le cinque ore del film non pesano per niente, Ryûsuke Hamaguchi ha il grande pregio di non lasciare indifferente chi guarda le sue opere e ci si appassiona.
le protagoniste sono quattro amiche, che hanno molto in comune e si sostengono, in un mondo dove i maschi hanno il potere e l'ultima parola, ma non sempre.
trovate cinque ore libere e lasciatevi andare alle storie di Jun, Akari, Sakurako e Fumi, non ve ne pentirete, promesso.
buona (sorprendente) visione - Ismaele
…Un film che segue le storie di un gran numero di personaggi, una narrazione che accompagna le loro vite in un lungo lasso di tempo. Un film che asseconda il tempo, non vuole contenerlo forzatamente. Segue il tempo come segue, nell’incipit, il percorso della funicolare che porta le quattro amiche, che vengono così presentate, nelle colline attorno alla città di Kobe, a fare un picnic. Una sorta di club femminile che si ritaglia quei momenti, lontano da tutto, per potersi raccontare tutto. Picnic che sarà funestato dal temporale, metaforico come viene riconosciuto nei loro stessi dialoghi. La mdp seguirà ancora la funicolare nel suo ritorno che combacerà con il titolo di testa del film. La natura, questa località collinare a ridosso della città, tornerà, a rappresentare sempre uno dei punti di fuga, come la nave che parte con la ragazza, in contrasto con la metropoli e la sua vita snervante. La città di Kobe, protagonista del film, con la sua folla, con il suo traffico caotico, spesso inquadrata con ampie panoramiche dall’alto.
Tra le scene madri di Happy Hour, vi è ancora una lunga e interminabile sequenza, di un momento di training fisico, tenuto da Ukai dell’art center Porto. I partecipanti seguono una pratica di meditazione, cercano i propri punti di equilibrio, girano in cerchio, fanno strani esercizi in coppia, toccandosi, connettendosi l’uno con l’altro. Un momento poetico, quasi una danza, quasi la simulazione dell’eclissi di Le armonie di Werckmeister. In definitiva si ascoltano, intimamente, e questo ancora contrasta con una società, come quella raccontata nel film, insensibile, governata da indifferenza e incomunicabilità, dove assente è proprio l’ascolto reciproco.
Si arriva così all’ultimo, grande, blocco narrativo. Una scrittrice è invitata a eseguire il reading di un suo testo all’associazione Porto. Gli assunti del film deflagrano in questa lettura. Una autrice che parla di cose femminili, della donna come mistero. Usa la metafora dei treni, come nel film è la funicolare. La sua impostazione artistica dichiarata è quella di catturare le cose che passano sotto gli occhi e fissarle nella pagina scritta, senza bisogno di troppe mediazioni. Quasi un quadro programmatico di quello che vuole fare Hamaguchi con il cinema, con Happy Hour.
Kobe, Giappone. Jun, Akari, Sakurako e Fumi
sono convinte di potersi confidare ogni cosa, ma quando un giorno a una cena
Jun confessa alle amiche di aver chiesto il divorzio, queste accolgono la
notizia con una certa sorpresa. Assistono alla causa in tribunale, dove Jun
tenta di imporsi contro la volontà del marito. Per dissipare ogni amarezza, il
gruppo decide infine di andare ai bagni termali di Arima, dove Jun sparisce
misteriosamente... La sua scomparsa scatenerà una serie di eventi inaspettati
nella vita delle tre donne rimaste.
“A powerful affirmation of the immersive potential of
cinematic narrative, Happy Hour is a slow-burning epic chronicling the sentimental
journey of four thirtysomething women towards a new understanding of life and
love. With gentle irony the film’s title signals both the elusiveness of the
peace-of-mind sought by the women as well as the boldly extended five-hour-plus
running time so crucial to the rare intimacy of character achieved by
director Ryûsuke Hamaguchi. Happy Hour is that rarest of ensemble films, among the few to
democratically, patiently and purposefully add subtle complexity to each of its
main characters. Much of the rich nuance underlying the women’s constant
transformation over the course of the film certainly derives from the unusual
collaboration between the relatively inexperienced actresses and Hamaguchi, who
together defined the characters in a series of workshop sessions that preceded
the film’s eight-month shoot. Pointedly, Happy Hour itself contains a crucial workshop, early in the film,
where the four friends are taught by a handsome guru to listen to each other’s
bodies and embrace a different kind of interrelational communication. Happy Hour uses its patiently yet never ostentatiously or
unnecessarily extended running time to teach the audience this same lesson: to
learn to see, hear, sense the indeterminate secret space between people, the
distance whose measure may be friendship, deception or love.” – Harvard Film
Archive
…Happy Hour, en sus
cinco horas largas de duración, ofrece una panorámica fascinante de la sociedad
japonesa del siglo XXI y muy especialmente de la posición que ocupa la mujer en
ella. El trabajo, la amistad, la mentira, el amor, la lealtad, la maternidad,
el sexo… son sólo algunas de las cuestiones que trata la película y sobre las
que los propios personajes se ven obligados a reflexionar. Hamaguchi, en la
tradición de Ozu y Naruse, rechaza la obviedad y abraza la sutileza a la hora
de componer el perfil emocional de sus heroínas, confusas y desconcertadas al
asistir al resquebrajamiento de su sistema de creencias, de aquello que
consideraban firme y seguro. El estilo de su director, sostenido en planos
medios y una nítida composición de los personajes en cuadro, y su querencia por
diálogos larguísimos que pasan de lo leve y fortuito a lo relevante y
significativo, refuerzan el carácter profundamente introspectivo de la propuesta,
rasgada por elipsis inesperadas y elegantes fuera de campo. Por todo ello, no
es difícil ver en Happy Hour la mano de un autor en plena
madurez expresiva, lo cual es mucho sabiendo que aún no ha cumplido los
cuarenta años. Su insólita duración no debería asustar a nadie: aquí hay
sabiduría y belleza como raramente se encuentran en el cine que se estrena
últimamente.
…l'emozione più forte che viene dalla visione è che si ha la sensazione di percepire la vita che scorre nei minuti come negli anni e di come le protagoniste si rapportino a essa interrogandosi continuamente su chi erano, cosa sono diventate, cosa avrebbero voluto essere. Non c'è nostalgia o rammarico, piuttosto un continuo sforzo vitale di aderire alla propria realtà e ai mutamenti continui di essa.
Contrariamente a quanto si potrebbe
pensare, il film ha una trama ben definita e uno svolgimento in
crescendo. L'esito sorprendente è che chi guarda attraversa le oltre cinque ore
di proiezione spasimando per il destino delle quattro donne come se stesse seguendo
un thriller. Il merito va a una regia straordinaria che riesce a portare lo
spettatore sulla scena e a condividere paure, ansie, rabbie, delusioni e
speranze delle protagoniste. Questo risultato è raggiunto soprattutto grazie a
due elementi. La prima è una sceneggiatura di suprema intelligenza e
sensibilità che, mentre restituisce allo spettatore la trama di un vissuto
quotidiano che potrebbe essere di chiunque, non ha paura ad avventurarsi in
territori di riflessione in presa diretta, con un esisto dirompente. La seconda
sono le quattro attrici stesse. Senza precedenti cinematografici, conosciute da
Hamaguchi durante un workshop di recitazione per dilettanti, riescono a
trasformare la loro mancanza di esperienza in freschezza e spontaneità ineguagliabili.
Non è un caso se al Festival di Locarno 2015 sia le quattro attrici (insieme,
fatto inedito) che la sceneggiatura siano stati premiati…
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