il film fu iniziato nel 1960 e arrivò in sala solo nel 1962, in mezzo ci fu tanto lavoro e una cosa chiamata censura.
il film è lucidissimo, chiarissimo e documentatissimo.
nel testo c'è la mano di Franco Fortini, un grande valore aggiunto.
e dopo averlo visto, se avevi dei dubbi, capisci tutta la merda del fascismo.
buona (antifascista) visione - Ismaele
inizia
così:
Il migliore dei 3 film di montaggio sul fascismo usciti nel biennio 1961-62. In un arco che va dall'inizio del Novecento ai fatti di Genova e Roma nel 1960, del fascismo s'indicano le cause lontane e vicine, l'appoggio del capitalismo agrario e industriale, le ramificazioni in Europa, le corresponsabilità, le connivenze, gli errori degli avversari. Film di parte, ma qui è un merito più che un difetto, pur non mancando lacune, omissioni, semplificazioni. Lucido commento di Franco Fortini con le voci di G. Sbragia, E. Cigoli, N. Gazzolo.
"(Il film) ci avverte con lucida consapevolezza del pericolo che ci sovrasta tutti, mascherato pomposamente dietro il vantato miracolo economico italiano (...) le sequenze delle cariche della polizia, dei carabinieri a cavallo contro la folla dei dimostranti ricorrono puntualmente nei primi scioperi operai e nelle manifestazioni di protesta di questi ultimi anni con una paurosa somiglianza (...). Occorre ricordare che gli archivi ufficiali italiani hanno rifiutato la collaborazione". (R. Jotti, "Cinema Domani", 3, maggio/giugno 1962).
Quando si dice l’attualità dell’opera. Sono passati quasi sessant’anni da quando All’armi siam fascisti! esplose come una bomba nell’Italia che si affacciava sorridente al boom economico, ma non è invecchiato di una virgola, anzi di un solo fotogramma. Mai come ai nostri giorni – basta guardare alle cronache – la domanda cruciale che poneva lo splendido film di Lino Del Fra, Cecilia Mangini e Lino Micciché su testo di Franco Fortini sembra trovare una sua risposta affermativa: «esiste ancora il fascismo?».
Trovarlo finalmente in dvd (per RaroVideo) – e adesso su Prime Video di Amazon – è quindi un regalo, un prezioso strumento di analisi critica al sistema-Italia, nonché un esempio di grande cinema che allora – eravamo nel 1961 – rivoluzionò il documentario italiano, militante, ponendo nuove basi creative, da dove partì anche Pasolini per il suo, La rabbia.
La storia di All’armi siam fascisti! è quella di una delle opere più censurate ed osteggiate del nostro paese. E il motivo è proprio in quella domanda: «esiste ancora il fascismo?» che accompagna le immagini di chiusura del film sui morti di Reggio Emilia, Genova 60, la repressione dei poliziotti di Scelba.
Immagini alle quali, oggi – come suggerisce Bruno Di Marino nel libro allegato al dvd – viene naturale legare a quelle delle tante stragi di stato, della P2, del patto stato-mafia fino al G8 di Genova, culminato nella mattanza della Diaz. Un filo nero che continua a legare la nostra storia.
Ieri come oggi quella domanda è eversiva. Come eversivo è All’armi siam fascisti! perché non si è limitato, com’è stato fin lì nei tanti documentari di ricostruzione storica – a raccontare il Ventennio attraverso uno straordinario repertorio. Ma ne dà una sua lettura politica mostrando come il fascismo sia stato ed è «l’organizzazione armata della violenza capitalistica», come spiega lo stesso Fran- co Fortini, autore dello splendido commento sonoro, pieno di graffiante ironia e sarcasmo. Accostato a un sapiente montaggio che lega, magari, le serene giornate di Eva Braun in montagna con i corpi massacrati delle vittime dei lager.
Questo ci racconta il film, lo scontro tra capitale e lavoro. In Italia con Mussolini, dove la Chiesa fu tra i primi alleati («Pio XI si rifiutò di ricevere la vedova di Matteotti», ci rimanda il commento di Fortini, mentre le immagini ci mostrano alti prelati fare il saluto romano), in Germania con Hitler, in Spagna con Franco (bellissimo il repertorio sulla difesa di Madrid). Modalità diverse, certamente, ma nella sostanza lo stesso scontro tra capitale e lavoro a cui assistiamo sotto il governo globale delle banche.
E in questo è la «superiorità di All’armi siam fascisti! – scrive Alberto Moravia su l’Espresso nel ‘62 – nell’applicazione di un metodo ideologico al caos della Storia. Questo metodo si può chiamare marxista soltanto per scrupolo di esattezza; in sostanza è il metodo del realismo e il realismo oggi vuol dire diagnosi marxista per i fatti sociali economici e storici, freudiana o junghiana per quelli individuali e psicologici, einsteiniana per quelli cosmici e via dicendo».
Come poteva un film così non incappare nelle ire dei censori? Nato per volontà del Partito socialista che per realizzarlo creò una produzione ad hoc, come racconta Cecilia Mangini, All’armi siam fascisti! incontrò ostacoli fin dall’inizio. L’Istituto Luce negò il suo repertorio sul fascismo, tanto che gli autori dovettero attingere agli archivi stranieri.
Poi la lunga trattativa con la Mostra di Venezia che non voleva saperne… Finì con una proiezione «imposta» dagli autori in una sala defilata, presa in affitto a una lira, per dimostrare l’estraneità del Festival. Il risultato fu travolgente. Successo di critica e di pubblico. La bomba ormai era esplosa. Così che la censura tentò il tutto per tutto, bloccando il film per un anno. «Un caso da dover scendere in piazza», scrive Pasolini su Vie Nuove. E come lui furono tanti, tantissimi gli intellettuali che si mobilitarono per la «liberazione» del film.
All’armi siam fascisti! arrivò nelle sale nel ’62, provocando le reazioni violentissime dei militanti del Msi. A Roma, dopo la proiezione al Quattro Fontane, i fascisti scaraventarono dalle finestre sedie e tavoli sopra al pubblico in uscita dal cinema, causando decine di feriti.
E non fu un episodio isolato. «Questo film vuole dire soltanto che noi siamo i figli degli eventi riassunti da questo schermo – ci ricorda Franco Fortini nel finale – ma siamo anche i responsabili del presente. In ogni momento, in ogni scelta, in ogni silenzio come in ogni parola, ciascuno di noi decide il senso della vita propria e di quella altrui». Da non perdere.
… Nel 1960 il materiale è raccolto e montato, manca il testo e per questo si ricorre a Franco Fortini, non più socialista ma amico di Lombardi.
Bellissimo il ricordo di Cecilia Mangini:
“Andammo a prenderlo alla stazione, era un grumo di riservatezza, di timore, io ho avuto l’impressione che sarebbe voluto molto volentieri rientrare nel treno. Siamo andati in moviola, lui sempre così taciturno e chiuso in sé stesso, comincia a vedere il film…”
Scorre la prima sequenza, soldati e civili morti, Croce Rossa al lavoro, un bianco e nero fumoso, una caligine da ultima bolgia dell’Inferno. La voce esterna commenta: “Queste immagini compaiono per la prima volta su di uno schermo italiano…”.
Cecilia continua:
“Ad un certo punto lo guardo, siamo alla guerra di Spagna e lui piange, un pianto silenzioso, le lacrime che gli scorrono giù lente lente e io che dico: E’ fatta! farà il testo, perché ci credeva molto. In realtà ha fatto un testo splendido, è la seconda anima del film.”
Proiettato in agosto alla Mostra del Cinema di Venezia, il successo è immediato e i commenti di Pasolini e Moravia riassumono il pensiero di tutti.
“Il più bel documentario mai visto sul fascismo per forma, montaggio, una visione del mondo segnata dall’influenza del grande cinema russo degli anni Venti.”
Scorrono alcune immagini esemplari, si ricordano le vicissitudini che la censura e gli organi istituzionali imponevano, “una serie infinita di tagli – racconta il regista – in una trattativa defatigante con il ministro. Paradossalmente era in gioco più il ruolo del Vaticano nel Fascismo che non il Fascismo stesso, e dunque via i preti che sfilano sotto il balcone di Palazzo Venezia, via i preti dall’Altare della Patria che salutano romanamente, via i cardinali che insieme ai federali guidano i cortei di chi va a votare il Sì a Mussolini nel plebiscito del 1929.”
“Ci irrigidiamo – la voce è ora quella di Lino – non si deve toccare un solo fotogramma”.
La pellicola fu sbloccata e nel 1962 distribuita nei cineclub, il suo peso fu enorme, simbolico come mai un film prima di allora, nell’incontro delle forze politiche che misero insieme il primo centrosinistra. Messa in circolazione non ha mai finito di far rabbrividire, commuovere, indignare. La sinergia fra immagini e testo è totale, si resta attoniti, impietriti, e tornano le parole che Miccichè dice all’inizio della sua biografia: “Credo veramente che vedere un film sia vivere”.
Per vedere un film così straordinario bisogna allora avere un viatico fuori del comune, e sono le parole di Franco Fortini accompagnate dalla musica di Egisto Macchi che aprono la sezione dal titolo:
Fascismo, l’organizzazione armata della violenza capitalistica
Sulle piazze delle città, nelle vie dei vecchi borghi,
ecco gli importanti, i dignitari, i fiduciari,
i potenti, le eccellenze, gli eminenti,
gli autorevoli, gli onorevoli, i notabili,
le autorità, i curati, i podestà,
gli uomini dell’autorizzazione, dell’intimidazione,
dell’unzione e della raccomandazione;
ecco quelli che fanno il prezzo del grano e delle opinioni,
che hanno in pugno il mercato del lavoro e quello delle coscienze,
e ci sono quelli che aprono gli sportelli,
baciano la mano a “voscenza”, e ringraziano sempre
perché non sanno mai i propri diritti.
Eccoli dire di sì:
di sì
perché lo fanno tutti,
di sì
perché lo ha detto monsignor vescovo
e il commendatore che ha studiato,
di sì
perché hanno quattro creature,
di sì
perché bisogna far carriera,
di sì
perché non vogliamo più essere morti di fame,
di sì
perché ho un credito,
di sì
perché ho un debito,
di sì
perché ci credo,
di sì
perché non ci credo.
Perché tanto nulla conta.
Perché io non conto nulla…
di sì
perché non ho più compagni.
… “All’armi siam fascisti!” è un documentario completato nel 1962 di Cecilia Mangini, Lino del Fra e Lino Miccichè. La sua unicità è data dal recupero e montaggio di immagini inedite nell’istituto Luce, unite al testo e al commento di Franco Fortini che rende in alcuni tratti il commento una vera e propria poesia. Altra caratteristica di “All’armi siam fascisti!” è la censura a cui viene sottoposto.
Il testo e le immagini risulteranno a lungo scomode sia per il legame diretto tra Chiesa, industriali e fascismo da un lato, sia per la rivendicazione dell’antifascismo come vera e propria lotta di classe.
Come spiega Franco Fortini:
“nel testo ho accettata la definizione del fascismo come l’organizzazione armata della violenza capitalistica; e sempre accennando un aldilà della lotta antifascista, ho ripetuto la formula socialista della appropriazione collettiva degli strumenti di produzione. (…) Anche per questo il testo non poteva fare a meno di riflettere – soprattutto nell’ultima parte – la situazione reale delle forze di sinistra in Italia, che è di convivenza e magari di compromesso con il neocapitalismo. (…) Per andare oltre la «proposta di coscienza» con cui si chiude il film occorrerebbe che, di fatto, esistesse una prospettiva reale e italiana che andasse al di là dell’antifascismo: una prospettiva conseguentemente anticapitalistica. Un discorso politico serio non riformista né attendista, non settario né compromissorio e che faccia riferimento alla tradizione marxista e leninista, comincia forse nuovamente formularsi nel nostro paese ma proprio per questo non può diventare (né deve) motto, parola d’ordine, battuta, epigramma. Il tono del commento (…) è il tono di chi replica non tanto all’età del fascismo quanto alla lunga ipocrisia ufficiale che per almeno dodici anni aveva combattuto e respinto ai margini della società l’opposizione di sinistra (…) e anche all’altra ipocrisia, storiografica e politica, che cercava di attenuare il ricordo della istanza rivoluzionaria e antiborghese della maggior parte della lotta antifascista per farne un motivo di patriottismo nazional-popolare o un anticipo di “movimento per la pace”.
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