Nel mezzo delle discussioni confuse e infuocate che ormai accompagnano ogni nuova grande uscita nelle sale, sarebbe utile riprendere l’eredità vitale di uno dei movimenti cinematografici più rivoluzionari del Novecento, quello nato in Argentina negli anni Sessanta
Barbie è una
decostruzione radicale non solo del patriarcato, ma anche delle stesse
convenzioni del cinema. Oppure è una pubblicità della durata di un film
addolcita da luoghi comuni pseudofemministi. Oppenheimer è
un’accusa feroce al genio tormentato la cui ambizione immorale non ha portato
ad altro se non la distruzione assoluta. Oppure è una scintillante
glorificazione dell’uomo dietro a una delle più grandi atrocità della storia.
La lotta politica sui temi degli ultimi blockbuster è scoppiata settimane
prima della loro uscita. Proprio come le particelle quantistiche inosservate di
Oppenheimer, i film esistono nell’era di Twitter in stati antitetici e
simultanei: al contempo rivoluzionari e reazionari, woke e
problematici. È molto semplice proiettare su qualsiasi film un’immagine
esagerata della propria posizione (o di quella dei propri nemici).
Criticare il messaggio politico trasmesso dai mass media è certamente
un’occupazione valida. Ma nel vasto oceano delle discussioni circolari e
sterili della guerra culturale, è facile perdere di vista il porto. Cosa
dovrebbe cercare sulla linea dell’orizzonte il cinefilo anticapitalista? Qual è
la stella polare del cinema di sinistra?
Nell’epoca dei franchising di supereroi e remake della
Disney, di film vincitori agli Oscar che inneggiano all’odio verso l’élite, e dei film impegnati
alla Adam McKay, la sinistra farebbe meglio a considerare il modo in
cui il messaggio politico di un film viene valutato, e quale potrebbe essere
l’aspetto di una produzione cinematografica veramente alternativa e radicale. E
non c’è punto di partenza migliore del Terzo Cinema.
La teoria del Terzo Cinema
Nell’ottobre del 1969, la rivista Tricontinental pubblicò
un articolo scritto da due giovani registi argenti, Octavio
Getino e Fernando Solanas, intitolato Verso un Terzo Cinema. Questo
pezzo lungo ventitré pagine sarebbe diventato in seguito una sorta di
manifesto, che esplicitava la teoria di un nascente movimento cinematografico,
dando vita a un nuovo approccio alla regia politicizzata che rimane tuttora
attivo, dopo più di cinquant’anni.
Verso un Terzo Cinema osserva che la maggior parte dei film prodotti
fino a quel momento potevano essere classificati entro due categorie. Il Primo
Cinema era quello di Hollywood, con film prodotti da grandi corporation e il
cui obiettivo primario era l’intrattenimento (e dunque il profitto). Un esempio
sono i musical della Golden Age di Hollywood o i film della
Marvel. Pur avendo dimostrato il potenziale dell’uso del film come mezzo per
raggiungere un pubblico di massa, il Primo Cinema non aveva alcun intento
radicale.
Il Secondo Cinema, invece, era molto spesso sperimentale, influenzato dalla
visione artistica del regista e concentrato principalmente sulla sua
espressione. Rappresenta sotto molti aspetti un passo avanti rispetto al Primo,
forzando i vincoli del mezzo a obiettivi più alti del semplice spettacolo. Ma
secondo Getino e Solanas, il suo potenziale politico è rimasto fortemente
circoscritto dall’imperativo commerciale. Al peggio, il Secondo Cinema sarebbe
diventato autocontemplativo e individualista; al meglio, avrebbe saputo
testimoniare l’esistenza dell’ingiustizia e la sofferenza della classe operaia,
ma senza per questo articolare una critica sofisticata delle relazioni
materiali da cui deriva tale sofferenza, o immaginare alternative.
Riconoscendo sia i punti di forza che i limiti di queste due forme, Getino
e Solanas hanno proposto un Terzo Cinema, che mirava esplicitamente a usare la
forza cinematografica per formare e mobilitare le masse verso la lotta di
classe e la liberazione nazionale. Probabilmente influenzati dall’opera del
cinema sovietico degli albori, dal pensiero dell’educatore e filosofo Paulo Freire e, forse prima di tutto, dal teorico e
drammaturgo Bertolt Brecht, Getino e Solanas denunciavano il fatto
che l’industria cinematografica argentina era «predisposta ad accettare e giustificare
la dipendenza, origine del sottosviluppo». Al contrario, i due registi
spingevano verso la crescita di un cinema mirato a incrementare la coscienza di
classe anti-imperialista del pubblico. Nelle loro parole:
La lotta anti-imperialista dei popoli del Terzo mondo e dei loro
equivalenti all’interno delle nazioni imperialiste costituisce oggi l’asse
della rivoluzione mondiale. Il Terzo Cinema è, secondo noi, il cinema che
riconosce in questa lotta la più grande manifestazione culturale, scientifica e
artistica dei nostri tempi, la grande possibilità di costruire una personalità
liberata in cui ogni popolo è il punto di partenza – in una sola parola, la
decolonizzazione della cultura.
Getino e Solanas non credevano semplicisticamente nel potere unilaterale
dell’arte o del linguaggio di cambiare il mondo. Piuttosto, vedevano nella
cultura uno dei vari nodi della contestazione. La produzione culturale era un
mezzo potente dotato del potenziale di interagire in maniera dialettica con le
condizioni materiali per spingere in avanti la vera lotta per la liberazione
del Terzo mondo.
Nel libro Political Film,
lo studioso Mike Wayne evidenzia i quattro elementi chiave con cui il Terzo
Cinema punta a raggiungere questo obiettivo: la storicità (il film si situa
nella storia, interpretata come «processo, cambiamento, contraddizione e
conflitto»); la politicizzazione (il film esplora «il processo secondo cui
persone che sono state oppresse e sfruttate prendono coscienza della propria
condizione e decidono di agire»); l’impegno critico (se nessuna opera artistica
è immune dall’ideologia, il Terzo Cinema abbraccia la propria prospettiva critica);
la specificità culturale (il film è radicato nel contesto culturale specifico
del proprio pubblico).
Forse l’espressione più chiara di questo approccio è il film di Getino e
Solanas La Hora de los Hornos (L’Ora dei forni)
prodotto nel 1968. Il film combina filmati originali e documentari d’archivio
per costruire quattro ore di trattato sull’Argentina, sul suo passato
coloniale, il suo presente neocoloniale, la sua stratificazione di classe e, non
da ultimo, la necessità di una lotta per la sua liberazione.
Pur sfociando occasionalmente in un formato documentaristico più
tradizionale, La Hora de los Hornos raggiunge i suoi picchi
quando Getino e Solanas giocano con il formato, manipolando in modo quasi
tangibile il potere del cinema di formare e interessare. Il film si apre con
una batteria di tamburi, assaltando lo spettatore con immagini di conflitto
sociale (proteste, repressioni violente, episodi di guerriglia), interrotte da
cartelli contenenti slogan come «Liberaciòn» e «Un passato comune. Un nemico
comune. Una possibilità comune». Una sequenza successiva mostra un montaggio di
scene cruente di macelleria, pubblicità e cartelli che indicano, per esempio,
la percentuale dei beni minerali argentini che appartiene a multinazionali
straniere.
Per Getino e Solanas, il Terzo Cinema non era solamente definito dal suo
contenuto e dalla sua forma, ma anche dal metodo di produzione e distribuzione.
I due registi avevano fondato il Grupo Cine Liberación, introducendo nel
processo di produzione cinematografica il controllo democratico e la titolarità
operaia. Lavorando sotto una dittatura fantasma, e cercando di ridurre al
minimo qualsiasi debito finanziario che avrebbe potuto minare il messaggio
politico, il collettivo faceva affidamento su una «produzione di guerriglia»,
con piccole squadre che operavano entro un budget irrisorio, e spesso al di là
dei limiti della legge.
La distribuzione seguiva uno schema simile. Vietato in molteplici
luoghi, La Hora de los Hornos veniva di solito proiettato
segretamente da organizzazioni politiche radicali e accompagnato da sessioni
intense di dialogo e dibattito. Non tutti i registi del Terzo Cinema avrebbero
soddisfatto gli standard rigorosi di produzione e distribuzione fissati da
Getino e Solanas, ma la critica della produzione culturale capitalista e lo
spirito di rigoroso coinvolgimento del pubblico che i due registi
rappresentavano si sarebbe rivelato in ogni caso formativo per lo sviluppo del
Terzo Cinema.
La pratica del Terzo Cinema
Pur se Getino e Solanas ne coniarono il nome, il Terzo Cinema non
appartiene certo solamente a loro. Sia L’Estetica della Fame del regista
brasiliano Glauber Rocha, uscito quattro anni prima, e Per un Cinema Imperfetto del regista e
teorico cubano Julio García Espinosa sono saggi che hanno avuto una simile influenza
sul potenziale politico del film. Ma più eloquenti di qualsiasi teoria scritta
sono gli stessi film.
Il Terzo Cinema ha assunto molte forme. La batalla de Chile: La lucha de
un pueblo sin armas (La battaglia del Cile: lotta di un popolo
disarmato) di Patricio Guzmán usa video tratti da documentari per seguire il
contraccolpo reazionario della presidenza di Salvador Allende. Yawar Mallku (Sangue
del Condor) di Jorge Sanjinés è un dramma basato su una supposta storia vera
della comunità Quechua che scopre che le loro donne sono state forzatamente
sterilizzate dai Peace Corps statunitensi. Il film buffo e a volte bizzarro di
Kidlat Tahimik, Mababangong
Banhungot (L’incubo profumato), segue un autista
di jeep filippino, ossessionato dagli Stati uniti e fan sfegatato di Wernher von Braun, nel suo viaggio di
disinganno del mito dell’Occidente.
Molti film del Terzo Cinema rappresentano esplicitamente la lotta per
l’indipendenza nazionale e politica: ambientato nell’Angola del 1961, il
film Sambizanga di
Sarah Maldoror tratta del viaggio di una donna per liberare il marito militante
imprigionato, che aveva fatto parte del Movimento Popolare di Liberazione
dell’Angola. Altri, come il «padre» del cinema africano Ousmane Sembène, famoso per aver
dichiarato che «L’Europa non è il mio
centro», si sono concentrati invece sulla comprador bourgeoisie postcoloniale.
Il suo film Xala,
per esempio, narra la storia di un corrotto uomo d’affari senegalese condannato
all’impotenza, sia politica che sessuale.
Pur se profondamente convinto della propria posizione politica, il Terzo
Cinema non teme le sfumature o la complessità. Memorias del
Subdesarrollo (Memorie del sottosviluppo) di
Tomás Gutiérrez Alea raffigura la borghesia cubana come frustrata e sradicata
in un paese che l’ha ormai superata, mostrando, nelle parole di un critico, «un ritratto compassionevole di un uomo
che non merita compassione».
Anche se il Terzo Cinema viene generalmente prodotto da artisti del Terzo
mondo, non si tratta di una regola assoluta. L’opera d’arte neorealista
dell’italiano Gillo Pontecorvo La battaglia di Algeri viene spesso
inclusa in questo canone, insieme al suo meno noto film Queimada.
Né la definizione si applica solo ai film veri e propri. Agarrando Pueblo (I
vampiri della povertà) dei colombiani Carlos Mayolo e Luis Ospina, per esempio,
dura ventisette minuti e inizia come una satira anonima del feticismo della
povertà per poi trasformarsi in qualcosa di molto più più potente quando la
narrazione viene abbandonata per consentire a un attore (effettivo residente
del quartiere rappresentato) di infrangere la quarta parete e articolare le
proprie opinioni sul processo di produzione del film direttamente verso la
telecamera.
Il Terzo Cinema come corrente artistica ha seguito la crescita e poi lo
stallo del movimento del Terzo mondo. Ma non è rimasto interamente nel passato.
Vent’anni dopo l’uscita del suo Touki Bouki,
un classico del Terzo Cinema, Djibril Diop Mambéty ha girato Hyènes (Iene),
un’allegoria dell’arrivo della Banca mondiale e del Fondo monetario
internazionale (Fmi) sul continente africano, e della capacità di alcuni di
sacrificare ogni cosa davanti alla promessa di ricchezza. Nel film del
2006 Bamako, del regista
mauriziano-maliano Abderrahmane Sissako, le popolazioni africane mettono sotto
processo l’Fmi e la Banca mondiale per i loro crimini contro il continente nel
cortile della casa di una famiglia maliana. Man mano che procede l’udienza, gli
altri membri della famiglia guardano un film-dentro-al-film in cui una banda di
cowboy americani fa partire una sparatoria a Timbuktu; «Due insegnanti sono
troppi», dice uno di loro prima di sparare.
Il Terzo Cinema attraversa decenni, continenti e generi, a partire dai film
che hanno ispirato Getino e Solanas fino ad arrivare ai loro discendenti
contemporanei, e più che costituire un movimento unito rappresenta un approccio
e un impegno comune: usare il potere del cinema per portare avanti il progetto
di liberazione del Terzo mondo.
Il Terzo Cinema, allora e oggi
Il Terzo Cinema non è immune dalle critiche. Nonostante la grandiosità dei
suoi obiettivi, è rimasto un fenomeno culturalmente marginale. Pur avendo
cercato un pubblico di massa, le grandi aspettative che il Terzo Cinema ripone
sugli spettatori ne hanno allontanati e persino alienati molti.
Né si può dire che il Terzo Cinema abbia la prerogativa sui film politici.
Dai maestri sovietici a Bong Joon-ho, passando per grandi
movimenti di cinema radicale nero, femminista e queer, il film è stato usato
come veicolo di cambiamento sociale sin dalla sua nascita.
Ma il contributo del Terzo Cinema alla storia della produzione politica di
film, vista come lo sforzo collettivo di mettere in pratica una politica
radicale dalla produzione alla distribuzione al consumo, è enorme. Dove molti
film sfruttano la rabbia e l’oltraggio per mitigarli, il Terzo Cinema dà loro
una direzione. Superando il lamento sterile e superficiale sullo stato del
mondo, il Terzo Cinema articola una critica sostanziale del sistema capitalista
e imperialista. Invece di esistere in funzione del profitto, la raison
d’être del Terzo Cinema è proprio sviluppare la coscienza di classe
per contribuire culturalmente alla lotta materiale antimperialista.
Getino e Solanas chiudono il loro manifesto dichiarando che «la nascita di
un Terzo Cinema rappresenta, almeno per noi, il più grande evento artistico
rivoluzionario dei nostri tempi». Anche se questa affermazione può apparire
drammatica col senno di poi, giungeva in un momento in cui le posizioni
politiche del Terzo mondo sembravano in procinto di rimodellare le relazioni
internazionali. Il mondo del 2023 è certamente molto diverso da quello del
1969, ma l’obiettivo fondamentale del Terzo Cinema, ovvero la decolonizzazione,
non è meno urgente.
Non tutti i film devono necessariamente soddisfare gli standard del Terzo
Cinema per avere un impatto politico, e ancor meno valore artistico. Barbie e Oppenheimer possono
essere guardati con piacere, criticati, condannati o valorizzati senza alcun
problema. Ma nel mezzo delle discussioni confuse e iperboliche che ormai
accompagnano inevitabilmente ogni nuova uscita, l’eredità vitale di uno dei
movimenti più influenti del cinema offre un approdo sicuro. Il Terzo Cinema è un
memento del potenziale radicale del cinema.
*Michael Galant fa parte del Comitato internazionale dei Democratic
Socialist of America (Dsa). Questo articolo è uscito su Jacobin Magazine, la traduzione è di
Valentina Menicacci.