lunedì 5 settembre 2022

A qualsiasi prezzo (At Any Price) – Ramin Bahrani

nei piccoli stati disabitati e ricchi di voti repubblicani e terra da coltivare, rubata agli indiani, succedono cose turche, cioè normali, purtroppo.

ogm, soldi, brevetti, soldi, o fuggi o quelli sono i comandamenti.

la pancia degli Stati Uniti d'America, cioè del mondo, è marcia e porta la morte.

non sarà un capolavoro, ma un film di Ramin Bahrani meno che buono non l'ho ancora visto.

buona (con poca speranza) visione - Ismaele

 

 

 

 

Bahrani has used the same cinematographer, Michael Simmonds, on all four of his films. They found locations near DeKalb, Ill., for their Iowa farmland, and the film's visuals look effortlessly authentic. This isn't a movie set of a farm, but a working farm, representing a considerable financial investment, hard work, heartbreak and sweat. Henry spends hours in the air-conditioned cabin of an enormous combine, checking the crop prices on his cellphone as his land slides past like a backdrop. Then there's a little scene where Henry's wife Meredith takes some potatoes from her kitchen garden, and the film establishes its closeness to the earth.

None of Bahrani's films are simple. They inspire reflection. When this film played at the Venice Film Festival, one British critic complained that the Efron character's racing career "ultimately peters out." That suggests the critic understood exactly nothing about the movie. If it had ended with Dean Whipple winning a big race and becoming a NASCAR champion, that would have signified that "At Any Price" was just one more simple-minded formula picture. But this film doesn't wrap things up in a tidy package. It is a great film about an American moral crisis.

da qui

 

At Any Price di contrasti si nutre e su contrasti si costruisce. Su quelli interni alla sua storia – contrasti familiari, lavorativi, di tradizione – e su quelli ad essa esterni.
Perché se alla tensione tra passato e futuro aggiungiamo una punteggiatura che snocciola l’un dopo l’altro, con inquietante precisione, i luoghi comuni dell’americanità cinematografica e sociale più spinta, ci si accorge che Bahrani parla di una nazione e di un popolo, più che di personaggi. Parla del cuore pulsante, ambiguo e contraddittorio degli Stati Uniti d’America, della sua anima, delle sue fondamenta.
Fondamenta fatte, appunto, dalla mescolanza tra pulsioni opposte e conflittuali, in grado di trovare sintesi catastrofiche e sanguinolente per rinascere dalle proprie ceneri, per riciclarsi e rinascere come i semi di mais lavati (e, ancor di più, modificati geneticamente) che sono al centro di una delle tante discordie del film. Che si compondono e si accordano, progressivamente e con fatica, fino a comporre un complesso sinfonico che echeggia Star Spangled Banner, indossa blue jeans e t-shirt e odora di barbecue all’aperto, ma con la coscienza sporca.

Perché, oggi più che mai, gli Stati Uniti d’America sono ancora e sempre di più quello. E Bahrani lo sa bene.
Come sembra sa benissimo (non può non saperlo) che l’Iowa contadino che ha scelto come cornice della sua storia è lo stato dove storicamente, con i primi caucus, si apre la campagna per le elezioni presidenziali; è lo stato natale di John Wayne. Lo stato che gli stessi americani chiamano "American Heartland".
Il cuore dell'America, appunto.

da qui

 

Henry Whipple ha due figli e un impero agricolo. Vende semi geneticamente modificati nelle contee del suo stato, l'Iowa, in un regime di competizione serrata e senza sosta. Vorrebbe che i ragazzi ereditassero il suo lavoro, come è prassi nella sua famiglia da generazioni, ma il grande vuole vedere il mondo e il giovane, Dean, corre in macchina e sogna i circuiti professionali. Le preoccupazioni di Henry si aggravano quando si vede arrivare in azienda due ispettori, inviati da qualcuno per rovinarlo.
Come spesso avviene, lo sguardo dello straniero (anche di seconda generazione) sulla terra di adozione è più sanguigno di quello autoctono e illumina con maggior limpidezza le contraddizioni sociali che guidano e minacciano l'umanità di un popolo. Per il suo quarto lungometraggio, Ramin Bahrani si addentra nel cuore dell'America rurale, divisa tra la soggezione ai dettami granitici di una tradizione patriarcale e calvinista e il dinamismo di un mercato che impone il rinnovamento perenne, almeno in sede tecnologica.
Non è un'ambientazione come un'altra, ma una scelta fortissima, che richiama potentemente a sé gli echi del grande cinema classico americano e della letteratura americana della crisi. In questo scenario non poteva che dispiegarsi un dramma dalla struttura romanzesca (nel senso del medium di un'altra epoca), dove ciò che accade nel mezzo riscrive profondamente le cose, anche se a saperlo dovessimo essere noi, personaggi e spettatori, legati senza possibilità di marcia indietro. Il conflitto, come da manuale, è la spina dorsale dell'intero corpo del film e si trova a tutti i livelli, all'interno e all'esterno di ogni singolo personaggio, persino quel Grant che si palesa solo in cartolina ma per un piccolo attimo vacilla, di fronte alla ripidezza della scelta che ha compiuto coraggiosamente in autonomia.
Se Dennis Quaid è speciale nell'interpretare un personaggio a cavallo tra due mondi, incapace per questo di camminare diritto, impegnato com'è a cercare di non farsi inghiottire dalla frattura nel mezzo, una nota di merito va anche a Zac Efron, al quale Bahrani regala un'immagine nuova, che allo stesso tempo sa di reincarnazione di altri giovani perdenti, tragici e trascorsi. Ma è alla famiglia nel suo insieme che punta l'obiettivo dell'autore, come un nucleo diviso e indissolubile, contraddizione primigenia e massima, protagonista assoluta di questa storia di decadenza morale.

da qui

 

Spaccato di vita di una famiglia che lentamente scivola nel baratro dell'immoralità, nel tentativo di conservare una parvenza di quel sogno americano tanto sbandierato nel cinema hollywoodiano.
La storia ha degli alti e bassi, il cast non sempre appare nelle condizioni migliori per risultare credibile e carico di emozionalità e il ritmo cala in alcuni punti rendendo la visione meno interessante di quello che poteva essere, in più la Graham non si spoglia...ed è un peccato.
Pellicola guardabile ma non indimenticabile.

da qui

 


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