il film si regge sopratutto sulle spalle di Sara Silvestro (Jenny) e Edoardo Pesce (Alvaro), figlia e padre che si ritrovano dopo anni di freddezza, sopratutto da parte della figlia nuotatrice, che tiene a distanza il padre, ancora non sa tutta la storia familiare.
quando il babbo si ammala e diventa sempre più debole, e con un'autonomia fisica sempre più limitata, Jenny farà la sua parte, come fa una brava figlia.
un altro piccolo film italiano (dopo Nero) che riesce a coinvolgere ed emozionare, non facile da vedere, è solo in una trentina di sale.
buona (filiale) visione - Ismaele
…Ancora una volta, il lavoro sullo spazio e sul
tempo è determinante, in quanto sembra che Alvaro e Jenny si muovano tra un
alternarsi senza soluzione di continuità di albe e tramonti, quasi a voler
contestualizzare il loro trovarsi a metà strada tra la possibilità di un inizio
e l’ineluttabilità di una fine. Non c’è nessuna sensazione di preordinato, di
fatale o fatalistico, ogni conseguenza è riportata ad una scelta. Alvaro è un
gaudente insofferente a qualsiasi indicazione di uno stile di vita sano, Jenny
ha una malcelata testardaggine che spesso la rende respingente e solitaria,
Margherita, la madre, si mostra a tratti sfuggente e manipolatrice
(probabilmente per non affrontare in maniera diretta le responsabilità di un
segreto/bugia troppo pesante). Questo intreccio di vissuti e comportamenti è
risolto su un piano non di catartica elaborazione attraverso la parola e il
dialogo, ma riguarda l’espressione dei sentimenti per mezzo della
rappresentazione di un paesaggio sul confine tra l’indefinito orizzonte del
mare e l’astrattezza da non luoghi di alcuni paesaggi urbani, in particolare le
stazioni di servizio e i ballatoi dei palazzi nei sobborghi delle città.
Come i personaggi,
anche le ambientazioni non sono strettamente e riconoscibilmente connotate a
livello geografico, ma diventano la trasfigurazione delle prigioni in cui
possono trasformarsi alcuni rapporti oppure delle inattese via di fuga e di
libertà che possono aprire. Rispetto alla lettura di questo potenziale, la resa
effettiva non è sempre all’ altezza e il rischio di un respiro un po’ asfittico
del racconto e dello sguardo si manifesta lasciando in alcuni punti l’impressione
di un giro vuoto.
Prevale però
l’affetto con cui Chiantini si rivolge alle tenui
figure di questa umanità in balia delle maree, alle tentano di opporre una
forma di resistenza dei sentimenti. E la schiettezza di un cinema italiano che
alla ricerca dell’effetto preferisce il pudore della sottrazione.
…Il rapporto frastagliato dei due protagonisti non sfugge mai
alla macchina da presa che li pedina costantemente. Anche grazie ad un
montaggio serrato, lo spettatore può entrare in simbiosi con i personaggi.
L’occhio attento del regista cattura attentamente gli sguardi dei
protagonisti senza emettere giudizi. Grazie a questa prospettiva sempre
distante il film non inciampa mai in risvolti narrativi fastidiosamente
retorici…
…Come gocce d'acqua è un film
volutamente piccolo e intimo che mette in scena una vita di provincia - Roma
viene evocata come metropoli in cui realizzarsi sportivamente ma non compare
mai -, ripresa nei suoi spazi anonimi e impersonali (il ristretto ambiente
domestico, la piscina da competizione e quella per la riabilitazione, il
discount dove lavora la madre, lo spicchio di spiaggia poco frequentato).
Consapevolmente a metà strada tra il lato drammatico della convivenza con la
sopravvenuta disabilità di Alvaro e la vestale espiazione di Jenny che diventa
la badante del genitore, Chiantini non stacca mai la sua MdP dai suoi
personaggi. E anche se in alcuni passaggi le musiche di Piernicola Di Muro
smentiscono con la loro grave retoricità l’andamento altrimenti discreto della
scrittura e della regia, il film non giudica mai i suoi protagonisti concedendo
loro di riaggiustare una rotta morale ubertosa e umbratile. Così il colpo di
scena sulla paternità di Alvaro che in altre mani sarebbe sicuramente risultato
un espediente manualistico qui arriva invece con delicatezza ad aggiungere
complicazione nell’anima semplice e buona di Jenny. Come gocce d’acqua è
un lungometraggio che indaga allora la forza di un legame familiare che proprio
nel momento di maggior difficoltà esce in superficie con insospettato vigore,
come fa la protagonista ad ogni bracciata sia quando gareggia che quando si
tuffa in piscina per schiarirsi i pensieri. Fiero di essere un prodotto medio
ma profondamente sincero, l’opera di Chiantini merita sicuramente la visione
perché permette allo spettatore medio di tornare ad immedesimarsi in queste
esistenze fragili eppure, nonostante le avversità, ancora tenacemente buone. E
il finale aperto, con quella passeggiata chiaroscurale dopo il tentativo da
parte di Alvaro di lasciarsi inghiottire dalle onde rammenta che in realtà quel
movimento delle acque, anche mitologicamente, ha più spesso portato la vita che
tolta.