tratto da un'opera di Rafael Azcona e Luis García Berlanga, non poteva essere un film "normale".
Paolo Villaggio prima di Fantozzi riesce ad essere molto convincente (come tutti, d'altronde) in un personaggio succube della mamma vedova, lo tratta come un bambino e lo ama da morire.
lui vorrebbe farsi una vita sua, ma quella strega della madre glielo impedisce, ma con la serva zoppa Eleonora Giorgi (giovanissima e già brava) quel momento sembra arrivato.
naturalmente è una commedia a tinte nere, che fa ridere, ma ancor di più intristire.
buona (plastica) visione - Ismaele
…Salce dirige con mano sicura, mantenendo un delicato e
inquietante equilibrio tra commedia e dramma, regalandoci scene erotiche
imbarazzanti in un crescendo di toni morbosi, incorniciate dal terribile
finale, quasi da brividi. Una curiosità davvero per pochi eletti, un prodotto
unico perfetto per chi pensa che la commedia all’italiana si esaurisse con la
tipica critica sociale alla Dino Risi.
Finale a parte, a raccontarne la trama, parrebbe una commedia
boccaccesca, ma è la più feroce rappresentazione che il cinema italiano abbia
mai dato di un "cuore di mamma" incapace di rassegnarsi al fatto che
il figlio non sia più un bambino. Se Villaggio pre-Fantozzi è funzionale e
Giorgi incantevole, a spiccare sono Faà di Bruno nel ruolo dello zio Alberto e
soprattutto Lila Kedrova, una marchesa Mafalda appiccicosa, possessiva,
ricattatoria, castrante. Programmaticamente sgradevole e grotziano, il film di
Salce, mai così cattivo, riesce a disturbare anche a più di 40 anni
dall'uscita.
Romanzo di formazione (e di deflorazione) di un bebè
over-30: riuscirà il Signorino Fernando – un lattonzolo feticista e
sessualmente inibito – ad affrancarsi dalle cure morbose della madre vedova, la
Contessa Mafalda? Questo è, a grandi linee, il soggetto di Alla mia
cara mamma nel giorno del suo compleanno, una delle commedie più sinistre
dirette da Luciano Salce.
L'inquietudine che esso emana non deriva però soltanto
dalla tematica edipica che, lungi dall'essere trattata in modo allusivo, è
buttata sul sadomaso. È piuttosto l'utilizzo estremo e maligno della comicità
ad annerire l'anima del film. Paolo Villaggio attribuisce al suo Signorino
Fernando, detto Didino, una disperazione impotente degna dei momenti più
estremi del suo (imminente) tragico Fantozzi. Ma dietro questa disperazione si
cela – come in Fantozzi – un brutale spirito revanchista, che
però, dopo exploit brevi ma intensi, viene represso rigorosamente.
La gag più riuscita è la più cinica, quella in cui Didino
induce un gruppo di straccioni a mangiare dei supplì riempiti con sassi,
illudendoli che in uno di essi si trovi lo smeraldo che ha sottratto alla madre
Mafalda (Lila Kedrova). Lo stesso smeraldo viene utilizzato a più riprese da
Didino per ricattare l'asfissiante genitrice, così da estorcerle quelle libertà
che ella gli nega con appiccicosa cocciutaggine…
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