sabato 3 settembre 2022

Court - Chaitanya Tamhane

un film sulla persecuzione di un artista popolare e coerente.

Narayan è un poeta musicista che canta le sue idee, e il Potere (che è un potere piccolino e poliziesco) fa di tutto per zittirlo.

il cantante è difeso da un avvocato coscienzioso e accusato da un'avvocata che sembra avere il compito di distruggere il cantore, senza se e senza ma.

sembrano udienze di un paese del terzo mondo, come da noi, d'altronde. 

viva Narayan!

un bel film, Chaitanya Tamhane è davvero bravo.

buona (musicale e da tribunale) visione - Ismaele

 

 

 

vediamo svolgersi la storia di un cantante folk già abbastanza avanti con gli anni, che è costretto a difendersi più volte in vari processi da un’accusa a dir poco assurda: può una canzone popolare spingere al suicidio

Non c’è il classico gioco vittima e carnefice: sia l’accusato che gli accusanti, sia il difensore che la vittima, provengono dallo stesso strato sociale.
L’unica differenza è la posizione di potere. La magistratura come ente autorizzato, che violenta e sputa
sentenze di vita e di morte. Realtà dove non diversamente le persone provenienti da ogni classe e cultura, interagiscono e si mescolano. Il potere del sistema e delle sue regole, del protocollo e della gerarchia.
Il senso di impotenza ed ingiustizia si avverte per tutta la durata del film, e la figura notevole di Vivek Gomber amplifica, con la sua fisicità e la sua intensità, l’atmosfera di realtà tragica a cui rimane difficile rimanere indifferenti.
Ovviamente al regista non interessa la causa giudiziaria in se, non vuole indagare sulla forza oscura che sembra volere con ogni mezzo, anche illegale, trattenere il malcapitato di turno, presenza affine a molti sistemi giudiziari nel mondo. Il suo sguardo va oltre, nell’ambiguità dell’India contemporanea, ancora purtroppo legata ad un passato fatto di razzismo, diversità, ignoranza, soprusi.
Siamo lontani dai fasti di Bollywood, c’è solo un timido accenno di alcune musichette dei film commerciali in una scena nel finale, durante un viaggio in bus.

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Lo script di Chaitanya Tamhane è abile nel raccontare la realtà in cui la storia si muove, usando l'impianto giudiziario di Court per raccontare i personaggi che danno vita al processo, oltre che il processo stesso. Il caso non è messo in secondo piano, ma non si erge mai a protagonista assoluto della storia, lasciando che siano le vite dei personaggi della vicenda a dettare modi e tempi narrativi del film. Lo dimostra anche la sequenza finale aggiunta dal regista dopo che l'aula, ormai deserta, sfuma in nero e mostra per un ultima volta uno spaccato della vita al di fuori del tribunale. E' una scelta che paga, perché riesce a fornire uno sguardo interessante sull'India e la zona di Mumbai che fa da sfondo al racconto, accennando anche ad una critica del sistema giudiziario indiano. Dove il film difetta è in una messa in scena molto piatta, che si affida alla camera fissa per scrutare l'interno dell'aula e tende a non favorire il coinvolgimento dello spettatore, che in molti casi si ritrova ad assistere come se fosse tra il pubblico in aula, mantenendosi a distanza da quanto accade…

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Una de las primeras secuencias de esta propuesta india que ha logrado colarse entre los estrenos de esta semana en salas españolas, algo muy insólito entre los filmes de su prolífico país de procedencia, nos hace entender cuál es el funcionamiento del sistema judicial indio cuando no existe independencia entre sus poderes y los intereses gubernamentales. Si el poder decide encarcelar a quien se atreva a levantar la voz contra sus ideales, decenas de falsas incriminaciones atormentarán sin descanso al pobre infeliz que trate de barrarles el paso. Y de esto mismo trata este trabajo de Chaitanya Tamhane, quien nos presenta la historia de un cantautor cuyas letras, tan libres como ácidas y subversivas, suponen una amenaza para un poder demasiado acostumbrado a controlar a las masas de tan mastodóntica nación. Es por ello que viviremos el absurdo de un juicio cuyo abogado defensor poco podrá hacer para probar la libertad de su acusado siempre y cuando sigan recayendo nuevos falsos cargos sobre él. Al mismo tiempo, su director aprovecha para dictaminar una mirada crítica hacia el correcto desarrollo de la actividad jurídica, incidiendo en la falta de medios y la lentitud como consecuencia de posponer el caso llegando casi al inmovilismo…

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Il quadro è variegato e confuso, quando la censura è ancora regolata dalle leggi inglesi dell’epoca vittoriana, e nelle aree rurali resistono culture religiose arretrate, dalle usanze barbariche. Si passa la serata al pub, dove si possono ascoltare melodie brasiliane, ma il giorno dopo si può essere aggrediti, all’uscita da un ristorante, per aver pubblicamente criticato le pratiche di una certa etnia. Il potere giudiziario, su cui il film centra l’obiettivo, procede in superficie sulla scorta dei codici e della burocrazia,  ma appare privo del necessario supporto di una coscienza critica, adeguata ai tempi, che possa davvero fungere da base ad un regime ispirato ai principi di libertà ed uguaglianza. Mentre la miseria dilaga, invincibile, la grande assente è la voglia di cambiare, di riconoscere, in quell’orizzonte chiuso dalla generale miopia, il vero nemico comune contro cui Narayan invita tutti a combattere. La sua voce è potente e rabbiosa, però intorno a lui la realtà è debole, inquieta ma sostanzialmente impantanata in un’inerzia morale che blocca ogni tentativo di rimettere in discussione gli assunti fondamentali (la vecchia concezione della vita familiare e del ruolo femminile), ed ostacola anche l’applicazione delle nuove norme (i dispositivi di sicurezza sul lavoro).  Durante un’udienza, una donna dichiara di non conoscere con precisione la propria età. Un’altra viene rispedita a casa dal giudice perché si è presentata con un vestito senza maniche. Il film procede lento e pacato, abbandonato ad una informe estemporaneità, che riproduce il ritmo esistenziale di chi tira a campare, facendo quello che può ed illudendosi di poter prosperare. In Court l’aula del tribunale si apre sul mondo, per rivelarsi come il cuore di un immenso mercato in cui la folla avanza a fatica, come un corpo dalle mille anime: individui soffocati dalla massa,  che non vedono dove vanno, che il più delle volte si lasciano trasportare dalla corrente, e che a tratti cadono e finiscono calpestati. In questo grande serpentone umano, è  pretestuoso voler intravvedere un nesso logico, da ciò che l’uno dice e l’altro fa, a pochi metri di distanza da lui. Le parole, per lo più, restano incomprese ed inascoltate, come i gridi di denuncia di Narayan. Oppure vengono studiatamente travisate, e date in pasto ad un sistema che cerca sempre nuove vittime. 

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