giovedì 3 novembre 2022

La stranezza - Roberto Andò

un film da cui non mi aspettavi troppo e che sorprende, grazie a una sceneggiatura non urlata, senza primedonne, al limite qualche primus inter pares.

Ficarra e Picone sono bravissimi, come Toni Servillo.

a partire dalla morte della balia di Pirandello (Aurora Quattrocchi,  mamma Teresa in Nostalgia) nasce la storia, i due amici delle pompe funebri sono anche gente di teatro e a loro insaputa diventano una fonte d'ispirazione per Pirandello.

il teatro della filodrammatica di "dilettanti professionisti" recita la vita e nella finzione sta la verità, il pubblico non è passivo, partecipa, ride, si immedesima, capisce.

un film che non delude, promesso.

buona (teatrale) visione - Ismaele


  

A brillare sullo schermo sono il ritmo, l’inventiva, il piacere, la generosità dimostrata da Andò (con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso alla sceneggiatura) e dagli attori, numerosissimi e straordinari fino al più piccolo ruolo. Come se questa “Stranezza” così inattesa aspettasse in certo modo di vedere la luce da sempre. A risarcire, sull’onda di altri film importanti ispirati al teatro (“Qui rido io” di Martone, ma anche il trascurato “La stoffa dei sogni” di Cabiddu), un cinema che troppo spesso, misteriosamente, sembra anzitutto ansioso di dimenticare di cosa può essere capace.

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Toni Servillo è rimasto affascinato “dalla possibilità di sottrarre Pirandello ai cliché della pesantezza intellettualistica, e dunque di raccontarlo in un momento cruciale della sua vita mentre cova questa idea così audace di teatro, che sarebbe diventata I sei personaggi, e la trova durante un viaggio di ritorno nella sua Sicilia, dove riprende contatto con riti, volti, paesaggio e lingua nativi. Mi piaceva inoltre molto, attraverso questo film, di poter contribuire modestamente a far cadere gli steccati che vogliono gli attori comici e drammatici separati. L’alchimia tra me con Valentino e Salvo corrisponde alla curiosità che avevamo di incontrarci e recitare insieme”. Chiamati in causa Salvo Ficarra e Valentino Picone, chiamati fin dalla genesi del film, hanno espresso la gioia di appartenere a un testo che “abbiamo subito capito fosse un progetto ambizioso: ci siamo sentiti immediatamente dentro a questa storia. Scoprendo poi che ci sarebbe stato Servillo nei panni di Pirandello non vedevamo l’ora di iniziare. È stata una grande avventura di ascolto reciproco”…

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La parola “stranezza” viene pronunciata due volte nel corso del film. La prima dal fantasma della tata, che appare a Pirandello e gli dice “ogni volta che ti veniva la stranezza, appoggiavi le gambe sulle mie ginocchia…”, la seconda volta invece è lo stesso Pirandello che usa la parola durante il colloquio con Verga (Renato Carpentieri): “Ho in mente una stranezza che è diventata quasi un’ossessione…”. Nel primo caso “stranezza” sembrerebbe indicare un tormento interiore, un’afflizione nascosta, una vena di malinconia, mentre nel secondo caso sembra alludere a un’idea creativa che non riesce a prendere forma, che si affaccia e si sforma, che appare e si dilegua, generando apprensione e frustrazione. Ma prima o poi la “stranezza” la sua forma la trova, un po’ come accade alle lettere che formano la parola nei titoli di testa: prima galleggiano casualmente e disordinatamente su sfondo nero, poi a poco a poco si accostano l’una all’altra e danno forma al titolo del film. Come dire: nel momento in cui prende forma, la “stranezza” diventa qualcos’altro…

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È incredibile quanto Toni Servillo sia sempre capace di far andare di pari passo alla quantità di progetti in cui lavora, la qualità delle sue interpretazioni. Non sbaglia un colpo e più che mai stavolta sa donarci un personaggio di poche parole ma dai grandi sentimenti, un’interpretazione fatta di sguardi, di micro-espressività, di intenzioni. Ficarra Picone trovano finalmente spazio per liberarsi dal cliché della coppia comica cabarettistica in cui sono intrappolati, per confermarsi grandissimi caratteristi capaci di regalarci due personaggi vivi e tridimensionali, profondi ma leggeri, commoventi ma simpatici, poveri ma ricchissimi, miseri ma amabili…

… Ciò che fa scalare una marcia a La stranezza è, ahinoi, proprio la regia di Roberto Andò, che davanti a tutto questo popò di arte e passione rimane decisamente fredda, impostata, poco originale e allineata più a un compito da svolgere che a una mano autoriale. Per carità, il mestiere certamente non manca, ma un film come La stranezza dovrebbe rappresentare per un regista lo slancio necessario a sperimentare su una propria visione, piuttosto che ad assestarsi sulla semplicità del campo e controcampo. Ci sarebbe piaciuto vedere qualche inquadratura più originale, qualche movimento di macchina in più, qualche mezzobusto in meno, ma soprattutto una visione autoriale riconoscibile, chiara, ragionata che avrebbe certamente elevato La stranezza a uno dei migliori film italiani prodotti negli ultimi anni. 

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scrive il regista:

Una mattina di molti anni fa (abitavo ancora a Palermo), mi trovavo in compagnia di Leonardo Sciascia e, all’improvviso, lui mi chiese di fermare l’auto che stavo guidando. “Scusa, aspettami un momento”, bisbigliò ancora il grande scrittore. E si avviò verso una piccola libreria. Trascorsero pochi minuti e lo vidi ritornare con un libro in mano che subito mi porse. Era una biografia di Luigi Pirandello curata da un grande studioso, Gaspare Giudice. “Questa è per te, l’avevo ordinata qualche giorno fa. È fondamentale, ed è la più bella che ci sia in circolazione”.

Questo episodio dei miei anni giovanili è probabilmente all’origine del mio film La stranezza. In effetti, quella biografia si rivelò una lettura cruciale e mi consegnò una visione folgorante del labirintico intreccio di vita e arte di cui si compone il tortuoso universo di Pirandello, una visione verso cui ancora oggi mi sento debitore.

La Stranezza è una fantasia sull’atto creativo, sull’ispirazione. Un viaggio sospeso tra la vita reale del grande scrittore agrigentino e l’invenzione fantastica. Al centro c’è il rapporto tra Pirandello e i suoi personaggi. Tra Pirandello e la Sicilia, tra le ossessioni private di un genio e la vita di un paese siciliano negli anni ’20 del secolo scorso. Alcuni dei fatti che vi sono raccontati sono veri, come pure alcuni dei personaggi che vi compaiono.

È vero che nel 1920 Pirandello andò in Sicilia, a Catania, per festeggiare l’ottantesimo compleanno di Giovanni Verga, e che l’autore dei Malavoglia non volle presenziare alla cerimonia al teatro Bellini, officiata dal ministro della Cultura Benedetto Croce. È vero che Pirandello aveva una moglie, Maria Antonietta Portolano, che nel 1919 fu reclusa in una clinica specializzata nelle malattie nervose. Così come è vero che Pirandello da bambino fu accudito da una balia che si chiamava Maria Stella, una donna dolce e sensibile che gli raccontò fatti, favole e dicerie di quella Girgenti a cui l’opera dello scrittore si sarebbe poi ispirata. Come è altresì vero che la prima dei Sei Personaggi in cerca d’autore, il 9 maggio del 1921, a Roma al Teatro Valle, fu tempestosa, per non dire disastrosa. Come si evince dalle cronache, il pubblico fu spiazzato dalla novità rivoluzionaria espressa da quel capolavoro, e fece pervenire all’autore il suo dissenso a suon di “Manicomio!”, “Buffone”, e altri epiteti. Pirandello, contrariamente alle sue abitudini, volle comunque salutare il pubblico e si offrì imperturbabile al suo giudizio. Uscì dal teatro con la figlia Lietta affrontando a viso aperto il drappello di facinorosi che lo attendevano

per dileggiarlo. Ma già a Milano, tappa successiva della tournée prevista per lo spettacolo, I Sei Personaggi furono accolti con un trionfo, e da lì, via via, la fama dell’opera si espanse inarrestabile al mondo intero…

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