giovedì 11 novembre 2021

Vitalina Varela – Pedro Costa

un piccolo film, di gente misera, migranti da Capoverde, abitanti di una borgata, Fontainhas, meno che povera di Lisbona.

storie che arrivano dal passato, una vedova (Vitalina) che arriva per la morte del marito, che non vedeva da un'eternità, compagni e conoscenti del marito, ultimi fra gli ultimi, in lotta perenne per la sopravvivenza, un prete ormai malato, ancorato al passato.

in quelle case buie non sai chi è vivo, e per quanto, l'orizzonte temporale è al massimo il dopodomani, Vitalina arriva e vuole continuare a starci, in quello spazio abitato dal marito prima, dal suo fantasma, chissà, poi.

lo spazio per la speranza e per la luce è davvero un davvero quello di un equilibrista sulla fune, Pedro Costa sceglie di mostrare un mondo di vinti, senza riscatto in vista.

già altri film di Pedro Costa erano ambientati a Fontainhas, che pare un girone dell'inferno, come nessuno aveva mostrato prima.

attori, personaggi, persone, che riappaiono, come Ventura, in quell'angolo di mondo da incubo che li accoglie, senza tante parole, non servono quasi mai.

Vitalina, una donna caduta dalla luce di Capoverde dovrà imparare a vivere nell'oscurità di Fontainhas  .

un film che merita, senza nessun dubbio. 

lasciate ogni speranza, o voi che entrate, scriveva Dante.

buona (oscura) visione - Ismaele


  

 

QUI il film completo, su Raiplay

 

 

…il quasi assoluto buio, la scelta delle inquadrature (vi giuro che è la cosa più vicina all'espressionismo tedesco che ho visto questi anni per costruzione dell'inquadratura), le luci fioche ma meravigliose, tutto aiuta a creare un'atmosfera che raramente abbiamo visto al cinema.

Il mondo esterno non esiste (a parte la scena dell'arrivo all'aeroporto di Vitalina, in ogni caso scena quasi ipnotica e teatrale, non di ampio respiro), siamo dentro questo mondo di uomini poveri, case spoglie che cadono a pezzi, cucine minuscole, scale e vicoli.

Il marito di Vitalina è morto, dicono, di stenti, vomitando. Eppure abbiamo visto talmente tanto sangue sul suo letto da sembrare quasi la scena di un omicidio. Non sto dicendo che c'è qualcosa di non detto ma in questo film quasi senza dialoghi avremo sempre la sensazione di "qualcosa che non sappiamo", come avviene spesso nei film di Fahradi.

Vitalina si piazza lì, parla con qualcuno, ma in realtà ha a cuore solo una cosa, trovare un dialogo con lui, con l'ex marito, per riuscire a sublimare finalmente un dolore che porta avanti da tutta la vita…

da qui

 

L’attraversamento della donna, ma in assoluto di ogni personaggio, in tali chiaroscuri non è frutto di una ricerca, studio per approdare a una data dimensione (che sia essa filmica o spirituale). A prevalere è invece l’idea di rivelazione e questa giunge perlopiù attraverso la presenza stessa di Vitalina: i chiarori che trapassano finestre, malfamate stradine, spazi angusti, esaltano pertanto il corpo, il volto. In combinazione con il dipanarsi di storie individuali gli occhi sgranati e le nascenti lacrime, le rughe e i segni dell’età sfiorita rendono un risultato di concretissima fotogenia, la capacità di condensare un bagaglio esperienziale già dal momento stesso in cui lei è in scena, fin dalla discesa dall’aereo, ideale approdo sul set oltre che inizio del film. La rivelazione sembra giungere per il regista ancor prima che per noi spettatori.

In questo cinema che nel suo stesso esserci evoca episodi, voci, spiriti, i morti sono dunque presenze costantemente in scena: a tale proposito sono in particolar modo due i pilastri che fanno da controcanto alle parole di Vitalina. Il primo è rappresentato dal marito defunto a cui la donna si rivolge sovente in monologhi dediti a sviscerare i fatti - gli eventi di un passato remoto ma al contempo in grado di attanagliare per una vita intera – e a dibattersi in una serie di domande che partono da scelte consapevoli o meno, proprie e del defunto marito, e arrivano a toccare quesiti esistenziali quando non spiritualistici.
Ne vengono fuori tutte le delusioni individuali, i rancori mai sopiti, un amore difficilmente collocabile, la solitudine di una vita intera. Che si sposa, quest’ultima, con la fede di Vitalina e nel suo trovare in Dio presenza a cui porre domande, al di là dei silenzi ricevuti, impersonificati da Padre Ventura – seconda colonna con lei comunicante -, che quella fede l’ha persa ma che adempie i gesti della carità e dell’altruismo attraverso azioni possibili al suo cagionevole stato (salute precaria, alcolismo). Nel suo dialogo con Vitalina fa riferimento a una congiunzione possibile tra paura terrena e spirituale pace eterna. Vi è allora in quest’ottica una compenetrazione tra perpetuo castigo e ricerca di redenzione e pace, senza presumibilmente rinfrancanti soluzioni.
Donna in un universo prevalentemente regnato da uomini, Vitalina Varela non potrà forse ambire a dispensatrice di speranza, ma rispetto a figure del passato cinema di Pedro Costa si staglia, magari anche suo malgrado, come consolatrice in terra. Il suo è un ritratto di donna che non si dimentica…

da qui

 

L’immagine di un vicolo lungo, stretto, delimitato da muri molto alti, apre il film Vitalina Varela, dove avverrà una processione – uno sfondo che apparirà anche in seguito. Una sensazione di claustrofobia, che se fossero mura di separazione. Da qui un susseguirsi di scalinate, gallerie, tuguri, strade con i canali di scolo, gente che ramazza, persone che cucinano e mangiano collettivamente, persone disposte come in tableau vivant, straniate. E poi i cimiteri con quelle file di lapidi, suddivise semplicemente per anno. La bidonville di Fontainhas è un golgota, spesso colpito da vento e pioggia estremi, popolato di fantasmi, di zombi. E poi la chiesetta, una caverna platonica dove si formano le ombre che rappresentano gli abitanti del bairro, sobria, spoglia, fatta poco più che di un corridoio, con le seggiole che sono l’unica cosa che sembra illuminata. È il luogo di culto frequentato da Vitalina, dove si incontra con Ventura, qui un prete cieco che si staglia nel nero, dal pulpito…

da qui

 

Queste due ore di visione non sono assolutamente facili da approcciare, perché la pesantezza del cinema di Pedro Costa può rappresentare un ostacolo non da poco per i cinefili alle prime armi. Tuttavia non bisogna spaventarsi davanti a una pellicola di tale caratura, “Vitalina Varela” è infatti un mezzo capolavoro capace di entrare fin sotto la pelle fotogramma dopo fotogramma. In queste scene prevalentemente notturne, la luce filtra dalle finestre illuminando il volto energico ma consumato di questa donna, una figura che non ha mai perdonato al marito i suoi segreti e le sue mancanze. A tal proposito, i monologhi di Vitalina sono magnifici (“non mi fido di te né da vivo né da morto”). Pedro Costa si muove dunque nelle tenebre, squarciandole con un fascio di luce che tanto rimanda ai dipinti di Caravaggio: questo buio pesto che circonda i vari personaggi si manifesta attraverso un mood luttuoso, dal quale emerge di continuo qualcosa di lugubre e di nefasto (l’elaborazione del lutto qui assume i connotati di una terribile consapevolezza)…

da qui

 

 


Nessun commento:

Posta un commento