono forse anche stato influenzato dal
fatto che nel film che rese divina la Vespa, Vacanze Romane tutte
le scene in Vespa per Roma sono state girate da mio padre Luciano Emmer.
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