sabato 5 novembre 2022

Triangle of Sadness - Ruben Östlund

una storia in tre parti, nella prima due fidanzati bisticciano un po' per chi doveva pagare al ristorante;

nella seconda parte siamo su una crociera in un maxi yacht (preso in affitto dalla famiglia Onassis), i due fidanzati sono ospiti in un viaggio per ricchi, schifosamente ricchi, tra cui il re della merda e una coppia di anziani proprietari di una fabbrica di armi, il capitano è uno che lavora di controvoglia, la cosa più importante che fa è una gara di citazioni politiche con il re della merda.

la terza parte, la meno noiosa, è anch'essa banale, l'isola apparentemente disabitata vede un'inversione dei rapporti di potere e prestigio e forza dei sopravissuti al naufragio, la serva diventa padrona, ma questo non basta a farne un film sulla lotta di classe (ridateci SnowpiercerOld e Parasite!!!).

la fotografia è ottima, il resto banalotto, divertente, a volte, simpatico, a volte, niente più.

la carta da pacchi è molto bella, dopo averla scartata c'è un pacco.

vedere per credere, e, come dice Clint, le opinioni sono come le palle, ognuno ha le sue.

buona (sabbiosa) visione - Ismaele



 

Östlund imbocca la strada dello scontro di classe sulla scia di Parasite, cercando di ripeterne l’effetto ma senza la perfezioen del meccanismo messo a punto da Bong Joon-ho. Invece, cose e cosacce di massima sguaiataggine populistica, a strizzare l’occhio alla platea, ed ecco i riccastri che si mostrano nel degrado di corpo e psiche, vomitando, defecando, fino alla scena di un cesso che erutta letteralmete merda su tutto e tutti. Sghignazzi e applausi in sala, come no. Dallo yacht in avanti il film si smembra in una galleria di barzellettacce su cui tacere è bello. Con ribaltamento delle gerarchie sociali. Tutto scopiazzato da un’infinità di precedenti: cominciando da Travolti da un insolito destino (chissà cosa ne avrebbe detto la Wertmüller vedendosi così plagiata), proseguendo con Il signore delle mosche e tutte le edizioni possibili dell’Isola dei famosi sui peggio canali del mondo. Rispunta perfino il ricordo di un Lizzani primissimi Settanta, Roma bene, anche lì uno yacht di riccastri, anche lì con il karma pronto a colpire. Si sarà tirato in ballo, a proposito di questo obbrobrio made in Sweden (però girato in inlgese e mi pare sia la rima volta per Östlund) anche Buñuel. Vogliamo scherzare? Dove sta la leggerezza di Don Luis? Triangle of Sadness è pesante come un lastrone di marmo, è peggio che brutto, è ignobile per sguiataggine, per come asseconda le peggiori pulsioni del pubblico, per come pretende di fare la morale. E mi fermo qui.

da qui

 

Il contributo all’argomento di Östlund passa attraverso la sua predilezione per la provocazione, le situazioni vagamente imbarazzanti, per i personaggi come per gli spettatori. Qualche volta a produrre il disagio sono i dialoghi, come quello iniziale, dove un ragazzo che ha pagato la cena alla fidanzata prova a chiedersi, e a chiederle, perché è così scontato che a tirare fuori la carta di credito sia sempre l’uomo. Ovviamente la discussione degenera in litigio, il che permette al regista di introdurre il tema centrale del film, nella fattispecie il condizionamento sociale determinato, sin nei rapporti di genere, dal denaro. In altre sequenze la dimensione provocatoria è  affidata alla presenza di corpi comici, ovvero eccessivi, quindi destinati a uscire fuori di sé: è il caso dell’episodio della crociera – la quintessenza di un mondo piramidale, con i ricchi (i passeggeri) in cima e i poveri, verrebbe da dire la servitù (camerieri, cuochi, ecc.), in fondo – che degenera in un’apoteosi finale di merda e vomito…

da qui

 

È molto difficile essere delusi o scontenti dopo aver visto un film divertente tanto quanto lo è Triangle Of Sadness, facilmente uno dei più esilaranti ad aver mai vinto la Palma d’Oro a Cannes e anche all’interno del ben più ridanciano circolo dei film in uscita si distingue per la capacità di far ridere davvero, con grana grossa, vomito e diversi momenti di botte in testa, ma anche con dialoghi appuntiti, frasi fulminanti e ironie che arrivano di rinterzo nel cervello. Bravissimo. Ma questo terzo film di Ruben Ostlund non può essere definito in altri modi se non paccottiglia intellettuale o moneta culturale contraffatta. Versione da discount del cinema migliore, cioè più a buon mercato, meno impegnativa, sicuramente di minor resistenza al tempo. Ogni segno della presenza e del trionfo di questo tipo di cinema in un festival importante è un segno inequivocabile di decadenza…

da qui

 

Meno comprensibile è come si possa continuare a ridere di scenette forzate e ripetute tra conati di vomito, cessi che spruzzano merda liquida, e tante altre facili amenità degne di un film natalizio di Boldi e De Sica. Qui si fa satira sui ruoli sociali, si dirà. Ma ciò non basta a rivalutare un film che tenta di ripetere la metafora di rivendicazione sociale di Parassite, e che sputa veleno sul mondo fatuo della moda e dei social.

Ma, se proprio andiamo a confrontare questo filmetto furbo sino alla più ovvia inconsistenza, con i primi film a tema che ci vengono a mente, sia che si pensi al Bunuel incontenibile de Il fascino discreto della borghesia, come al Bartel corrosivo di Scene di lotta di classe a Beverly Hills, sia all'ultimo sapido Altman di quel troppo dimenticato e sferzante (quello sì, altro che questo!) Pret-à-porter, ecco che, anziché farci venire le convulsioni dalle risa come è successo alla stragrande quantità del pubblico del festival, ci viene da piangere lacrime amare.

da qui 


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