nei piccoli stati disabitati e ricchi di voti repubblicani e terra da coltivare, rubata agli indiani, succedono cose turche, cioè normali, purtroppo.
ogm, soldi, brevetti, soldi, o fuggi o quelli sono i comandamenti.
la pancia degli Stati Uniti d'America, cioè del mondo, è marcia e porta la morte.
non sarà un capolavoro, ma un film di Ramin Bahrani meno che buono non l'ho ancora visto.
buona (con poca speranza) visione - Ismaele
… Bahrani has used the same
cinematographer, Michael Simmonds, on all four of his films. They found
locations near DeKalb, Ill., for their Iowa farmland, and the film's visuals
look effortlessly authentic. This isn't a movie set of a farm, but a working
farm, representing a considerable financial investment, hard work, heartbreak
and sweat. Henry spends hours in the air-conditioned cabin of an enormous
combine, checking the crop prices on his cellphone as his land slides past like
a backdrop. Then there's a little scene where Henry's wife Meredith takes some
potatoes from her kitchen garden, and the film establishes its closeness to the
earth.
None of Bahrani's films are simple. They
inspire reflection. When this film played at the Venice Film Festival, one
British critic complained that the Efron character's racing career
"ultimately peters out." That suggests the critic understood exactly
nothing about the movie. If it had ended with Dean Whipple winning a big race
and becoming a NASCAR champion, that would have signified that "At Any
Price" was just one more simple-minded formula picture. But this film
doesn't wrap things up in a tidy package. It is a great film about an American
moral crisis.
…At Any
Price di contrasti si nutre e su contrasti si costruisce. Su
quelli interni alla sua storia – contrasti familiari, lavorativi, di tradizione
– e su quelli ad essa esterni.
Perché se alla tensione tra passato e futuro aggiungiamo una punteggiatura che
snocciola l’un dopo l’altro, con inquietante precisione, i luoghi comuni
dell’americanità cinematografica e sociale più spinta, ci si accorge che Bahrani
parla di una nazione e di un popolo, più che di personaggi. Parla del cuore
pulsante, ambiguo e contraddittorio degli Stati Uniti d’America, della sua
anima, delle sue fondamenta.
Fondamenta fatte, appunto, dalla mescolanza tra pulsioni opposte e conflittuali,
in grado di trovare sintesi catastrofiche e sanguinolente per rinascere dalle
proprie ceneri, per riciclarsi e rinascere come i semi di mais lavati (e, ancor
di più, modificati geneticamente) che sono al centro di una delle tante
discordie del film. Che si compondono e si accordano, progressivamente e con
fatica, fino a comporre un complesso sinfonico che echeggia Star Spangled
Banner, indossa blue jeans e t-shirt e odora di barbecue all’aperto, ma con la
coscienza sporca.
Perché, oggi più che mai, gli Stati Uniti d’America sono ancora e sempre di più
quello. E Bahrani lo sa bene.
Come sembra sa benissimo (non può non saperlo) che l’Iowa contadino che ha
scelto come cornice della sua storia è lo stato dove storicamente, con i primi
caucus, si apre la campagna per le elezioni presidenziali; è lo stato natale di
John Wayne. Lo stato che gli stessi americani chiamano "American
Heartland".
Il cuore dell'America, appunto.
Henry Whipple ha due figli e un impero agricolo. Vende
semi geneticamente modificati nelle contee del suo stato, l'Iowa, in un regime
di competizione serrata e senza sosta. Vorrebbe che i ragazzi ereditassero il
suo lavoro, come è prassi nella sua famiglia da generazioni, ma il grande vuole
vedere il mondo e il giovane, Dean, corre in macchina e sogna i circuiti
professionali. Le preoccupazioni di Henry si aggravano quando si vede arrivare
in azienda due ispettori, inviati da qualcuno per rovinarlo.
Come spesso avviene, lo sguardo dello straniero (anche di seconda generazione)
sulla terra di adozione è più sanguigno di quello autoctono e illumina con
maggior limpidezza le contraddizioni sociali che guidano e minacciano l'umanità
di un popolo. Per il suo quarto lungometraggio, Ramin Bahrani si addentra nel
cuore dell'America rurale, divisa tra la soggezione ai dettami granitici di una
tradizione patriarcale e calvinista e il dinamismo di un mercato che impone il
rinnovamento perenne, almeno in sede tecnologica.
Non è un'ambientazione come un'altra, ma una scelta fortissima, che richiama
potentemente a sé gli echi del grande cinema classico americano e della
letteratura americana della crisi. In questo scenario non poteva che
dispiegarsi un dramma dalla struttura romanzesca (nel senso del medium di
un'altra epoca), dove ciò che accade nel mezzo riscrive profondamente le cose,
anche se a saperlo dovessimo essere noi, personaggi e spettatori, legati senza
possibilità di marcia indietro. Il conflitto, come da manuale, è la spina
dorsale dell'intero corpo del film e si trova a tutti i livelli, all'interno e
all'esterno di ogni singolo personaggio, persino quel Grant che si palesa solo
in cartolina ma per un piccolo attimo vacilla, di fronte alla ripidezza della
scelta che ha compiuto coraggiosamente in autonomia.
Se Dennis Quaid è speciale nell'interpretare un personaggio a cavallo tra due
mondi, incapace per questo di camminare diritto, impegnato com'è a cercare di
non farsi inghiottire dalla frattura nel mezzo, una nota di merito va anche a
Zac Efron, al quale Bahrani regala un'immagine nuova, che allo stesso tempo sa
di reincarnazione di altri giovani perdenti, tragici e trascorsi. Ma è alla famiglia
nel suo insieme che punta l'obiettivo dell'autore, come un nucleo diviso e
indissolubile, contraddizione primigenia e massima, protagonista assoluta di
questa storia di decadenza morale.
Spaccato di vita di una famiglia che lentamente
scivola nel baratro dell'immoralità, nel tentativo di conservare una parvenza
di quel sogno americano tanto sbandierato nel cinema hollywoodiano.
La storia ha degli alti e bassi, il cast non
sempre appare nelle condizioni migliori per risultare credibile e carico di
emozionalità e il ritmo cala in alcuni punti rendendo la visione meno
interessante di quello che poteva essere, in più la Graham non si spoglia...ed
è un peccato.
Pellicola guardabile ma non indimenticabile.
Nessun commento:
Posta un commento