un film sorprendente, una storia di sesso e non solo, omosessuale e non solo.
la sceneggiatura è stata scritta da Fassbinder, e, a parte il gigante tedesco, solo François Ozon poteva fare un film alla Fassbinder.
attori bravi, Bernard Giraudeau sopra tutti, in un film, tutto in interni, nell'appartamento di Leopold, sui ruoli all'interno della coppia, sull'attrazione, sulla noia, sulla stanchezza dei rapporti, sulla libertà di scegliere, ma anche no.
il film è datato, ma sempre fresco.
bello.
buona (musicale) visione - Ismaele
…Ozon non si limita a rievocare Fassbinder e la feroce
lucidità nel mettere in scena le "roulette cinesi" e i travagli dei
rapporti, non gli basta mostrare il bisogno di sperimentare sempre la novità,
di "farsela" carnalmente, facendola passare attraverso il corpo e il
sesso dirigendo un ottimo Leopold (Bernard Giraudeau) attorno alla cui libido
tutto ruota, fino a svelare la necessità più volte ribadita degli altri
irretiti dal suo adrenalinico bisogno di perseguire ogni passione con un ardore
che si estende alle sue ‘vittime´; Ozon ci imbandisce un insieme di ricordi
filtrati da una particolare pellicola fassbinderiana che deforma il reale e
trasforma gli oggetti (l´enorme asciugacapelli per tutti) e gli ambienti (la
camera da letto più volte penetrata a conclusione dei 4 quadri e un epilogo, a scombinare
il finale dell´atto precedente con bellissimi corpi aperti in attesa trepidante
di fremere per carezze di "sogni" solo immaginati) in simulacri di
un´epoca, o meglio in tasselli utili per ricostruire la propria memoria di
quello che erano i temi, le emozioni, i contrasti, sempre duplici e perciò –
allora come nel film di Ozon – danno luogo a una profusione di specchi e doppie
immagini compresenti sullo schermo. Ed è proprio durante queste inquadrature
dall´esterno della casa – uniche uscite dello sguardo, sempre comunque centrate
verso l´interno su personaggi che non possono esistere al di fuori – che le
figure sono tristemente sfumate dal cambio di focale che evidenzia le gocce del
titolo, rilevando l´impossibilità di abbracciare simpateticamente i personaggi
pur avendo la percezione di vedere rappresentata la propria condizione umana,
solitaria e disperata per la momentanea felicità esperita e perduta, non
ricostruibile al di là della cortina di gocce sui vetri. Il diaframma più
evidente è quello dello studio, quando Franz prende per la prima volta la
decisione di andarsene: Leopold è al di là della porta, lo vediamo deformato
dal vetro, lontano, irraggiungibile…
…Ozon non riprende solo il testo fassbinderiano, ma sembra
mutuare dal regista tedesco diversi espedienti di messinscena, nell’utilizzo
degli spazi claustrofobici e in quello, ad esempio, delle canzoni, la cui irruzione
può sottolineare la drammaticità di un momento (la straordinaria “Traum”) o
provocare un improvviso straniamento, come nel caso del balletto corale a ritmo
di disco music. Il procedimento di base che Ozon tenta di ricreare è infatti
soprattutto quello dell’alternanza, tipicamente fassbinderiana, di
coinvolgimento e straniamento. Picchi di partecipazione che vengono raffreddati
un attimo dopo: questa declinazione del melodramma è forse l’eredità più
evidente che il regista francese vuole mettere in atto, anche se poi tutta
l’operazione, che ha un’innegabile componente di archeologia
cinefilo-sentimentale, presuppone una sorta di distanza di sicurezza, attiva
per tutto il film. In fondo Ozon porta sullo schermo una pièce di Fassbinder
nel modo in cui crede l’avrebbe messa in scena il suo autore, ricalcandone gli
stilemi della messinscena e caricandosi mentalmente delle sue ossessioni (basti
pensare che il passato di Vera, transessuale operato per amore, era assente nel
testo originale e viene ripreso da Ozon dall’idea centrale di Un anno
con tredici lune), con il risultato che si può avvertire costantemente un
inevitabile, sottile distacco dalla materia narrata, accresciuto dall’impianto
consapevolmente teatrale…
…Il film è tutto fuorché un gelido e
compiaciuto esercizio di stile, Ozon costruisce sullo “scheletro” del testo
teatrale un’opera pregna degli elementi più personali del suo cinema riuscendo
nel contempo a evidenziare e enfatizzare i tratti tipici del cinema
fassbinderiano, scegliendo inoltre di prendere a prestito situazioni e idee
dalla filmografia del regista tedesco per colmare alcune lacune del testo
originale nella trasposizione filmica.
Gouttes d’eau sur pierres brûlantes rispetta uno stampo fortemente teatrale, con gli
attori che, man mano che la storia prosegue, riducono sempre più i movimenti e
i gesti, con la reiterazione delle situazioni, e il crescente senso di tragedia
che pervade la claustrofobica situazione…
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